E il fulmine si vanterà della sua opera

 
bill_manhire[1]Nella poesia “Le vittime del fulmine” Bill Manhire raffigura il processo dell’ispirazione poetica come un evento repentino e inesorabile, cui la vittima, il poeta, è esposto senza riparo, cui anzi volutamente si espone quando si verificano le giuste condizioni perché il fulmine colpisca, quando la tempesta infuria, e tutto ciò che tende verso l’alto è a rischio di essere folgorato. La lingua poetica nasce quando la realtà ordinaria prende fuoco per un’improvvisa folgorazione, si sviluppa da una combustione, alimentandosi di fiamme e di calore. La creazione è consunzione che ri-genera. L’incendio della parola poetica fa tabula rasa della realtà per ricrearla, spezza il legame consueto esistente tra il mondo e l’idea che ne abbiamo, rovescia l’aderenza tra l’involucro della parola e il suo senso immediato, illuminando a giorno l’oscurità, in una inattesa e dolorosa alba interiore, che si riverbera in nuove scintille di significati.
Manhire è un alchimista, ma non uno di quelli che danno la caccia a ingredienti ignoti o esotici, da fondere in composti dal gusto tanto raffinato quanto inconsistente. Manhire si serve degli ingredienti del pane della parola quotidiana, ricombinandoli in nuovi, inconsueti composti, generando nuove risposte di sensi. La poesia di Manhire è sempre soprendente e, come il fulmine, improvvisa.
 

(dalla prefazione di Chiara De Luca)

 
Manhire_cover[1]Pochi scrittori sanno incunearsi nella dimensione più semplicemente e allo stesso tempo più profondamente poetica che è presente in tutte le cose, dandole spazio e suono senza sfasati slanci tonali e retorici. Bill Manhire (1946) è uno di questi: colto, sobrio, ironico, pungente, fulmineo di mente e di parola, ma sempre ‘leggero’, anche e soprattutto quando affronta tematiche ‘pesanti’. La plasticità della lingua inglese, sotto le sue mani, è un clavincenbalo davvero ben temperato attraverso cui ci giungono i suoi e i sensi di un paese lontano e di una letteratura ancora giovane eppure già distintamente matura. Il fulmine si vanterà della sua opera – un’ampia raccolta antologica curata e tradotta da Chiara De Luca – dà credito al più importante e influente poeta neozelandese, fin da giovane punto di riferimento umano e scritturale di coeve e future generazioni di poeti.
 

Marco Sonzogni

New Zealand Centre for Literary Translation

Victoria University of Wellington, New Zealand

  
On Originality
 
Poets, I want to follow them all,
out of the forest into the city
or out of the city into the forest.
 
The first one I throttle.
I remove his dagger
and tape it to my ankle in a shop doorway.
Then I step into the street
picking my nails.
 
I have a drink with a man
who loves young women.
Each line is a fresh corpse.
 
There is a girl with whom we make friends.
As he bends over her body
to remove the clothing
I slip the blade between his ribs.
 
Humming a melody, I take his gun.
I knot his scarf carelessly at my neck, and
 
I trail the next one into the country.
On the bank of a river I drill
a clean hole in his forehead.
 
Moved by poetry
I put his wallet in a plain envelope
and mail it to the widow.
 
I pocket his gun.
This is progress.
For instance, it is nearly dawn.
 
Now I slide a gun into the gun
and go out looking.
 
It is a difficult world.
Each word is another bruise.
 
This is my nest of weapons.
This is my lyrical foliage.
 
 
 
 
***
Sull’originalità
 
 
I poeti, voglio seguirli tutti,
uscire dalla foresta ed entrare nella città
o uscire dalla città ed entrare nella foresta.
 
Il primo lo strozzo.
Gli tolgo lo stiletto
e me lo fisso alla caviglia sulla soglia di un negozio.
Poi esco in strada
piluccandomi le unghie.
 
Bevo un drink con un uomo
che ama le giovani donne.
Ogni verso è un cadavere fresco.
 
C’è una ragazza con cui facciamo amicizia.
E lui si china sul suo corpo
per toglierle i vestiti
io gli infilo la lama tra le costole.
 
Canticchiando un motivo, gli tolgo il fucile.
Mi lego la sua sciarpa al collo con noncuranza, e
 
seguo la traccia del prossimo in campagna.
Sulla riva di un fiume gli scavo
un bel buco in mezzo alla fronte.
 
Commosso dalla poesia
metto il suo portafogli in una busta semplice
e la imbuco nella finestra.
 
M’intasco il suo fucile.
Questo è progresso.
Per esempio, è quasi l’alba.
 
Ora infilo un fucile nell’altro
ed esco a guardare.
 
È un mondo difficile.
Ogni parola è un livido in più.
 
Questo è il mio nido di armi.
Questo è il mio lirico fogliame.
 
 
***
Milky Way Bar
 
 
I live at the edge of the universe,
like everybody else. Sometimes I think
congratulations are in order:
I look out at the stars
and my eye merely blinks a little,
my voice settles for a sigh.
 
But my whole pleasure is the inconspicuous:
I love the unimportant thing.
I go down to the Twilight Arcade
and watch the Martian invaders,
already appalled by our language,
pointing at what they want.
 
 
***
Bar Via Lattea
 
Vivo al margine dell’universo,
come chiunque altro. Talvolta penso
di potermi proprio compiacere:
guardo le stelle
e il mio occhio ammicca appena un poco,
la mia voce si appresta a un sospiro.
 
Ma il mio sommo piacere è l’incospicuo:
Amo le cose inessenziali.
Passo sotto l’Arcata del Crepuscolo
e osservo i marziani invasori,
già atterriti dal nostro linguaggio,
ciò che vogliono lo puntano col dito.
 
 
***
Wellington
 
 
It’s a large town
full of distant figures on the street
with occasional participation.
Someone buys some shares,
another gets a piece of the action.
Foreign languages are spoken.
A good secretary
is worth her weight in gold.
The man himself
is sitting on a little goldmine.
And down on Lambton Quay
the lads in cars go past, it’s raining,
and the boys from Muldoon Real Estate
are breaking someone’s arm.
They don’t mean harm, really, it’s
nobody’s business, mainly free
instructive entertainment,
especially if you don’t get close
but keep well back like
all the distant figures in the crowd.
So you watch what you can
but pretend to inspect with interest instead
the photographs of desirable private
properties, wondering how close they go
to government valuation. That one’s nice.
The question is, do you put your hands
above your head or keep them
in your pockets. Do you want a place
without a garage, could you manage
all those steps. The answer is
the man would simply like you off the streets.
You haven’t even got a window
and his is full of houses.
 
 
Wellington
 
 
È una grande cittadina
piena di figure distanti sulla strada
con una occasionale partecipazione.
Qualcuno compra delle azioni,
qualcun altro trae vantaggio dall’azione.
Si parlano lingue straniere.
Una buona segretaria
vale tanto oro quanto pesa.
L’uomo stesso
siede su una piccola miniera d’oro.
E laggiù sul Lambton Quay
passano i burloni in auto, piove,
e i ragazzi del Muldoon Real Estate
stanno rompendo il braccio di qualcuno.
Non hanno cattive intenzioni, davvero, è
fuori discussione, è più che altro libero
intrattenimento culturale,
soprattutto se non ti avvicini
ma ti tieni in retroguardia come
tutte le figure distanti nella folla.
Così vedi quel che riesci a vedere
ma ti fingi interessato a studiare
le fotografie di appetibili private
proprietà, chiedendoti quanto si avvicinino
alla stima governativa. Sarebbe bello.
La questione è se ti metti le mani
sulla testa o le tieni
nelle tasche. Vuoi un luogo
senza garage, puoi gestire
tutti questi gradini. La risposta è
che l’uomo ti vorrebbe solo tirar via dalla strada.
Tu non hai nemmeno una finestra
e la sua è piena di case.
 
 
***
A Final Secret
 
Every morning, we the Loop say:
‘Will you enter creation?
I will enter creation.’
Then we have breakfast.
 
It is better if one Loop asks the question
and the next Loop answers,
and thus around the room,
especially if there are many Loop present,
until you are done. But if you are alone,
you may question yourself
and make your answer in a somewhat different voice.
 
Or you can use the same one, it is entirely your choice.
We the Loop do not make love any more,
we do not make decisions,
but we travel and explore, loving unlikely distance.
We have been called a nomadic nation.
We are always getting into our stride.
 
Today we crossed the sea of Dunedin, the great pedestrian waters.
We elbowed so many people aside.
We were in haste. We had heard
of another branch of the Loop, perhaps a tribe,
or perhaps it was only a village,
and, as fully expected, we woke on another shore.
The sun was shining on the wet sand, on the sails,
and somewhere ahead lay the heart of the nation.
Will you enter creation?
I will enter creation.
 
 
***
Un ultimo segreto
 
 
Ogni mattina, noi Loop diciamo:
“Entrerai nella creazione?
Entrerò nella creazione.”
Poi facciamo colazione.
 
È meglio che sia un Loop a porre la domanda
e il Loop vicino a rispondere,
e così tutt’intorno alla stanza,
specie se sono presenti molti Loop,
finché non ne puoi più. Ma se sei solo,
puoi porre a te stesso la domanda
e darti risposta con voce un po’ diversa.
 
O puoi usare la stessa, spetta solo a te la scelta.
Noi Loop non facciamo più l’amore,
non prendiamo decisioni,
ma viaggiamo ed esploriamo, amando improbabili distanze.
Siamo stati definiti una nazione nomade.
Teniamo sempre il passo.
 
Oggi abbiamo attraversato il mare di Dunedin, le grandi acque lente.
Abbiamo spostato a gomitate molta gente.
Avevamo fretta. Avevamo sentito
di un altro ramo dei Loop, forse una tribù,
o forse era soltanto un villaggio,
e, come previsto, ci risvegliammo sopra un’altra riva.
Il sole splendeva sulla sabbia bagnata, sulle vele,
e da qualche parte di fronte giace il cuore della nazione.
Entrerai nella creazione?
Entrerò nella creazione.
 
***
The Victims of Lightning
 
A good poet is someone who manages, in a lifetime of standing out
in thunderstorms, to be struck by lightning five or six times; a dozen
or two dozen times and he is great.
 
Randall Jarrell
 
 
Often they are naked; clothing is scattered
across a field; or trousers and shirt
appear in some nearby village –
a little tattered, waiting to be folded.
Sometimes with women the chemise is scorched,
yet – strange – the dress and petticoats are spared.
As in war, men are in extremest danger.
‘His shoes remain on his feet!’ cries the wife,
who then begins to weep; and yes, there are boots
at the end of the man’s pale body. Height
is always there at the heart of peril:
a shepherd with staff moving among his sheep,
the tall fisherman lifting his rod, those boys
who huddle beneath a tree . . .
all in their way supply attraction. Even a raised umbrella,
black in the sky, means danger.
 
And lightning will boast about its work.
It likes to leave an illustration.
On one man’s trunk, a grove of pines.
On another a flower, or spider’s web.
An ancient pear tree is destroyed
yet shows the branches of itself
on the waggoner’s wide chest.
And sometimes it leaves us nothing:
 
it digs a trench and perforates the bones.
Over there, the farmer stands erect
as if he is posing with his cattle . . .
yet, tiptoe across the field, and touch . . .
well, every creature crumbles!
 
Some who survive wish to be studied.
I show them to my special room,
ask for a poem, or request a song.
They complain of melancholy and despair,
of ringing in their ears, of cramps. No one
retains the charge, though some believe they do.
Some walk with difficulty, others feel it in the brain.
The blind man regains his vision, yet now is deaf.
An imbecile is rendered sane.
A friend reports how lightning struck a church
and only the minister was spared.
The arrow of the belfry flew across the fields.
 
Nature is full of mystery: ephemeral realm
with permanent effects. And always accumulation
reminds us what is next: thunder in distance, choc de retour.
And silence in schoolroom and cathedral . . .
and body like paste, tongue torn from its roots . . .
so that we move to close the open door.
Outside, the poet lifts his pen, and waits.
The widow raises her umbrella.
 
***
Le vittime del fulmine
 
Un buon poeta è quello che riesce, espondendosi per una vita intera
ai temporali, a farsi colpire dal fulmine cinque o sei volte; una dozzina
o due ed è un grande.
 
Randall Jarrell
 
 
Spesso sono nudi; i vestiti sono sparsi
in un campo; oppure maglietta e pantaloni
compaiono in un paese vicino –
un po’ sbrindellati, in attesa di essere piegati.
Talvolta se sono donne la camicia è bruciacchiata,
eppure – stranamente – vestito e sottoveste risparmiati.
Come in guerra, gli uomini nel più estremo pericolo.
“Gli restano le scarpe ai piedi!” grida la moglie,
che poi comincia a piangere; e sì, ci sono degli scarponi
all’estremità del pallido corpo dell’uomo. L’altezza
è sempre là nell’occhio del ciclone:
un pastore col bastone si muove tra le pecore,
l’alto pescatore che solleva la canna, questi ragazzi
che si accalcano sotto un albero . . .
tutti a modo loro attraggono. Anche un ombrello sollevato,
nero contro il cielo, comporta pericolo.
 
E il fulmine si vanterà della sua opera.
Ama lasciare una illustrazione.
Sul busto di un uomo, un bosco di pini.
Sopra un altro un fiore, o una ragnatela.
Un antico pero è stato distrutto
eppure mostra le sue ramificazioni
sull’ampio petto di un carrettiere.
E talvolta non ci lascia nulla:
 
scava una fossa e perfora le ossa.
Lassù, il contadino sta ritto
come stesse posando con il bestiame . . .
eppure, solca il campo in punta di piedi, e tocca . . .
bene, tutte le creature crollano!
 
Alcuni sopravvissuti vogliono essere studiati.
Li conduco nella mia stanza speciale,
chiedo loro una poesia, o richiedo una canzone.
Si lamentano di malinconia e disperazione,
di campanelli nelle orecchie, di crampi. Nessuno
trattiene la carica, anche se alcuni credono di farlo.
Alcuni camminano a stento, altri l’avvertono nel cervello.
Il cieco riconquista la vista, eppure ora è sordo.
Un imbecille è fatto rinsavire.
Un amico racconta che un fulmine ha preso una chiesa
e soltanto il sacerdote è stato risparmiato.
La freccia del campanile è volata per i campi.
 
La natura è piena di mistero: effimero reame
con effetti permanenti. E l’accumulazione ci ricorda
sempre cosa viene dopo: tuono lontano, choc de retour.
E silenzio in aula e nella cattedrale . . .
e corpo come colla, lingua strappata alle radici . . .
così che ci muoviamo per chiudere la porta.
Fuori, il poeta alza la penna, e aspetta.
La vedova alza l’ombrello.
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Edizioni Kolibris, Collana Kiwi – Poesia neozelandese
Bill Manhire, E il fulmine si vanterà della sua opera*. Poesie scelte
Traduzione e introduzione di Chiara De Luca
Con una nota di Marco Sonzogni  € 15

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*Nota:
Questa antologia di poesie scelte è stata originariamente pubblicata dalla Victoria University Press di Wellington nel 2012 con il titolo Selected Poems, e ripubblicata da Carcanet Press di Manchester nel 2014. Il titolo che abbiamo scelto per l’edizione bilingue è un verso di Bill Manhire tratto dalla poesia “Le vittime del fulmine”, contenuta nell’omonima raccolta (The Victims of Lightning, Victoria University Press 2010).
Notizia sull’autore
Bill Manhire è nato a Invercargill nel 1946 ed ha studiato alle Università di Otago e Londra. Attualmente è alla guida dell’Istituto Internazionale di Lettere Moderne della Victoria University di Wellington e ne dirige il prestigioso programma di scrittura creativa. Tra i laureati del corso sono annoverati alcuni tra i più validi scrittori contemporanei neozelandesi (tra cui Barbara Anderson, James Brown, Kate Camp, Catherine Chidgey, Barbara Else, Kapka Kassabova, Elizabeth Knox, Emily Perkins e William Brandt).
Nel 1997, Bill Manhire è stato il primo Poeta Laureato neozelandese in assoluto, nell’ambito di un programma sponsorizzato dal Mata Estate. Per celebrare il suo mandato di poeta Laureato ha pubblicato la raccolta di poesie What To Call Your Child [Come chiamare tuo figlio]. Il nucleo della raccolta è costituito da una sequenza di poesie nate da una visita di Manhire in Antartide nel 1998. Il poeta trascorse due settimane sul ghiaccio, e 45 minuti al limite dell’eroismo nel Polo Sud. Il fascino esercitato su di lui dall’Antartide è sfociato in The Wide White Page: Writers Imagine Antarctica [La grande pagina bianca: Scrittori immaginano l’Antartide], un’antologia di scritti sull’Antartide, curata e introdotta da Manhire e pubblicata dalla Victoria University Press nel novembre del 2004, risultata finalista al Montana New Zealand Book Awards del 2005.
Nel 2004 Manhire ha ricevuto una Meridian Energy Katherine Mansfield Fellowship, la più prestigiosa fellowship neozelandese e ha trascorso sei mesi di lavoro a Villa Isola Bella, Menton, nel sud della Francia.
Nel giugno del 2005, in virtù dei suoi meriti letterari, Manhire è stato nominato “Companion” del New Zealand Order of Merit. Nel novembre del 2005 è stato incluso tra i cinque Poeti laureati della Arts Foundation della Nuova Zelanda.
Oltre che numerosi volumi in prosa, Manhire ha pubblicato numerose raccolte poetiche ed è stato quattro volte vincitore del New Zealand Book Award. Ha curato diverse antologie di poesia neozelandese e di racconti brevi e una raccolta di suoi saggi e interviste dal titolo Doubtful Sounds (VUP, 2000). Le sue conversazioni con Kim Hill alla Radio Nazionale avevano un ampio seguito e contribuirono molto ad accrescere l’interesse per la poesia in tutto il paese.
I suoi Collected Poems 1967-1999 sono stati pubblicati Victoria University Press in Nuova Zelanda e da Carcanet Press (Manchester) nel 2001.
I Selected poems, che qui presentiamo in edizione bilingue con il titolo E il fulmine si vanterà della sua opera, sono stati originariamente pubblicati dalla Victoria University Press nel 2012, e ripubblicati da Carcanet Press nel 2014.
 
 
 
 

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