di Silvana Lazzarino
Classico e moderno, legato alla tradizione con rappresentazioni equilibrate e sobrie, ma anche proiettato verso vedute simboliste e poi espressioniste, nonché orientato al gusto monumentale, Mario Sironi (Sassari 1885- Milano 1961), tra i protagonisti della pittura del Novecento italiano, ha condensato nella sua produzione artistica le diverse tendenze con cui si è venuto a confrontare nel corso della sua vita. Aperto alle novità e ancorato a certi canoni stilistici e formali dal gusto classico, Sironi fa dell’arte un mezzo per dar voce al suo modo di vedere e osservare la società italiana nel suo evolversi tra gli anni Trenta e la ripresa dopo il conflitto mondiale. Artista tra i più significativi della sua epoca, Sironi, definito da Guido Ceronetti pittore “notissimo e sconosciuto”, apprezzato e stimato dai suoi colleghi, sebbene mussoliniano, con la sua arte non ha sposato il senso della rivoluzione fascista facendo propaganda, ma ha testimoniato la verità di una società ferita capace di risollevarsi, filtrando caratteri e stati d’animo sospesi tra tensione e dramma, in cui talora compaiono bagliori di speranza. Alla sua arte che resta sempre viva e attuale nel tempo è dedicata un’interessante retrospettiva in corso presso il Complesso del Vittoriano di Roma fino all’8 febbraio 2015. Patrocinata da Presidenza del Consiglio dei Ministri, Senato della Repubblica Camera dei Deputati Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, in collaborazione con Regione Lazio Roma Capitale e Istituto per la storia del Risorgimento italiano, la mostra è prodotta e organizzata da Comunicare Organizzando.
Curata da Elena Pontiggia in collaborazione con l’Archivio Sironi di Romana Sironi, la mostra presenta oltre novanta opere tra dipinti, bozzetti, riviste e un importante carteggio con il mondo della cultura italiana del Novecento, che ripercorrono l’intero arco della sua attività: dagli anni giovanili quando quindicenne aveva aderito alla corrente simbolista, all’ultimo periodo della sua vita caratterizzato dalle “Apocalissi” risalenti a pochi mesi prima della sua morte a Milano nel 1961. Un percorso che testimonia il suo essere poliedrico nell’interagire con diversi stili e linguaggi sempre proiettato verso un discorso che vede in prima linea l’interesse per l’uomo immerso in un contesto sociale difficile dove la cultura acquista un ruolo importante. L’esposizione ricostruisce tutti i passaggi linguistico stilistici del grande maestro: dal sentire simbolista a quello futurista, dalla fase metafisica alla pittura murale monumentale. Si procede così dai temi legati all’universo domestico e intimista con La madre che cuce dove si avvertono influenze divisioniste, a quelli proiettati verso il mondo esterno di cui coglie l’aspetto evasivo come Il camion in cui traspare il richiamo alla pittura futurista, per poi toccare la percezione metafisica con La lampada. Verso la fine degli anni Venti si distacca da rappresentazioni dal segno nitido per orientarsi verso una fase espressionista dove prevalgono una linea nervosa e una pennellata decisa e violenta.
Degli anni Venti sono anche i disegni per le illustrazioni di giornali tra cui “La Tribuna”, mentre dal 1930 al 1935 Sironi collabora anche per la Fiat di cui si cita la pubblicità per la Fiat 600.
Particolarmente significative del percorso espositivo sono le opere monumentali come: Il lavoratore (1936), Lo studente e L’Impero (1936). A riguardo la curatrice Elena Pontiggia afferma; ”la grandiosità di quella che, non per caso, è chiamata Città Eterna influenza profondamente la sua concezione dell’arte. L’ideale della Grande Decorazione che Sironi coltiva negli anni trenta si forma in lui ben prima di quegli anni (e ben prima del fascismo), guardando l’Arco di Tito e il Colosseo, la basilica di Massenzio e la Colonna Traiana, il Pantheon e le Terme di Caracalla, gli affreschi di Raffaello e di Michelangelo”. Sono pitture murali monumentali suggestive che richiamano un senso di eterno e di questa monumentalità Sironi si compiaceva proprio perché attraverso il “far grande” non si possono esprimere sentimenti piccoli, intimisti, legati soltanto al suo ego. Scegliendo di dedicarsi alla pittura murale non destinata alla vendita, al mercato e al ricco collezionista, egli vuole rivolgersi ad un pubblico più vasto, al popolo perché è un’arte che vive nelle strade e le trasforma arricchendole.
L’uomo con il suo vivere tra drammi e tensioni, il suo nobilitarsi anche attraverso il duro lavoro, sono al centro della sua opera il cui stile è sobrio ed equilibrato senza sbavature, ma che nell’ultima fase diventa meno compatto cedendo a sgretolature dove dominano immagini di crolli, in linea con la crisi vissuta dall’artista anche in seguito al suicidio della figlia diciottenne. Un’arte che nell’ultima fase è avvolta da toni cupi dominanti sugli spiragli di luce a scandire la fatica quotidiana dove regnano incertezza e timore.
Le ultime Apocalissi in particolare evidenziano questo malessere e questa velata disperazione: i colori sono spenti e scuri ad indicare non un messaggio di serenità e abbandono al respiro della luce, ma una profonda inquietudine ed angoscia dovute al senso di impotenza dell’individuo innanzi ad un natura spesso crudele cui deve cedere.
Uomo e artista cui non si può dare una precisa e definitiva collocazione, Sironi nel suo percorso ha preso parte ai più importanti movimenti del XX secolo. Ancorato al genere classico, tra i protagonisti del Ritorno all’ ordine in Italia e orientato verso il richiamo espressionista egli ha mantenuto uno sguardo classico ed introspettivo nel restituire immagini drammatiche e forti, ironiche e amare di una società che cambiava velocemente il proprio corso sotto i suoi occhi.
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MARIO SIRONI 1885 1961
Roma- Complesso del Vittoriano
Via San Pietro in Carcere, Ala Brasini, Salone delle mostre temporanee
Orari: dal lunedì al giovedì 9.30 –19.30;
venerdì e sabato dalle 9.30 – 22.00; domenica 9.30- 20.30
fino all’8 febbraio 2015
Anche i lontani si incontrano, forse troppo tardi… poi il vitale proverbio popolare
“meglio tardi che mai” viene per rassicurarci che non siamo mai soli.