LEVANIA

 

levania 3 coverÈ uscito il n. 3 di “LEVANIA” (dicembre 2014), rivista di poesia e di arte edita da Iuppiter e redatta da Carmine De Falco, Marco De Gemmis, Costanzo Ioni, Eugenio Lucrezi (direttore responsabile), Paola Nasti, Marisa Papa Ruggiero, Enzo Rega ed Enza Silvestrini: gruppo tutto campano che propone testi inediti di autori italiani ed internazionali.

Dopo l’editoriale di Lucrezi, incentrato sulla centralità del simbolico nelle arti, il lettore s’imbatte in un’ampia scelta dei nuovi taccuini di Stelio Maria Martini, grande autore dell’Avanguardia, che svariano tra poesia e filosofia, cinema e politica, passato e futuro delle arti. Seguono due poesie di Franco Buffoni, accompagnate da uno scritto dell’autore e tratte dall’intenso racconto in versi Jucci, appena edito da Mondadori; un sonetto di Mariano Bàino, poeta che scrive romanzi inaspettati, e un poemetto di Angelo Petrella, romanziere e autore di versi inattesi, entrambi introdotti da Lucrezi; le traduzioni in portoghese di Ana Luísa Amaral delle poesie di Emily Dickinson, accompagnate da versioni in italiano di Luca Benassi, Bruno Galluccio e dei redattori De Falco, Lucrezi e Nasti, alla quale si deve anche lo scritto introduttivo della sequenza; l’esordio in versi di Flavia Balsamo, accompagnato da una nota di De Falco.

L’artista del numero è Carlo Bugli, le cui tavole stralunate e furibonde sono introdotte da un testo critico di Marco De Gemmis.

In coda, le recensioni di Marco Palladini, Sergio Spadaro e dei redattori Lucrezi, Nasti, Papa Ruggiero e Rega ai libri recenti di Gianni Toti, Carlangelo Mauro, Stelvio Di Spigno e Carla Saracino, Pino Vetromile, Marco Palladini, Biagio Cepollaro, Ferdinando Tricarico, Annamaria Ferramosca e Giorgio Linguaglossa.

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LEVANIA n.3 , editoriale

Partendo da una riflessione sul Freud del Disagio della civiltà, James Hillman, nel saggio ”Anima mundi”, il ritorno dell’anima nel mondo, scrive che «a situare la psicopatologia esclusivamente nella realtà personale, si compie una rimozione delirante di quella che è oggi la nostra effettiva esperienza. […] Fino a non molto tempo fa, si era soliti dire che i problemi psicologici erano intra-soggettivi; più di recente, il disturbo del paziente è stato collocato nelle sue relazioni sociali, e i suoi problemi considerati inter-soggettivi. In entrambi i casi il mondo rimaneva esterno, una specie di fondale contro il quale faceva le sue apparizioni la soggettività». La malattia oggi, invece ed evidentemente, è «là fuori», il mondo è a sua volta soggetto di una grande sofferenza, ed esibisce sintomi, esattamente come le persone e i gruppi sociali.

Hillman, riconoscendo nella tradizione classico-umanistica la fonte delle scienze psicologiche, ha chiesto spesso aiuto agli umanisti e ai poeti, per esempio individuando negli “universali fantastici” della Scienza Nuova di Gianbattista Vico un’anticipazione della teoria archetipica junghiana.

A noi che siamo interessati alla poesia serve qui rovesciare, a nostra volta, le osservazioni dello psicologo sull’insufficienza della visione soggettiva, per domandare: da dove provengono le figure, e le formule, che costituiscono il testo? Vengono dall’interno della mente, o arrivano da fuori? E dunque: il lessico, la grammatica e la sintassi del mondo immaginale arrivano alla costruzione del testo per saturazione o per svuotamento del sé dello scrivente?

Un testo poetico è un oggetto linguistico, e metterlo insieme comporta l’invenzione di immagini fatte di parole e di frasi. Il verbo latino invenire significa trovare, e il campo in cui cercare è il corpus, carico di tempo e di stratificazioni storiche, della lingua. Che il poeta intende come un repertorio di forme e insieme di formule, se, come scrive Agamben in Ninfe, a proposito  degli studi di Milman Parry sui poemi omerici, «la tecnica di composizione orale dell’Iliade e dell’Odissea si fonda su un vasto, ma finito repertorio di combinazioni verbali».

Oggetto linguistico, e dunque storico, la poesia  è pertanto, per sua natura, impersonale, e tanto più lo è quanto più è consapevole del proprio statuto, e dunque della propria iscrizione nei registri di competenza. Ma la competenza linguistica è altro dall’iscrizione nel mundus imaginalis, al quale, estraneo com’è alle abitudini autorappresentative della tradizione confessionale, opposto com’è ai riti dell’auto-ostensione del soggetto, sono del tutto estrinseche le ginnastiche dei grammatici.

Immaginare presuppone la capacità di pensare simbolicamente l’antico, che è quanto di più vicino all’eterno ci è dato figurarci; e presuppone la frequentazione di quegli spazi intermedi «tra l’0scurità della coscienza mitico-religiosa, che identifica più o meno immediatamente immagine e significato, e la chiarezza della ragione, che li mantiene in ogni punto distinti» (ancora Agamben, in Ninfe), che sono propri della dimensione simbolica.

La convocazione delle immagini richiede la frequentazione di questi spazi incerti. Spazi di accoglienza di antiche figure che la modernità ha disanimato, che soltanto lo svuotamento del soggetto può vivificare nello Stillstand benjaminiano, attimo che fulmineamente si accende tra passato e presente.

In cauda. Non è un caso che questo numero di Levania sia in buona parte dedicato ad un autore importante del fronte  attuale dell’Avanguardia, che un secolo fa volle togliere l’“aura” alle arti. Pavel Florenskij ha scritto ne Le porte regali: «C’è la tentazione di prendere per immagini spirituali le fantasticherie che circondano l’anima». Facciano dunque attenzione quanti non distinguono tra mistica e poesia: la dimensione religiosa, contemplativa e aniconica, è diversa da quella artistica, che è fattiva e figurale.

(eugenio lucrezi)

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