“Secondi Luce“, di Anna Ruotolo, (LietoColle, Faloppio, 2009 – seconda edizione 2011. Nuova ristampa 2014)
Nota dell’autrice
Il secondo luce è un’unità di misura della lunghezza che impiega il tempo. Ma spazio e tempo, in generale, danno forma alle vicende umane, sentimentali, esperienziali, interiori. “Secondi luce” ha nel suo dna il tentativo di inventare un suo tempo e un suo spazio, nel “luogo più giusto” che è, appunto, la poesia.
Questi versi raccontano storie vicine e lontane, dialogano con persone di passaggio – lampi nei giorni sempre uguali – o persone che, con la loro storia minima e insieme grande nel mondo, hanno aggiunto senso alla mia storia minima. Tutte queste facce sono ricomprese nel nome “Guido” (a cui è dedicato il libro, oltre che a tre giovani donne, le mie sorelle, Nicoletta, Chiara e Manuela) che vuol dire “colui che viene da lontano” e che talvolta ritorna o riparte in una notte d’inverno con la forza e la tenacia di chi sa rompere un patto di luce. È un viaggio nel tempo e nello spazio, fino alla rivelazione che solo la parola può fare “meno oscure le città”.
Secondo luce
È come dirti addio
sopra il cucuzzolo del Mondo
dopo il mare fin dentro
che ci divide al ponte,
al passeggio chiarazzurro della barca.
Dire addio a te e – prima che sia –
a noi
a tutte le inconsolate vie della tua bocca
alle parole della pioggia sui canali
degli occhi.
Questo è il tempo: una luce di lampi,
breve, come il guizzo della terra
e manca, manca il cono d’ombra
dove si nasce, dove un po’ si vive.
Oggi sei un giorno lontano
partito come il treno
oltre la frontiera.
Mi chiederanno se ho aperto
al corriere della strada
se molle è il pacco dopo la pioggia,
perché ho rattoppato la porta.
Verrà, verrà il tempo che ci implora
col segno amorfo sulla fronte
forse una linea profonda,
come saprò vederla.
Annerire gli spazi col puntino
Ho scelto,
ho scelto un fondale per questa sera:
so che vorrei la tua faccia
tutta intera e chiara
una scena vivida all’improvviso,
una traccia elettrica dall’orlo dei lampioni.
Ho da fare come un percorso
su una parete illuminata
ed ogni punto sarà lo spazio da annerire
per vederti nascere, apparire dal nulla.
Cinema mercoledì
Se solo scrutassi le mie
gambe nella sala
non particolarmente calme
che credono i film
motori inceppati di cielo
cadente (e non si ottiene buco)
o una ferita aperta
scordatasi del dolore in un copione
se solamente
scendessi dalla veduta dei fasci bianchi
durante l’amore nelle poltrone
soffiando una collina di blue-jeans
io mi volterei
perdendo l’ultima scena
nelle magnifiche nubi di fari
messi così
per presentarti i miei occhi
prima della fine.
anghelos
Che rientri da questa terra
per i segreti delle porte
che quasi mi dormi accanto
è scritto nel rumore della pioggia
nel tremito aguzzo delle acque.
Più dentro è il chiodo di non saperti qui
vederti andare come certe domeniche d’inverno
anche quando è il dono del mondo che ci unisce,
il fondo delle cose a crescerci di neve.
Istruzioni sulla dote
a mia madre
Ora per crolli mi ritorni negli occhi
durata così poco
sparita nelle vertebre dell’acque.
Avevi un modo di tirare i capelli
amavi prenderli alle tempie
farmene un ciuffo
sedute coi gradini della baia
che avevo un’amniotica certezza
di fuggire per te
fuggire l’inverno lunghissimo
a venire.
Questo voglio, tu questo digli:
prendila di notte, prendila se affonda
sotto le barche
scioglile i capelli che preparai
così costretti per te,
lunghi, come una grande luce
che non finisce più.
Prefazione di Elio Grasso
È il tempo che percorre tutto questo primo libro di Anna Ruotolo, quel tempo che fa attraversare una strada vicino alle parole, dette ancor prima che la realtà attacchi con i suoi addii senza scampo (“Dire addio a te e – prima che sia – / a noi…”). Ecco che si sente immediatamente la fedeltà a un poeta, Vittorio Sereni, che potrebbe sorprendere in una poetessa di questa generazione, se non fosse che nelle pagine di Secondi luce ogni verso viene spalancato al mondo cercando quella “massima comunica¬zione” che tutti ricordiamo bene come somma aspirazione del poeta di Luino. L’umana fedeltà conduce ai diversi posti che il mondo ci mette a disposizione, e Anna sa tornare ogni volta a un racconto intimo che però viene messo sul balcone, offerto all’umano passaggio. Piccoli fuochi si dichiarano, sempre più prossimi a quel “tu” novecentesco che qui sem¬bra ritornare per rivelarsi fecondo, vivido nel dialogo e forte nell’imporsi (“Le parole si portano da un luogo / – tu sai – / per compensazione / per fare meno oscure le città…”). Il tempo aggiunge movimento a chi ricerca la propria lingua, alimenta i passi perché sia possibile raggiungere qual¬cosa o qualcuno che resista, e che si disponga con tracce elettriche nel mondo, rendendosi visibile, franco, tridimensionale su una parete illumi¬nata. Sono mosse caute ma decise quelle che si vedono in Secondi luce, la lingua sa dove non può arrivare, e la maturità sta proprio nel fermarsi poco prima che la ricerca si disperda nella nebbia, fenomeno che accade spesso nella produzione dei poeti più giovani, come se ci fosse un’incapa¬cità ad arginare le “cose difficili” e ingannevoli nel nascondere un senso che in realtà non c’è. Qui la tensione va tutta al risveglio delle cose, che acquistano un nome e che quindi possono parlarci ad occhi aperti, in piena fiducia. La lezione data dallo scrivere seriamente versi sta anche nel porsi dentro luoghi consumati e renderli privilegiati, contrastando i mostri dell’oblio e dando un nome alle cose: descriverle e amarle con un preciso incastro di vitalità e stile. È una questione di atteggiamento, di buon carattere verso il passato della poesia e la sua storia, solo in questo caso partono “navi dalle costole” inoltrandosi nella realtà. In sottofondo si sente una colonna sonora che segue e segna il tempo, e una persona che scrive canzoni come Fossati – citato da Anna all’inizio del libro in¬sieme a Sereni – conferma come i segnali in aria siano quelli giusti, non sembri azzardato l’accostamento, non siamo qui a chiedere conferme o prove di potere di una parte sull’altra. E si torna al tema del tempo, con un discorso continuo che non vi si sottrae, andando dove le lune con¬ducono stagione dopo stagione, tenendo fra le mani tutti gli “strumenti umani” che una giovane donna attenta alla lingua storica sa trovare nel ronzio odierno fatto di onde elettromagnetiche confuse, cozzanti l’una contro l’altra fino all’annichilimento. Una consapevolezza non priva di controtempi e lampi di una maturità che seguiamo nel suo compiersi, che seguiremo nel futuro se l’autrice continuerà a stare sotto le sue pulsioni, dando loro sede e spazio. Il realismo risponde a una vocazione di bassa narrazione, non in senso diminutivo, ma per favorire il procedimento del canto che non si sottometta alle cose ma le serva senza compromessi (“Da queste parti si suda nei calzoni / l’affittacamere accende un lumino / su per le scale, è vuota e dolce / stasera la pensione / bisognerebbe nascere dal romantico…”). In questo le quattro sezioni della raccolta dialoga¬no fra loro ricevendo e trasmettendo da un “ambiente” messo in vista e ben riconoscibile, senza facili similitudini o rivalità con la giovinezza che inevitabilmente risalta, e che per fortuna è dentro la propria corrente. Poesie dagli occhi dritti, il cui senso sta nella vita continuamente con¬frontata con la storia di chi, nel Novecento, ha avuto un destino poetico inarrivabile, e che ancora ci parla: “Quel che può va via, / prima che tu lo ripeta / ho seminato un nòcciolo / nel fondo del tuo cappotto…”.
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Anna Ruotolo è nata a Maddaloni, in provincia di Caserta. Frequenta la facoltà di Giurisprudenza. Suoi inediti sono usciti sulla rivista “Poesia” diretta da Nicola Crocetti nel 2009. Questa è la sua prima opera in versi.