Pedro Serrano, “Torba”

 

pedro-serrano[1]Nota di Stefano Serri

Un mondo di pietra, che s’indurisce e poi si sbriciola, è il protagonista di Torba, quarta raccolta poetica di Pedro Serrano. Nell’universo dell’artista messicano la parola, il corpo e la storia si solidificano, diventando labirinto: il poeta non è che un fossile e anche le emozioni si fanno inorganiche. Ma la solidità minerale della realtà cede alla frattura e “la geometria rugosa della storia” si risolve in una fuga di frammenti non più correlabili tra loro. Anche il linguaggio risente di questa sfaldatura, così che l’unico collante rimasto in questa babele è l’accostamento di termini secondo un codice irrazionale, quasi surrealista, capace di generare immagini inattese (“una nappa di paura”, “un’amaca di dolore”). Dalla bocca del poeta, spalancata o ferita, gravata dalla “nomenclatura nella mandibola”, non emerge la gioia del canto, ma lo sforzo puntuale e la tensione del ridare un nome alle cose, come un nuovo Adamo. Il libro di Serrano, tradotto da Chiara De Luca, si configura come un’opera di pietra, a tratti grezza, a tratti cesellata, ma che si arrende al miracolo quotidiano del sole, “pietra miracolosa”, e alla vittoria del bianco: perché solo nella luce del mezzogiorno si realizza “il tremore azzurro del certo”.

 

Haber ido dejando ciudades, puertos,

vestigios esparcidos como ruina espantada,

como una piel a medio curtir,

como resto de vida,

adustos olivos a punto del ahogo y empolvados.

¿Qué lleva a no poder abrir los brazos

hasta crecer en una arbolada formación entrañable?

¿Qué lleva a esta inadecuación calcinada?

Como si abrir las manos fuera tocar a dios, y recogerse,

Como si se pudiera.

*

Essersene andati lasciando città, porti,

orme sparse come rovine impaurite,

come una pelle solo per metà conciata,

come resti di vita,

ulivi secchi sul punto di soffocare e impolverati.

Cosa porta a non poter aprire le braccia

fino a crescere a un’arborea formazione viscerale?

Cosa a questa inadeguatezza incendiata?

Come se aprire le mani fosse toccare dio, e raccogliersi,

come si potesse.

*

Un cepillo de dientes, una pluma,

el lado incauto de mi pie,

torcido en una hamaca de dolor,

la pena ciega, fantasmal, certera.

En la mesa en que escribo, a torpes sorbos,

sin redondel, sin visa, sin permiso,

hurgo entre la costumbre de los ritmos

las mismas fresas, la saliva,

busco en el quiebre el hueco,

unas palabras frescas como llanto,

que me dejen estar, que me acompañen,

y vayan otra vez al mundo, lo hagan,

le hagan decir sonrisa y aquí vivo,

no que se atoren y atormenten mudas.

*

Uno spazzolino da denti, una penna,

il lato incauto del mio piede,

storto in un’amaca di dolore,

la pena cieca, spettrale, scaltra.

Sul tavolo a cui scrivo, a rozzi sorsi,

senza mantella, né visto, né permesso,

frugo nella consuetudine dei ritmi

le stesse fragole, la saliva,

cerco nella rottura il vuoto,

un pugno di parole fresche come pianto,

che mi lascino stare, che mi accompagnino,

e vadano ancora nel mondo, lo facciano,

gli facciano dire sorriso e qui vivo,

che non s’imbroglino e tormentino mute.

Con la boca del ansia como un agua.

Vano, impenetrable.

Desde aquí miro atrás, hacia ese cuarto.

Espero la cadencia,

su lenta letanía,

su nocturna esfericidad.

Todo el cuarto es una alberca de espera.

*

Con la bocca dell’ansia come un’acqua.

Vana, impenetrabile.

Da qui guardo indietro, verso quella stanza.

Attendo la cadenza,

la sua litania lenta,

la sua sfericità notturna.

La stanza intera è una cisterna di attesa.

*

Se deshace la nieve, la solidez, la amalgama en las uñas, el decoro;

se deshace del frío la calle blanca, el albor,

se deshacen los fríos, su paz helada,

su luminosidad recogida, su especie blanda.

Se deshace la nieve y las calles tiemblan,

charcos de sal y lodo, pasos resbaladizos, empapados.

Se deshace la nieve en la mano fría, el olor a cerveza,

el candor de los brezos, recogimiento.

Se deshace la nieve y los verdes surgen, intempestivos.

Todo retorna grave a su pulpa abierta,

todo sigue la huella de las reconversiones.

Se deshace la nieve, lámina pura.

Se deshace la nieve y el mundo torna.

Su desfiguro muere, su tensa siembra,

se deshace la nieve y las calles vuelven a ser polícromas.

Todo vuelve a su sitio luego del lujo.

Regresa grave el pasto, la bicicleta,

la banqueta conforme con ser banqueta,

el paladar mordido con seguir siendo.

Se deshace la nieve y uno se mira,

brazos, rizos, colores, sueños, tormentas.

Los pies calientan la menta, las amistades,

todo bajo la manta los calcetines.

De nuevo el mundo vuelve a ser este mundo.

También el cuerpo tiene límites ciertos.

Aproximado a la luz, aproximado.

Alzo el muñón blanco del sol.

*

Si disfa la neve, la solidità, l’amalgama nelle unghie, il decoro;

si disfa del freddo la strada bianca, l’albore,

si disfano i freddi, la loro pace gelata,

la loro intima luminosità, la loro morbida specie.

Si disfa la neve e tremano le strade,

pozze di melma e sale, passi scivolosi, fradici,

mi si disfa la neve nella mano fredda, l’odore di birra,

il candore dell’erica, raccoglimento.

Si disfa la neve e si formano i verdi, intempestivi.

Tutto torna grave alla sua polpa aperta

tutto segue il solco delle riconversioni.

Si disfa la neve, lamina pura.

Si disfa la neve e il mondo si riforma.

Muore la sua deformazione, la sua semina tesa,

si disfa la neve e si rifanno policrome le strade.

Tutto torna al suo posto dopo il lusso.

Torna grave il pascolo, la bici,

la panca conforme con l’essere panca,

il palato morso con l’essere ancora.

Si scioglie la neve e uno si guarda,

braccia, riccioli, colori, sogni, tempeste.

I piedi scaldano la menta, le amicizie,

ben sotto la coperta i calzini.

Ancora torna il mondo a essere questo mondo.

Anche il corpo ha limiti certi.

Avvicinato alla luce, avvicinato.

*

Alzo il moncone bianco del sole.

El día amanece, desvalido y entero.

Suelto, como un esparadrapo o una cinta de seda.

Suave se deja ir como una centelleante mariposa,

piel de azafrán, amanecer del día.

Se va extendiendo su luz por la madera.

Va poco a poco orillando las cosas,

la frágil entereza de sillas y ventanas,

resbalando el azoro y el dolor

por flores y alhelíes desolados.

El día se toca por azar,

avanza un poco neutro, un poco tonto,

cabeza abajo se cuela, se sonríe.

¿De qué sonríe el día en su dolor?

Yo no sabría contestarlo.

Pero lo sigo sigilosamente.

Hecho de mí está el día,

hecho de su calor y de su fiebre,

iluminado y sometido,

fuerte, furioso, desbordando acaso.

*

Il giorno albeggia, intero e indifeso.

Sciolto, come un cerotto o un nastro di seta.

Soave si lascia andare come una scintillante farfalla,

pelle di zafferano, alba del giorno.

Si va estendendo la sua luce nel legno.

Va poco a poco orlando le cose,

la fragile interezza di sedie e finestre,

colando dolore e turbamento

su fiori e violacocche sconsolate.

Il giorno si tocca per caso,

avanza un po’ neutro, un po’ stolto,

a testa bassa s’intrufola, sorride.

Di che sorride il giorno nel suo dolore?

Non saprei cosa rispondere.

Però lo seguo di nascosto.

È fatto di me il giorno,

fatto del suo calore e della sua febbre,

illuminato e sottomesso,

forte, furioso, traboccante forse.

*

Una es la luz, la luz sobreentendida,

la luz tergiversada y disputada,

la luz errando tras los vahos y visos,

extendida la luz sin consultarse,

hecha de escapatorias y de playas.

En el rincón la luz, escudriñando

como un piélago el alma que despierta

hacia las cosas, los pasos, los cuerpos.

*
Una è la luce, luce sottintesa,

luce tergiversata e contesa,

luce errante dietro vette e vapori,

estesa la luce senza consultarsi,

fatta di spiagge e di scampi.

Nell’angolo la luce, a scrutare

come un pelago l’anima che si desta

alle cose, ai passi, ai corpi.

Taduzione di Chiara De Luca
___

Pedro Serrano ha pubblicato sei raccolte di poesia: El miedo, El Tucán de Virginia, Messico 1986; Ignorancia, El Equilibrista, Messico 1994; Tres poemas, Caracas Pequeña Venecia, Caracas 2000; Turba, Ediciones sin Nombre, Messico 2005; Desplazamientos, Editorial Candaya – Candaya Poesia 5, 2007; Nueces 2009 e uno studio su T. S. Eliot and Octavio Paz nel 2010.

Con Carlos López Beltrán, ha curato e tradotto l’antologia La generación del cordero: Antología de la poesía actual en las Islas Británicas (The Lamb Generation),[La generazione dell’agnello: Antologia della poesia contemporanea delle Isole britanniche] che presentava poesie di 30 poeti contemporanei (Trilce 2000). Il suo libretto d’opera Marimbas de l’Exile/El Norte en Veracruz è stato messo in scena per la prima volta a Besançon, in Francia, nel gennaio del 2000 e in seguito in Messico. Ha inoltre tradottoin spagnolo il King John di Shakespeare.

Molte delle sue poesie sono state tradotte in inglese e pubblicate in “Modern Poetry in Translation”, “Sirena”, “Verse”, “The Rialto”, “The Red Wheelbarrow” e “Nimrod International Journal”.

È inoltre incluso nelle antologie Reversible Monuments (Copper Canyon 2002) e Connecting Lines (Sarabande Books, 2006) e ha ricevuto una Guggenheim Poetry Fellowship nel 2007. Attualmente insegna alla Facoltà di Lettere e Filosofia della National Autonomous University of Mexico (UNAM) di Mexico City.

È direttore di “Periodico de Poesia” rinomata e autorevole rivista di poesia della UNAM.

 

___

Collana Quetzal – Poesia messicana contemporanea
Pedro Serrano, “Turba”
Traduzione di Chiara De Luca
Con una nota di Stefano Serri ( € 12)

PEDRO_SERRANO_COVER[1]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *