GIAMPIERO MUGHINI E IL FUTURISMO
di Fabrizio Fantoni
“Non riesco a saziarmi di libri. E sì che ne posseggo un numero probabilmente superiore al necessario; ma succede coi libri come con altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una maggiore avidità nel possederne. Anzi coi libri si verifica un fatto singolarissimo: l’oro, l’argento, i gioielli, la ricca veste, il palazzo di marmo, il bel podere, i dipinti, il destriero dall’elegante bardatura e le altre cose del genere, recano con sé un godimento inerte e superficiale; i libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi,ci consigliano e si legano a noi con una serie di familiarità attiva e penetrante; e il singolo libro non insinua soltanto sé stesso nel nostro animo, ma fa penetrare in noi anche i nomi di altri, e così l’uno fa venire il desiderio dell’altro”. Così scriveva Francesco Petrarca in una lettera inviata a Giovanni Anchiseo tra il 1336 e il 1340.
Il desiderio insaziabile di libri, descritto da Petrarca, caratterizza da sempre anche la poliedrica personalità di Giampiero Mughini: giornalista, scrittore, opinionista televisivo uno dei più appassionati bibliofili italiani. Nella sua casa romana ha costituito una straordinaria biblioteca (illustrata nel libro “La Collezione”, Einaudi, 2009) in cui sono radunati, in edizione originale, tutti i più importanti libri del novecento italiano.
La libreria antiquaria Pontremoli di Milano, ha dedicato il catalogo 2015 alla sezione sul futurismo della biblioteca di Giampiero Mughini, intitolandolo: “FUTURISMO, Collezione Mughini”. Con circa 800 titoli, il catalogo illustra la nascita e lo sviluppo del movimento Futurista italiano. Impossibile elencare le rarità presenti nella raccolta: dal bellissimo “Imbullonato” di Depero (uno dei più bei libri d’artista del novecento) all’introvabile “Al di là del comunismo” di Marinetti (libro di mitica rarità che fotografa con esattezza cosa era il Futurismo prima dell’avvento del Fascismo nel 1922); dal manifesto “Parole in libertà consonanti vocali numeri” ( forse il più rappresentativo documento del movimento) al manoscritto originale del primo nucleo di “Bombardata Napoli canta” capolavoro di aereopoesia di Piero Bellanova.
Libri, manifesti, cimeli, raccolti in anni di appassionata ricerca, che nelle pagine del catalogo – in particolare nel saggio iniziale scritto dallo stesso Mughini- costituiscono un corpus organico e vibrante che si intreccia indissolubilmente con la vita del collezionista.
INTERVISTA A GIAMPIERO MUGHINI, di Fabrizio Fantoni
- In una poesia intitolata “Il Futurismo”, pubblicata nella raccolta “Via delle cento stelle” del 1972, Aldo Palazzeschi, sorprendendosi del rinnovato interesse da parte dei giovani per il movimento futurista, scriveva “ Il futurismo non poteva nascere che in Italia/ paese volto al passato/ nel modo più assoluto ed esclusivo/ e dove è d’attualità solo il passato/ Ecco perchè è attuale oggi il futurismo/ perchè anche il futurismo è passato”.
Proprio negli anni in cui venivano pubblicati questi versi lei, insieme ad altri giovani dell’epoca, incominciava a raccogliere libri, riviste e testimonianze del Futurismo italiano. Cosa motivò il suo interesse verso questo movimento culturale?
“Nei miei vent’anni avevo studiato la letteratura italiana contemporanea all’università. Mai che avessi scorto un cenno al futurismo. Quando cominciai a imbattermi nei libri e nelle riviste futuriste, mi accorsi che mi ero perso un segmento immane del Novecento italiano. Il più moderno, quello che apriva più porte e più triangolazioni: con il design, con la fotografia, con la grafica, con l’architettura. E come facevi a non appassionartene?”
- Il Futurismo letterario fu, sin dall’inizio, oggetto di molte critiche sul piano estetico. Mi riferisco, in particolare, allo sprezzante giudizio di Prezzolini che sulle pagine della Voce “oltre ai parecchi imbecilli accolti nel futurismo senza alcun criterio, proprio come nelle accademie” riconobbe una sensibilità nuova solamente ad alcuni poeti quali Palazzeschi, Govoni, Buzzi e Folgore nei quali peraltro “ il futurismo si limita ad alcune macchie, ai titoli e alle copertine”. A distanza di oltre un secolo dalla nascita di questo movimento artistico, quale è stato, secondo lei, l’effettivo apporto che il futurismo diede alla letteratura italiana?
“Giuseppe Prezzolini era uno di quelli che aveva fatto a cazzotti con i futuristi alla Stazione di Firenze, e dunque non era il più imparziale nei loro confronti. Che ci fossero molti imbecilli nel futurismo, fuori di dubbio, come del resto ce ne sono stati in tutti i movimenti letterari d’avanguardia e non. Verissimo che in alcuni libri il “futurismo” era tutto concentrato nel titolo o magari nella grafica di copertina, ma è altrettanto vero che il futurismo strettamente inteso comprende almeno cento capolavori, tra cui alcuni tra i libri d’artista più importanti del XX secolo.”
- Un’importante sezione della sua collezione è costituita da libri, manifesti, opuscoli e stampati in genere di Osvaldo Bot, al secolo Barbieri. Artista piacentino tra i più talentuosi della sua epoca, Osvaldo Bot è stato per molti decenni ignorato dalla critica. Oggi la sua opera è oggetto di grande rivalutazione grazie al contributo offerto dalla monografia “Bot” di Carlo Gazzola del 2011. Come è avvenuto l’incontro con l’opera di questo artista futurista? Quali aspetti del suo lavoro l’hanno maggiormente interessata?
“Bot è stato per tutta la vita un solitario e un disperato. Nel secondo dopoguerra e nella sua stessa Piacenza lo trattavano da reietto, a causa del suo essere stato fascista e presunto amico di Italo Balbo. Dal primo giorno all’ultimo, e per trent’anni, s’è inventato uno a uno libri e opuscoli e cimeli cartacei che nessuno leggeva. E’ morto che non aveva i soldi di che pagare il suo funerale. E’ stato un artista polivalente, minore sì ma saporosissimo. Mi perdoni l’immodestia, ma quel mio blocco di sue opere è un piccolo monumento di carta.”
- Con circa ottocento titoli, la sua collezione si presenta come un corpus variegato che comprende libri di poesia, narrativa, fotodinamismo, libri d’artista e molto altro. In questa così vasta raccolta, quali sono i cimeli più importanti o quelli a cui si sente maggiormente legato?
“Tutti, dal primo all’ultimo. Quelli importantissimi, quelli importanti, quelli meno importanti. Legati assieme come sono da una passione collezionistica durata trent’anni”.
- Nel libro “Souvenirs” del 1976, Alberto Savinio scriveva “Grande e mutabile è il destino dell’uomo, né di lui soltanto, ma di tutte quelle cose piccole o grandi di cui ciascuno ama circondarsi quaggiù, e che costituiscono tanti regni minuscoli, sì, ma non men rispettabili dei regni maggiori. Oltre a ciò, la vita di un uomo che cos’è, a petto dei muti compagni dell’uomo; vogliamo dire dei mobili, di tutti quegli oggetti che fedelmente e silenziosamente scortano la vita di un uomo, di una famiglia, di più generazioni? L’uomo passa e il mobile rimane: rimane a ricordare, a testimoniare, a evocare colui che non è più, a svelare talvolta alcuni segreti gelosissimi, che la faccia di lui, il suo sguardo, la sua voce celavano tenacemente”. Ritiene che anche il catalogo di una collezione libraria, con il suo scarno linguaggio bibliografico, possa assolvere ad una simile funzione?
“Mi perdoni ancora l’immodestia. Altro che scarno linguaggio bibliografico, questo catalogo (che io reputo il ventiquattresimo e mezzo dei miei libri) è una miniera palpitante di conoscenze ed emozioni relative alla storia culturale del Novecento. Nel suo genere uno strumento unico e insostituibile.”
- Si parla, ormai da molto tempo, del tramonto del libro cartaceo soppiantato da tablet e e-book. A suo avviso, l’oggetto libro riuscirà a mantenere un ruolo e una funzione anche nell’epoca della digitalizzazione?
“Sarà una nicchia per pochi eletti, e beato chi ne farà parte. Perché starà sempre quattro o cinque spanne sopra i cliccanti beoti e non. “
Una sintesi perfetta.
Complimenti a Fabrizio Fantoni.