Introduzione
La poesia la scrivono in troppi, la leggono in pochi e non la compra nessuno. E può anche starci, perché tra manierismi di ritorno, sperimentalismi fuori tempo massimo, più una frotta sterminata di prove imbarazzanti di dilettanti allo sbaraglio, la voglia di comprare poesia scemerebbe in chiunque. Peccato. Perché talvolta, in questo grande e avvilente marasma, vede la luce qualcosa che invece riconcilia: l’opera prima di Davide Tartaglia è una di queste piccole perle. Che sta a significare più cose: la prima, che al di là di tante categorie allotrie (le generazioni, le tematiche, le militanze, etc.) può ancora esistere – ed esiste; e tenacemente resiste – una “poesia onesta”; che questa “poesia onesta” è figlia di una grazia di stato che, con buona pace delle scuole di scrittura, soffia il suo vento dove vuole; infine, che questa grazia, nel concedersi, ancora evoca (e pretende) una sempre più profonda confidenza con la biblioteca e i suoi ospiti, nel fiume ininterrotto del grande stile. Credo siano elementi di ottimo auspicio per la nostra tradizione futura.
(Filippo Davòli)
LE MADRI
Io non conosco
il vasto silenzio delle madri.
Il loro eroico resistere
voltate di spalle
nella penombra dietro la finestra
dove la tenda si schiude appena.
Neanche quando piango
comprendo le loro lacrime
il dolore muto nei petti
il riposo delle palpebre
allo spegnersi dei crinali.
Ma è il congedo che non è mio:
quell’ultimo sguardo
appoggiato sull’uscio
che mentre abbandona
possiede tutto.
*
CONFINI
Netta è la linea del mio gesto.
Cortina immobile mangiata dai sali
che ancora resiste al murmure delle acque.
E ancora ci separa.
Rimango io
come il marmo bianco di questo palazzo
e le mie parole
statue che fissano la solitudine del chiostro.
Che occorra sgretolarsi
per ascoltare il suono della pietra?
Forse protendersi
aggrappato in un punto
come questo lembo di terra
in riposo sul mare.
*
A LUZI
La tua poesia tinge il mare di rosso
[– di buio e gravità –
rammentavi].
E io fuggo scivolando su acque cristalline
dalla quale emerge il fondo
confondendosi.
È una svista il tuo canto
che mi raggiunge
in questa afasia di fiori recisi
e si dipana l’oltre:
Guardo i viottoli inerpicarsi
ascolto la collina
e quell’angolo di pietra scavata
dove immacolate
le tue parole prendono carne.
*
RITORNO AD ANCONA
Al porto si affaccendano le vite
prima che faccia giorno. L’inquietudine
è quella del tuo sguardo schivo
tra le case abbarbicate ai vecchi colli,
mani tese al ritorno dall’elemosina.
Ma io torno a cercare il tuo respiro
quando la luce si introduce silenziosa
tra le pieghe del tuo viso e lo umanizza,
lo rende vivo, ti fa donna. Allora
incautamente mi abbandono a te.
Sei una terra straniera, sei una lingua
incompresa, talvolta combattuta.
Accoglimi, ti dico, accoglimi:
ho il cuore in subbuglio per l’attesa.
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Davide Tartaglia è nato nel 1985 ad Ascoli Piceno, vive da dieci anni ad Ancona e lavora a Chiaravalle (AN). Socio fondatore dell’associazione culturale “Quid Culturae” è anche redattore dell’omonima rivista. Suoi scritti ed interventi critici sono comparsi su diverse riviste. “Figure del congedo”, pubblicato dai tipi di Italic Pequod, è la sua opera prima.