Le storie di Guido Monti

                                                          
                                                          
Nota di Alberto Pellegatta
Il titolo del nuovo libro di Guido Monti, Fa freddo nella storia (Stampa, Varese 2014) proviene da un testo di Giorgio Caproni che continua così: «Voglio andarmene. Dove / anch’io, col mio fucile scarico, / possa gridare: Viktoria!». È con questa premessa che l’autore ci porta davanti al grande«fondale della storia». Il discorso si apre su una realtà inquieta, in disfacimento, per «grattare quel vuoto» e raggiungere una «fina liberazione», una fine «sempre più vocativa».
Sono i paesaggi di Rosai e Morandi, della grande pittura «nostrana»: una «stradina ingoiata / dalla festa», la «furia del malore», i «platani a cornice». Luoghi dove «rattrappisce il brivido» e si «urla col dialetto». Qui il sole diventa «uno spillo sulla schiena». Gli ingredienti che entrano «pozzo nero» del racconto sono «l’udito» e «la fantasia». Tra lambrusco e limoni, barbagianni e «rosse volpi», in paesini sul Po con «cose tristi e finali», «gironi e gironi / di lenzuola», «baracconi di giostrai» e teste diaboliche, si ambientano queste storie «minime», che sembrano sprofondare nella«grande pianura» di Umberto Bellintani. Come scrive Maurizio Cucchi nell’introduzione, il merito di questo libro «è anche quello di non scivolare nei rischi di un atteggiamento ideologico, bensì verificare di persona, immerso in una realtà dalla quale partono i suoi spunti riflessivi e alla quale costantemente ricorre nei suoi testi. Una realtà dove emergono numerosi personaggi, figure ruvide di antieroi, che hanno in sé la portata dei mutamenti d’epoca». Personaggi che hanno le «facce di pescatori e marinai scamiciati», «omoni da bestemmia», atleti come Bartali, anonimi bevitori da mercato e «languide rumene».
guido_monti_coverIl linguaggio, sempre aggiornato e «raso raso», contribuisce a creare una voce «paonazza» e«notturna», un «tono / sulle acque». Per questo la parola poetica ha un «continuo inizio» e un«alfabeto contrastato», che «indica e mastica». Così diventa farmaco: «poca parola che vieni, cura». Per descrivere meglio ciò che ci circonda: «fabbri, muratori, sono così dentro il reale / è la forza manuale del fare // vengono in studio anche gli ubriachi, i pazzi / io li ascolto, del loro esistere amo il nero». La tensione morale evita, infine, ogni sfilacciamento: «non dice solo esiste e finisce».
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Guido Monti è nato a San Benedetto del Tronto nel 1971. Laureato all’Università degli Studi di Bologna, collabora con la «Gazzetta di Parma» e altri periodici letterari: Dal 2013 dirige diverse iniziative culturali per il comune di Reggio Emilia. Suoi testi sono apparsi su Almanacco dello Specchio, Italian Poetry Review, Paragone e Nuovi argomenti. Ha pubblicato i volumi Millenario inverno (Book editore 2007, a cura di Alberto Bertoni, premio Bonaccossi), Eri Bartali del gioco (Fioroni 2008, a cura di Eugenio De Signoribus) e Accademico di nessuna accademia. Conversazioni con Gianni Scalia (Marietti 2010).

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