“La frontiera è un canale di nebbia, di suono, di assenza di peso, di quasi niente, di niente visibile, riconoscibile. È stanza buia, la cui uscita è un andare in porto, un tornare a casa. Terra che è mare. Vastità che è piccolezza. Non uno scomparire, un dileguarsi di ogni cosa nell’indistinto, anche se è vero che poco importano un petalo o una galassia, un anno o un giorno (Nel respiro più lungo). Ciò che conta è altro. È il dopo, la riva da vedere ancora, la possibilità di un’altra scelta, la speranza «anche solo / di un minimo gesto», «aprire una porta / nel vento con le nubi e il sole / che vanno e vengono». Dopo, riva, scelta, speranza, aprire una porta nel vento, fare del vento, del respiro una casa.
Che cosa c’è dietro la riva, dietro la spiaggia, la banchina, dietro Ravenna o più ancora Marina di Ravenna, il canale, la pineta come «una preghiera scura che vacilla» (Troppo)? C’è ancora terra? Anche in questo caso l’interrogativo non è quello giusto. Forse dovrebbe essere quello a cui Luciano Benini Sforza stesso risponde. Che cos’è Ravenna o una città simile a Ravenna? Una città che «è una sintesi in bilico, / aperta, / un pavimento che riaffiora dal terreno, / dove scorre la pioggia / e ristagna, / dove il muschio / cova l’arsura e viceversa» (Prospettive umane). In sintesi e in bilico, precisione millimetrica e andare a tentoni, il muschio che cova l’arsura e l’arsura che cova il muschio là dove ci si aspetterebbe fango. (…)
Jean Soldini, estratto dalla Prefazione a Dopo questo inverno
TESTI SCELTI DALLA RACCOLTA POETICA di Luciano Benini Sforza Dopo questo inverno, Prefazione di J. Soldini, Forlì, L’arcolaio, 2012.
1) Come nessuno
Ti amerei come nessuno mai
ha fatto, vicino o distante.
E saresti
al centro di un mondo,
ape nella valle di un fiore,
alba
dentro un diamante.
*
2) In assenza di peso (a Davide Argnani)
La frontiera del nostro tempo
passa anche di qui, Davide,
da queste navi
tramate di gas e tubi,
che solcano
i canali come fantasmi,
senza tocco umano,
quando la nebbia scesa
disperde o cancella il paese.
La frontiera
a volte è un’assenza di peso,
è questo feroce passo,
questo tamburo, questo ritmo
steso
su qualunque spazio.
*
3)Accerchiarla
Accerchiarla come un cane
quando vede la preda.
Tenerla ferma,
impietrita, quasi a stento viva,
col respiro stretto
fra i denti.
Poter fare lo stesso
alla vita che gira,
ai suoi momenti.
O alzarsi una mattina
uguale a tante, e come il surfista
amare l’equilibrio bianco
e pazzo delle correnti.
*
4) Ora sono (a F.)
Ora sono petalo,
golfo,
conchiglia,
e tu l’acqua
che lì dentro batte.
*
5) Calendario invisibile
Sono un grande albero,
ho braccia e rami distesi
che apro in assenza
e presenza di vento.
Io non sono un portento,
sono un salice verde
già all’inizio di marzo,
che teme le gelate tardive.
Sono
uno che vive,
sono i giorni e le persone
che avvolgo alle tempie, alle mani,
farfalle che vanno
cercando le porte e il caldo dei pensieri.
Sono un calendario senza pagine,
sono oggi, domani,
ieri…
*
6) Sotto il cielo
Quando le gru del porto
e le sue ciminiere
sono giraffe sbilenche sotto il cielo,
o una passeggiata
fino ai primi ammassi
grigi della zona industriale
spesso
è il tuo infinito aperto,
immagina un mondo vero ma diverso,
non frantumato o artificiale,
e neppure perso.
*
7) Sofia
Molto è volato via,
le mareggiate che parevano
violente
e non lo erano,
le case e le pizzerie
basse come le dune
levigate dalla bora
insieme alle palme,
lasciate qui
nella speranza della sabbia adriatica,
a ridosso del puro caso.
Anche la Sofia delle punture
è già qualche inverno, sai,
che non si vede
e non fora più.
*
8) Non sei mai stata qui
Una nave entra,
un’altra esce
questa sera all’ingresso del porto,
fra le dighe e il mare aperto.
Ravenna, sai, è abbastanza lontana,
adesso c’è pace
e il tempo che si raccoglie
può lanciarsi senza reti.
Senza freni.
Le onde salgono da sotto,
sono un filo rotto che ritorna,
una lenza gettata in mezzo alle correnti.
Tu non sei mai stata qui,
qui ti porto io,
conchiglia bianca e silenziosa,
fessura nelle mie notti di burrasca,
contadina antica di tre figli
e infinita
madre.
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Luciano Benini Sforza, nato a Ravenna nel 1965, ha studiato presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Insegna materie letterarie nella scuola pubblica e vive a Marina di Ravenna. Ha curato con Nevio Spadoni l’antologia Le radici e il sogno. Poeti dialettali del secondo ‘900 in Romagna (Faenza, Mobydick, 1996). Si occupa a livello critico soprattutto di poesia, sia in dialetto (specialmente romagnolo) sia in lingua italiana.
Come poeta ha pubblicato le seguenti raccolte poetiche: Spazi e colloqui (Pisa, pubblicazione a cura del Gruppo Culturale “Ippolito Rosellini”, 1991), con cui ha vinto il Concorso Nazionale di Poesia “Galileo Galilei”; Le stanze di Penelope (Castel Maggiore, Book, 1995; Premio “San Domenichino”); Viaggio senza scompartimento (Faenza, Mobydick, 1998); Padri a nord-ovest (Villa Verucchio, Pazzini, 2004), opera per la quale gli è stato assegnato il Premio “Vallesenio”; quindi Nel fondo aperto degli occhi (Rimini, Raffaelli, 2010). Nel 2012, con la casa editrice L’arcolaio di Forlì, viene pubblicata la più recente raccolta poetica dell’autore, Dopo questo inverno.