«Ma noi tutti siamo senz’altro vuoti. Siamo vuoti nel momento stesso in cui ci troviamo in società oppure ci dedichiamo alla cultura. Sì, perché la cultura stessa non è certo nient’altro che l’incarnazione della vanità. La cultura deve essere vacua. E chi rinuncia in tutto e per tutto alla vanità è perduto, oppure sacrifica se stesso», con questa citazione da Robert Walser inizia il libro d’esordio di Alessandro Pancotti, trentenne milanese vincitore del Premio Maconi e del Premio Camaiore. Una raccolta, Le iniziali, che si incentra sul tema dell’identità, indagando a fondo «il rincuorato lui». La poesia di Pancotti colpisce per la sua freschezza e per la capacità di scavo sul linguaggio. Le sue immagini sanno creare attrito: parola e soggetto si fondono e provano, rischiando, a costituire un’unità. Una vicenda che sembra non avere un inizio («tutto compone / inesorabile scinde stabilisce / e s’accompagna») ma che, attraverso la scrittura, ritrova la propria ragione: «nel filo conduttore della mia fantasia / ho dovuto riscrivermi… Ma sono fermo ora fermo / oltre ogni me oltre il termine / di qualsivoglia radice». Una ricerca che porta alla disgregazione («E non so più / come firmarmi»), fino alle estreme conseguenze: «e questa mano / questa qui, incredibile eh? Non si sa / da dove sia venuta fuori». L’individuo, «sovrastato» da un dolore «risucchiato in un nome», «annaspa» per «una vita intera, una vita / in anticipo». Il sogno si confonde alla veglia in questo viaggio «infarmacato»: «incessanti sonni senza sonni / inadeguate prodezze e acquerelli / smeraldo nella scena incalzante, precoce». E anche l’amore è ricondotto a dettagli quotidiani («E a ogni semaforo i caschi si toccavano»), alla ricerca di un senso mancante per «far finire la domenica»: «te ne stavi lì come questa poesia, a precipitare / a significare più niente». C’è un carattere selvaggio acquattato in questi versi che non sbavano e riflettono la solidità di letture “disordinate” (da Robert Walser ai grandi narratori americani, ai poeti del secondo Novecento). La ricerca sul linguaggio è spinta al massimo (per esempio nella seconda sezione), a riscoprire una rinnovata aderenza alla vita. Perché lo scarto non è mai indolore. Una poesia dalle cadenze milanesissime, che rimontano al Cucchi de Il disperso e a Luciano Erba, e insieme esotiche, da legione straniera o da romanzo d’avventura.
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Il lunedì talvolta uscivamo di casa presto
Sole freddo quella mattina
In motorino ti chiesi
Chissà che fine faranno questi giorni
Con ogni risposta attesa
In mano non avevo più domande
Un tremore proibito
Al mio viso compariva negli specchietti
Tu in silenzio –
Più in là verso Piazza Velasca
Credendo a tutto e a niente
Facevo spallucce al mondo
Negli spazi interni tra i vestiti e la pelle
Riecheggiava soltanto il mio dove saremo
Tra un anno o due cinque o sei – domani
O soltanto tre quattro ore – dove?
E a ogni semaforo i caschi si toccavano…
Mattinate di pensieri
…
Appena verde
In attesa o meno di…
[Qualcosa] ricominciava
– Ma cosa?
Talmente vicini da stare lì per caso
Senza scelta nel traffico
Immersi – ricordi?
Canticchiavo quella vecchia canzone
Francese di Tiny Yong
Tu Es Le Roi Des Menteurs…
Tra la speranza infinita e la sfiducia desolata
Mentre tu sigaretta in bocca da dietro
Tra l’impossibile rinuncia e l’addio senza scuse
Mi interrompevi spesso – lasciandoti
Ogni tanto sfuggire un abbraccio.
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da: “Le iniziali”, di Alessandro Pancotti, Lietocolle, Como 2014 (Collanina Apolide, a cura di Mary Barbara Tolusso) euro 13
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Alessandro Pancotti ha 33 anni, è laureato in Economia e Commercio all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. A Milano vive e lavora nel settore import-export e pratiche doganali. Ha pubblicato una raccolta di poesie: Le iniziali (LietoColle 2014, Premio Mauro Maconi e Premio Camaiore Opera prima). Alcune sue poesie inedite sono uscite su «l’immaginazione» (n.281) e nella rubrica Poesia di ricerca di «VivereMilano».