Il 18 settembre, alle ore 12.00, verrà inaugurata presso la Biblioteca dell’Arciginnasio di Bologna (Piazza Galvani,1) la mostra “Civiltà di carta: le più belle carte e filigrane attraverso i secoli.”
Si tratta di un insolito evento culturale che trae spunto dalla pubblicazione, da parte della Casa Editrice Tallone, del terzo volume del “Manuale tipografico dedicato all’estetica delle carte, delle filigrane e degli inchiostri” che raccoglie dal vero centosedici campioni delle migliori carte di straccio utilizzate per la stampa dei libri dal quattrocento ad oggi. Nella mostra, in un affascinante itinerario espositivo approntato dalla stessa casa editrice, sarà possibile ammirare in controluce trame e filigrane di sei secoli di civiltà della carta: dalle filigrane quattrocentesche di Caselle Torinese, utilizzate da Johan Gutenberg per la stampa della famosa Bibbia delle 42 linee (il primo libro a caratteri mobili della storia), alle straordinarie filigrane rinascimentali di Fabriano, Amalfi, Bracciano e Genova fino a giungere, in un percorso cronologico che illustra la storia della carta in Europa, ad importanti esempi della produzione cartaria Europea ed Asiatica del novecento. Chiude la mostra l’esposizione del Manuale Tipografico. (Nell’immagine Pablo Neruda e Enrico Tallone bambino).
La mostra rimarrà aperta fino al 20 ottobre 2014.
Prendendo le mosse da questa iniziativa vogliamo proporvi un’esclusiva intervista ad Enrico Tallone – figlio del grande Alberto Tallone e continuatore della sua attività di stampatore ed editore – incentrata sull’importanza e la funzione del libro nell’era del digitale e sul ricordo del grande poeta Pablo Neruda.
INTERVISTA A ENRICO TALLONE
di Fabrizio Fantoni
Enrico Tallone può descriverci, per grandi linee, la storia della casa editrice fondata da suo padre Alberto a Parigi nel 1938?
(Nell’immagine, il poeta Pablo Neruda e Alberto Tallone)
Proveniente da Milano, nel corso degli anni Trenta Alberto Tallone fu a Parigi promotore presso i più prestigiosi tipografi europei della collana “Maestri delle umane lettere editi da tipografi artisti”, omaggio di ciascuna nazione europea ai capolavori delle rispettive letterature. Si iniziò nel 1933 con la Vita Nuova di Dante in 4° composta a mano da Alberto ed edita da Léon Pichon (che approntò anche il progetto di una Divina Commedia), proseguendo con l’edizione in due tomi dei Canti di Leopardi in folio, anch’essa composta a mano da Alberto e edita a Parigi da Maurice Darantiere (1934), mentre in Italia, a Milano, Raffaello Bertieri realizzò sette progetti a stampa di Les Plaideurs di Molière e della Phèdre di Racine nel formato grande, su carta a mano di Fabriano filigranata Duca d’Este, usando i propri caratteri della serie Paganini magra e grassa fusi dalla Nebiolo di Torino. Nel 1935 uscì la terza edizione della Collana, le Odes di John Keats, per i tipi di Maurice Darantiere. Dato il rabbuiarsi del clima politico in Europa, l’iniziativa di coinvolgere maîtres imprimeurs di altri paesi (Germania e Inghilterra) divenne tuttavia di difficile realizzazione e fu Alberto a proseguire nell’impresa, pubblicando nel 1937 i Canti di Leopardi e nel 1938 la Phèdre di Racine nelle lingue originali. I volumi della Collana divennero l’asse portante del catalogo Tallone dal 1938 e dopo la guerra, durante la quale Alberto fu internato nel campo del Vernet presso i Pirenei insieme a molti esuli e fuoriusciti italiani.
Discendente da una delle più creative famiglie dell’ultima Scapigliatura lombarda, Alberto seppe creare una nuova estetica del libro di cultura del Novecento, elaborando pagine illustrate dai soli caratteri entro formati estremamente slanciati, in netta controtendenza con lo stile imperante nella prima meta del secolo, vocato alle imponenti prospettive razionaliste e alla moda del libro illustrato che, privilegiando le immagini, aveva ridotto il testo a pretesto e la tipografia a riempitivo.
La scelta senza compromessi di comporre a mano nel cuore di una capitale europea come Parigi in pieno periodo macchinista, iniziando con i caratteri rilevati dal settecentesco atelier di Darantiere, non fu dettata da nostalgia, o estetismo, bensì dall’esigenza di comporre i classici della letteratura europea con tipi di grande bellezza formale, leggibilità e forza espressiva, tratti daiz punzoni originali; i soli che, senza ibridazioni o rimaneggiamenti, trasmettono la calligrafia tipografica dei grandi incisori e dove le proporzioni delle lettere sono adattate di volta in volta alla dimensione dei corpi, creando un’atmosfera di grande ricchezza interpretativa sconosciuta allo standard industriale che, nel riprodurli, giunge al massimo all’elaborazione di due sole interpretazioni, una per i corpi grandi e una per quelli piccoli, mentre il maiuscoletto è ottenuto quasi sempre dalla semplice riduzione del maiuscolo.
Nel 1949 Alberto sentì l’esigenza di creare un nuovo carattere; si stabilì in luoghi di grande bellezza architettonica e paesaggistica, come la villa palladiana di Maser e l’isola di San Giulio sul lago d’Orta, per riassumere le idee elaborate nel corso degli anni e definire i profili di un carattere che potesse catturare lo spirito del tempo entro forme originali e moderne, evitando di partire dalla rielaborazione di qualche fortunato modello precedente, pur restando — per slancio e respiro — nel solco della tradizione aldina.
Fu Charles Malin, maestro parigino di un’arte che risale all’origine della tipografia, l’uomo capace di incidere sul vertice dei punzoni d’acciaio i suoi alfabeti con quella forza e vitalità che nessun pantografo o programma elettronico può offrire se non la mano del grande incisore, in perfetta comunione con l’autore. Le scritte incise sulle fontane di Roma nel Rinascimento, più che i lapidari di epoca augustea, ispirarono Alberto nel disegno degli alfabeti maiuscoli, nell’intento di unire alla severa classicità le suggestioni di un’ariosa freschezza, mentre le lettere del maiuscoletto si distinguono per la prestanza scultorea delle proporzioni, leggermente più compatte rispetto al maiuscolo.
II 15 ottobre 1960 l’inaugurazione festosa della nuova sede italiana nell’antica proprietà materna ad Alpignano, alla presenza di Luigi Einaudi, Donna Ida con il figlio Giulio, Riccardo Bacchelli, Giovanni Scheiwiller (giunto sulla fida bicicletta da Milano) e di tanti amici, estimatori e collaboratori riuniti attorno alla botticella di dolcetto di Dogliani, fu un esordio felice tra i banconi e le macchine nell’ampio locale che Pablo Neruda, due anni dopo, cantera così: «Pasé la sala clara en que hay quien trabajaba, el inmenso taller: reproducción casi exacta de la imprenta de Gutenberg. Las grandes mesas, los tipos que se cambian de mano a mano, depósitos del fragante papel maravilloso que produce Italia».
La Casa Editrice Tallone ha di recente pubblicato il terzo volume del “Manuale tipografico dedicato all’estetica delle carte, delle filigrane e degli inchiostri”.
Si tratta di un’opera di grande impegno che corona quel lungo percorso iniziato nel 2005 con la pubblicazione del primo volume del Manuale dedicato all’estetica dei frontespizi e dei tipi maiuscoli. Qual è il significato e lo scopo di un’opera così ampia, articolata in ben quattro tomi?
I Manuali Tipografici, sono stati concepiti con l’intento di descrivere, e mostrare, attraverso esempi e inserti originali, le finezze estetiche e tecniche applicate dai grandi creatori di caratteri e dai tipografi-editori nel corso di 500 anni di arte del libro, affinché questi postulati possano servire a migliorare le impaginazioni e le scelte dei caratteri. Si consideri che la trasmissione della cultura su carta come su schermo, è tutt’oggi espressa attraverso caratteri che, per il maiuscolo, ricalcano gli schemi dei tipi lapidari dell’epoca augustea, e, per il minuscolo, quelli basati sulle proporzioni rinascimentali fissate a Venezia dai tipi di Nicolas Jenson e da quelli incisi da Francesco Griffo per l’edizione del De Aetna di Pietro Bembo nel 1496; entro i loro profili la civiltà occidentale ha identificato il proprio paesaggio letterario e le loro proporzioni, in equilibrio tra bellezza ideale e forza espressiva, sulle quali le mode e il tempo non influiscono che molto lentamente, li rendono adatti al libro e alla lunga lettura. L’uso di questi alfabeti che a fine Quattrocento abbandonano la cadenza gotica per il ritmo latino, agevolando la lettura, dimostra come la memoria collettiva dei lettori abbia gradito e preservato la consonanza tra forme, suoni e contenuti di questi classici, dai quali discendono tutte le interpretazioni della vasta famiglia oggi generalmente censita sotto la denominazione di “Garamond”. Se questa scelta di civiltà non fosse stata compiuta, saremmo costretti a leggere da secoli attraverso i più utili e sintetici “vermicelli” stenografici, simili a quelli inventati e usati da Tirone, segretario di Cicerone, per mettere agli atti le sue celebri arringhe al foro romano.
In un’epoca in cui si fa un gran parlare di e-book lei dedica un’opera monumentale all’arte della tipografia. Tutto ciò può apparire anacronistico e di sicuro presuppone una grande fiducia nella resistenza al tempo della carta stampata ad onta di tutti coloro che ne prospettano il tramonto. Quale sarà secondo lei la funzione e il ruolo dell’oggetto libro nell’epoca della digitalizzazione?
Pubblicare oggi edizioni composte a mano è una sfida all’omologazione e all’appiattimento, dato che questa affascinante e lenta tecnologia, attraverso l’impressione nella carta, conferisce la terza dimensione alla stampa, esaltandone la chiarezza e la leggibilità. Inoltre, contrariamente ai grandi editori costretti per questioni industriali a uniformare i diversi titoli entro i formati standard delle collane, l’Editore Tallone ha sempre “vestito” ogni autore creando formati e impaginazioni su misura e scegliendo caratteri, carte e inchiostri consoni allo spirito dei testi, creando, nel corso di ottant’anni, una “biblio-diversità” unica nel panorama editoriale.
Il libro, composto di materia e di spirito, non terminerà la propria funzione nell’era digitale a patto che gli architetti del libro – che come nel nostro caso sono anche registi e scenografi delle opere letterarie – abbiano come fine il favorire l’intimo dialogo tra il lettore e l’autore, rendendo alchemicamente “trasparente” il proprio lavoro, ossia facendo emergere l’opera letteraria senza sovrapporvisi. Ma su questo argomento lasciamo la parola a Pablo Neruda, principe della poesia e amante dei libri, che fu grande amico di mio padre: «Nosotros impulsamos el libro multitudinario que alcance a todos los ojos, a todas las manos. Que se reparta por millones por ciudades, campiñas, talleres, minas y pescaderías. Pero tenemos los poetas la obligación de defender la perfección del libro, su cuerpo luminoso. Algunos pequeños sectarios han usado su invectiva contra algunos de mis propios libros, porque ellos demostraron que también la imprenta de Chile puede competir en decoro con otras más afamadas. No me importaron estos amargadísimos reproches: se publican también mis libros en las ediciones más populares y seguramente de más mínimo precio. Yo impulso unas y otras, y por razones diferentes» (Omenaje al libro y a Alberto Tallone, in Ode alla Tipografia, Edizioni Tallone, 2010).
Parlare di manuale tipografico significa richiamare alla mente l’opera di Giambattista Bodoni. In effetti le edizioni Tallone paiono riproporre i criteri tipografici e, più in generale, l’idea di libro coniata nella seconda metà del XVIII secolo da Bodoni. Qual è secondo lei l’eredità che il grande stampatore ha lasciato all’editoria moderna?
Giambattista Bodoni in epoca neoclassica fu maestro di chiarezza dalle impareggiabili doti di creatore e di lavoratore. I due tomi del suo Manuale Tipografico, contenente 290 alfabeti latini, 34 greci, 123 esotici, oltre a quelli gotici, musicali e ai fregi, gli valgono l’imperitura gratitudine della “repubblica delle lettere”. L’ammirazione nei suoi confronti cresce considerando che nell’officina bodoniana, per inchiostrare le forme, si utilizzavano i primitivi “mazzi”, tamponi in pelle imbottita di stracci che, dopo essere stati imbibiti d’inchiostro, dovevano essere lungamente soffregati l’un l’altro, per poi distribuire la tinta sui caratteri. Inoltre, dai torchi in legno, ben lontani dalle odierne precisioni centesimali, sortivano stampe nette e al contempo piene e materiche, grazie alla perizia degli artieri e alla lentezza del procedimento di stampa, che favoriva un lungo contatto fra i caratteri inchiostrati e la carta leggermente inumidita. Viceversa, nei sistemi di stampa attuali, a dimostrazione di quanto il fascino e la bellezza della stampa collimino solo raramente con i rigidi parametri tecnici della precisione meccanica, il fugace contatto della matrice con la carta, imposto dalle sempre crescenti velocità, riduce al minimo lo spessore del film d’inchiostro, sottraendogli la matericità che lo sostanzia.
Bisogna inoltre ricordare che non è corretto parlare di caratteri Bodoni, bensì di “bodoniani”, perché, essendo così vasta l’opera del maestro ed essendo presenti differenze estetiche tra i vari corpi dei suoi alfabeti al fine di proporzionare l’estetica delle diverse dimensioni – caratteristica comune a tutti i tipi incisi a mano sui punzoni –, sarebbe stato impossibile per le grandi fonderie riprodurre l’infinito numero di varianti.
I nostri Manuali Tipografici, dei quali l’ultimo tomo uscito nel 2013 è dedicato proprio a Bodoni nel bicentenario della sua scomparsa (1813-2013), rappresentano un tributo al grande maestro proprio perché l’impostazione e la luminosità delle sue pagine basate sulla nettezza del segno e sul contrasto fra il nero vellutato e il candore della carta rappresentano riferimenti estetici intramontabili. Inoltre, l’eredità che Bodoni ha lasciato all’editoria moderna è dimostrata dalla diffusione planetaria dei suoi caratteri, anche se tra le innumerevoli copie, derivazioni e interpretazioni digitali che continuano ad apparire, alcune ne disperdono l’armonica potenza entro un eccesso di rigidezza meccanica, mentre altre risultano più riuscite, perché vicine allo spirito degli originali.
Sfogliando il catalogo delle edizioni Tallone non si può fare a meno di notare un forte interesse per la poesia. Molti sono infatti gli autori da voi pubblicati: da Petrarca a Gozzano, da Dante a Cardarelli. Un grande sodalizio sembra inoltre legare la sua famiglia alla figura di Pablo Neruda che con suo padre, Alberto Tallone, pubblicò tutti i suoi libri più importanti. Che ricordo conserva del grande poeta?
Progettare le impaginazioni di libri di poesia è compito impegnativo e al contempo gratificante poiché l’estensione delle righe in larghezza e la quantità delle stesse può essere diversa in ogni poesia, soprattutto tra gli autori moderni e contemporanei. Cercare di mantenere il ritmo nelle diverse situazioni immaginative può richiedere di attingere a tutte le malizie del mestiere, giocando sugli spazi tra parola e parola, tra riga e riga e negli stacchi fra i periodi; oltreché scegliere in stampa il tono e la qualità dell’inchiostro più adatto alla dimensione dei tipi e al colore della carta.
Al fine di rimarcare l’importanza di questi studi, rivolti a onorare gli autori e le loro opere, lascio ancora la parola a Neruda che espresse in questi termini l’importanza dell’arte tipografica: «Ora questo mazzo di ombra antartica deve disporsi nella bella tipografia e affidare la sua rozzezza a Tallone, rettore della suprema chiarità, quella dell’intelletto. Nelle solitudini che mi originarono mai pensai di raggiungere tale onore, e affido queste pagine sparse alla rettitudine del grande stampatore» (Ode alla Tipografia, Edizioni Tallone, 2010).
Neruda apprezzava le opere di mio padre fin dagli anni Quaranta, quando entrambi erano a Parigi, anche se la conoscenza personale avvenne soltanto nel 1963 quando il poeta fu ospite ad Alpignano presso Torino, nella nuova casa-officina, inaugurata pochi anni prima da Luigi Einaudi. Era scritto nelle nere stelle dell’inchiostro come in quelle dorate della poesia che l’incontro del forgiatore di parole col regista dei libri dovesse un giorno avverarsi: rabdomanticamente uniti dalle scelte estetiche ben prima che si incontrassero di persona, nel 1938 avvenne che, in un momento cruciale della vita del poeta, durante la guerra spagnola, fu stampato nel monastero di Montserrat un suo libro di poemi (España en el corazon) per il cui frontespizio fu lo stesso Neruda a scegliere i nitidissimi tipi classici Ancien Romain; contemporaneamente a Parigi Alberto usava gli stessi tipi, fusi dalla celebre fonderia Deberny & Peignot, per il frontespizio delle Poesie di Ugo Foscolo.
I ricordi che serbo del grande poeta sono quelli di un uomo dalla voce d’agnello che amava la vita e stimava il lavoro cantandolo con parole coraggiose e comprensibili, che lo rendono universale. Figlio di un macchinista delle ferrovie cilene, fu entusiasta di trovare nel cortile dell’amico editore una locomotiva a vapore che mio padre aveva acceso in suo onore. Per questo a Isla Negra campeggia ancora oggi una locomotiva a vapore che volle posata davanti alla propria casa-museo.
Quali sono i progetti futuri della stamperia Tallone?
In queste settimane ha visto la luce il volume Alfredo De Palchi, 12 POESIE, un’antologia poetica in italiano e in inglese di Alfredo De Palchi, cittadino del mondo e di New York, che include un acquerello originale di Fulvio Testa, artista italiano famoso anch’egli negli Stati Uniti, il quale si è ispirato ai versi dell’amico poeta dipingendo un’opera originale per ognuno dei 90 esemplari. Le 12 poesie, in ordine cronologico, ripercorrono l’intera produzione del poeta, dalla fine degli anni Quaranta ai giorni nostri e per sottolineare il fattore tempo, il colophon è stato disposto a formare una clessidra.
Le prossime edizioni in uscita, entrambe programmate da lungo tempo, sono le seguenti: C. Collodi, Le Avventure di Pinocchio, autunno 2014; Grimod de la Reynière, Manuel des amphitryons, 2015.
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“Civiltà di carta: le più belle carte e filigrane attraverso i secoli”
Inaugurazione: 18 settembre alle 12.00
Biblioteca dell’Arciginnasio
Piazza Galvani,1
BOLOGNA
http://www.talloneeditore.com/