Daniele Campanari, "In guerra non ci sono mai stato"

 
in_guerra_non_ci_sono_mai_statoIn guerra non ci sono mai stato, è il secondo lavoro editoriale (il primo è “Giocatore di whisky Bevitore di poker”; 2013 – Lettere Animate)  del giovane poeta di Latina Daniele Campanari, in uscita in tutte le librerie.
Le parole discorsive, invece, che introducono le poesie sono dello scrittore romano Paolo Di Paolo che insieme a Nicola Bultrini cura l’introduzione al volume.
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Dalla Prefazione di Paolo di Paolo
Ha immagini così forti, questo libro, da lasciare quasi storditi. Ti fermi lì, resti incantato per qualche minuto. Non sono mai convenzionali, mai “poetiche” nel senso più prevedibile e stucchevole del termine, sono sempre inconsuete, personali: sono nuove. L’autunno racconta alle foglie come cadere con eleganza. Le persone sono attimi.
Un cuore aspetta sull’altare. Un ragazzino tiene acceso il phon per non aver paura del temporale. I tempi degli orologiai andrebbero allungati. Il movimento del mare, se lo guardate bene, somiglia all’andare a capo. “Ti insegno a osservare” è il titolo di uno dei testi qui raccolti – e il punto è proprio questo, guardarsi intorno e vedere davvero le cose, vederle come se cominciassero a esistere in quell’istante, per noi e con noi. «guardati intorno / e vedila l’ombra / che ti accompagna / danza con lei / perché le punte dei piedi / fanno arrivare in alto».
Daniele Campanari non si accontenta mai delle immagini prevedibili, ogni poesia dev’essere una piccola rivoluzione dello sguardo: anche per la più domestica e quotidiana delle situazioni, quando parla di memorie personali, lampi di vita familiare, ruvidi, mai sentimentali; anche quando racconta di una ragazza in treno che legge Shakespeare e ha i capelli un po’ troppo sporchi per sembrare belli. Anche quando parla d’amore, e – cosa rara – riesce a sorprendere. I suoi versi, in cui spariscono le maiuscole come in Cummings, questi versi che improvvisamente si distendono sulla pagina sembrano parte di un lungo discorso – appassionato e vitale, indispensabile cioè a vivere – cominciato da qualche altra parte, un minuto fa o da sempre.
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hai gli occhi come l’otto maggio
sei sul treno che puzza a ogni fermata
e leggi un libro bianco invecchiato: Romeo e Giulietta
e tu sembri essere proprio Giulietta.
capelli biondi nati
un po’ sporchi per sembrare belli,
e gli occhi?
come l’otto maggio: azzurri e sopra e ai lati destro e sinistro bianchi.
fa caldo come nell’inferno dantesco
o è mio il calore?
hai una maglia bianca con maniche allungate
cerco di non guardarti mentre scrivo questa poesia
– ora la guardo perché sta leggendo –
leggi due righe e ti guardi intorno
hai un lungo cappotto marrone sul grembo
e paura dell’acqua
ora la tua mano poggia sulle labbra sottili
rosse quasi viola – non riconosco i colori –
stai osservando la donna grassoccia di fronte
nessuno se ne accorge e mordi la pagina 84 di Romeo e Giulietta
quella che parla di Romeo e l’amore.
la pelle è bianca: il sole bacia le belle ma a te non ti vuole bene.
Ecco, ti giri adesso:
hai gli occhi come l’otto maggio
il matrimonio e il funerale
è un cuore che l’aspettava sull’altare vestito a festa
perché il matrimonio delle anime
è come due fuochi che uniscono al calore
delle bestie nel bosco.
Simone è un cuore che l’aspettava sull’altare
e avrebbe atteso la benedizione dei santi
le minuscole mani bambine e
lo strusciare della purezza sul pavimento bestemmiato.
Simone l’aspettava sull’altare
e Veronica era il suo cuore:
palpiterà di paure e futuro investito
quando Dio, fotografi e fratelli
lanceranno riso sulla bara di legno
Raoul
tra le braccia degli uomini in festa per il gol
si fa avanti un uomo imbacuccato
sotto al cappello di paglia
occhiali spessi da intelletto
e t-shirt a colori suoi.
si chiama Raoul è dell’Oriente,
fotografa le ugole e dice Go player
ma ama il portiere italiano.
urla in tedesco
e ai canti sull’inno
ride in svizzero che pure conosce.
ai novanta minuti per l’arbitro
il risultato è ghiotto per chi ha scelto la sua parte.
non si gioca più la partita
Raoul corre via come una lepre
e mentre va dice ancora Go player
boston: attentato allo sport
“c’è sangue dappertutto!”
dicono i giornalisti.
gli altri urlano, urlano tutti col dolore a gambe e braccia.
                                                                                                    [Era bello il cielo
                                                                 colorato d’azzurro con le nuvole piene]
“è morto un bambino!”
dice la radio.
                                                   [Tomas, otto anni, aspetta il padre al traguardo]
se c’è un dio venga a spiegarci le bombe
venga a raccogliere la carne maciullata
venga a curare i feriti
a raccogliere i lacci delle scarpe
a cucire i tagli con la maglietta bianca.
                                                                                    [“Oh my God!”: incredulità]
doveva essere la festa dello sport,
è stato l’attentato allo sport.
c’è una fuga:
non si gioca a guardia e ladri. Si cerca di vivere.
le sirene rompono il silenzio
dopo il boato capace di restituire l’udito ai sordi,
che avrebbe offerto la vista ai ciechi.
boston piange,
piange l’America che ricorda le Torri.
piange l’Italia,
piange l’Africa,
piange il Giappone,
piange la Russia.
cosa resta nel fumo grigio?
cosa resta dei giornali del 15 aprile duemilatredici volati col contenitore dell’uomo?
Adam, Lucas, Genny, Lucy, Denis e altri creati a immagine e somiglianza morti o feriti
                                                                               [“Get going!”, andiamo avanti]
pace non t’ho mai vista giocare col pallone
quanti disonori dall’avvenuta storia
corsari d’assalto autostrade
lamenti per mani insanguinate
e memoria umana che dimentica, a volte,
crede di ricordarsi dei cipressi, le altre.
ricordi di un maggio fastidioso
grida e corriere d’aiuto: Aiuto! Aiuto!
lo chiedono gli uomini d’onore
diversi da quelli rincasati
usano il cappotto solo per l’inverno.
accorrono alle spalle
per non restare soli
agitano le braccia nella Sicilia dei vicoli bui
caduti gli eroi
quand’era luce naturale a ingannare il cammino.
***
boom! boom!
hanno ucciso il Magistrato
uno, due, tre, quattro … centinaia corpi dilaniati
baffi camuffati e facce che non sono quelle nate.
è esplosa una bomba
quante esplosioni?
quanti morti?
a chi interessa il numero
è la strage dell’umanità incompiuta
che insegna l’amor di dio.
quanti disonori
per chi s’è dato alla volontà dei frutti in tempo di pace.
pace non t’ho mai vista giocare col pallone
e quando ti cercavo il telefono era occupato
la finestra respingeva i proiettili
e vedeva il colore degli abiti che indossavi.
pace tutti t’hanno fotografato tutti t’hanno visto e poi incarcerato.
***
salutate la vittoria
con braccia tese a raccogliere lo zucchero filato
come il bambino dopo il gol della sua squadra
battete i pugni su ciò che è restato
e sulle auto attimi che hanno sfiorato gli aerei
agli scrittori
prendete una penna e un pacchetto di sigarette vuoto
sì, perché sul pacchetto di sigarette vuoto si può scrivere, insegna Ungaretti.
se vi trovate al ristorante scrivete con la penna d’ispirazione sul fazzoletto che prima avreste utilizzato per pulire i denti.
non fatevi sgridare dal cameriere
se vi sgrida scrivete sul suo grembiule.
trovate il muro bianco di una scuola o quello di una chiesa e scrivete di giallo e di viola
trovate il crocifisso e non scrivete su questo, passate oltre e provate a fare un arco.
cercate un albero pensionato e incidete l’amore
armatevi di tavole in legno, una barca e un’ancora: scrivete insieme ai pesci e moltiplicatevi
leggete i grandi del passato e sconsigliatevi dai piccoli del presente
scrivete sulle camicie delle persone in fila alle poste
scrivete con la penna di un altro e sulla frutta che avete comprato
scrivete del sesso che avete amato e scrivete di loro
scrivete per voi perché altri scriveranno di noi.
amate l’amore
cogliete la natura
battezzate il bambino
e raccontate. raccontate!
che sia di paradiso o di inferno
il cerchio che v’ha ispirato
le 19 di ogni luglio
è così che sto, solo
incatenato da bracciali di ferro e avorio
coi capelli ritti e lavati
che fanno l’età.
dio solo saprebbe
come vorrei sentirmi alle 19 di ogni luglio.
lui immagine da diario per scolarette arrapate
sul letto dei sensi: tatto, tanto tatto,
tatto quanto l’avrebbe amato dio
se solo, solo lui in lingua italiana
sapesse farsi vivo con zaino sulle spalle e
dizionario della sopravvivenza tra le mani.
dio!
“dio perché m’hai abbandonato?”
come se non fossi figlio tuo
come mele marce che non trovano bocche
ma merda di questa terra pestata.
il sesso, dio che non fai la fila al supermercato,
l’hai creato tu e
alle 19 di ogni luglio ci penso e
insorge la rivoluzione nella mia testa e
sanguino come una vergine.
perdio!
impreco non per volerti uccidere
tu esistenza poetica
ma per le colpe
del bambino col mio nome
che alle 19 di ogni luglio vedo
raccogliere code di lucertole
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daniele_campanariDaniele Campanari è nato a Latina nel 1988.
L’esordio in poesia arriva a febbraio 2013 con la raccolta “Giocatore di whisky Bevitore di poker” (Lettere Animate; prefazione di Davide Rondoni). Sempre nel 2013 vince la Coppa Cinelli al premio Latina in Versi. A marzo 2014 riceve il secondo premio al Concorso Internazionale di poesia Castello di Duino (Trieste).
Cura e conduce per RadioLuna (Latina) “Lo Squilibrato”, programma che parla di libri. Insegna dizione e comunicazione verbale a Roma in collaborazione con l’Editrice Italia Semplice. È socio dell’associazione culturale Libero de Libero che ha ideato il Festival di poesia contemporanea verso Libero.
 
 

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