Ciò che Stefano Serri sa fare – e lo sa fare bene – è non cadere nel lirismo troppo acceso, pur non rinunciando a puntare verso la vetta. In questo, un grande pregio della sua poesia – e un pregio che rende Nonostante la fine del mondo un raro esempio di libro “a tema” ben riuscito in forma e sostanza – è quello di evitare una troppo scoperta poesia del quotidiano, come un ciclista evita le buche. In questo esperimento si poteva fallire in diversi modi, due su tutti a parere di chi scrive: esagerare nel compianto, o abbandonarsi alla retorica dei piccoli gesti che salvano. Le due cose, in realtà, coesistono nei componimenti di questo volumetto, ma le dosi sono ottimali, e l’amalgama garantito da una lingua pulita e accessibile – nonostante le dolorose e spesso suggestive inarcature della sintassi – restituisce un elaborato di grande effetto e sicuro piacere della lettura.
Dalla prefazione di Marco Bini
Oggi che alle storie letterarie si preferiscono le geografie e che – nell’ampia gamma dei punti di vista critici e degli insegnamenti universitari – si fa tesoro con impegno sempre maggiore di una disciplina in fieri ma già promettente come la geocritica, proprio oggi si deve constatare che esistono poeti forti (non importa se ancora molto giovani) in larga misura dipendenti dalla stratificazione locale e culturale del proprio ambiente di nascita e di formazione. E questo non limita la loro originalità, anzi la fortifica. È il caso evidente del giovane modenese Stefano Serri, che ha il coraggio di muovere i suoi primi passi di poeta dalla soglia solo all’apparenza non varcabile delle Poesie della fine del mondo (1961) del grande Antonio Delfini e dal trauma del terremoto di fine maggio 2012, che ha gravemente lesionato – tra l’altro – anche la Villa Delfini a Disvetro di Cavezzo, trasformando in incipiente rovina uno dei cronotopi decisivi dell’opera del maggior scrittore modenese del Novecento. Ma l’intento di Serri non è nostalgico né celebrativo, bensì a pieno titolo conoscitivo, nel suo intreccio vertiginoso di dati memoriali, soprassalti onirici, dati diaristici ed evenemenziali, polifonie autenticamente dialogiche: una poesia essenziale e benissimo ritmata – la sua – che, fatto assai raro in un giovane, svela da subito la necessità profonda del verso, fondato su un equilibrio prosodico davvero ragguardevole.
Alberto Bertoni
E nonostante il cielo scorticato e gonfio
E nonostante il cielo scorticato e gonfio
questo sole nascosto sempre ipotizzato
in ogni inverno io questo sole so di averlo
arriverà come un chirurgo e in pochi tagli
separa idee e speranza e le mie mani
stringono calde le promesse eterne
ormai stinte dal tempo (il sole lascia dentro
la volontà di superare le paure in terra
perché solo le madri tremano nel cielo
brividi di freddo per figli ancora vivi)
e noi vivremo ancora in fossi crepe sorsi
cose che portano la luce in fondo.
*
Mappa e corpo
Come potrò ridarti mappa e corpo
senza le vene della strada senza
le spose verticali le tue torri
quei segni dentro i sassi quei miracoli
che nella superficie della pietra promettevano
di oltrepassare ogni crepa credendo?
cosa sono le stelle se non sai dove nascere?
le porte sbattono i divani in piazza
i cartelli delle strade sono bianchi
il vento è il solo orefice di rotte
non ho più lingua senza case per parlarla.
*
I bambini feriscono con calma
I bambini feriscono con calma
questi resti di torta della festa
e intanto nel mio pallido spartito
di una vita costruita e basta
metto le loro grida e corse
l’occasione di crescere sorpresi
una lenta umanità qui esiste ancora
tra i loro ingressi a piedi nudi
e il ritirarmi in stanza presto
sorrido di quel petalo che è il cuore
una coperta non basta alla mia pace
ma in mezzo a queste tende tra bambini
so che anche soli avranno sempre il fiato
per continuare oltre la sera i giochi.
*
L’uscita dalle crepe
Il vento che dichiara fumo e sabbia
i nostri incensi e i nostri testamenti
mi lascia verticale qui a leccarmi
le lacrime di gioia non caduta
l’uscita dalle crepe è in quella croce
contesa tra la polvere e la luce
l’intonaco lo lascio al mondo:
il tempo non sarà sempre imbiancato.
*
Terra commossa
Questa nostra terra commossa
dalla fede di chi aspetta l’alba
per pregare il sole e a sera
ringrazia il tempo di saper finire
questa nostra terra percorsa
dalle scosse che hanno rotto sotto
e sopra separando le radici
da futuri frutti – questa nostra
casa riempita di promessa
dove abitare è inseguire la pianura
avere il sole fino a incamminarsi
senza strade accese e insicurezza
sconfinamento nei campi
convocazione del vento
spinti a sperare soltanto sul tardi
oltre l’evidenza del disastro quando
allo sguardo armato solamente resta
precipitando giustificare nel cuore
questo nostro notturno non finire.
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COLLANA CHIARA – Poesia italiana contemporanea
STEFANO SERRI, Nonostante la fine del mondo. Poesie tra le crepe dell’Emilia
Prefazione di Marco Bini
Con una nota di Alberto Bertoni
pp. 72, € 12,00
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Stefano Serri è nato nella provincia di Modena nel 1980. Laureato in Discipline Teatrali al Dams di Bologna, lavora come infermiere. Tra le opere più recenti, il romanzo Cuore diverso (Croce editore, 2010) e le poesie di Rumore a sinistra (Incontri editrice 2011), Il piccolo libro delle poesie felici (Premio Città di Forlì, 2012), Nonostante la fine del mondo. Poesie tra le crepe dell’Emilia (Kolibris, 2013) e Lirico e civile (Oèdipus, 2013). Ha tradotto e curato la prima antologia italiana del poeta caraibico Ernest Pépin (Il paese nudo, Kolibris, 2013) e del poeta francese Jean-Baptiste Para (La forma esatta dell’incerto, Kolibris, 2014) e la raccolta poetica Diario di un innocente di William Cliff (Kolibris, 2015).
Per capire che cosa e perché scrive: http://vibrisse.wordpress.com/2014/09/25/la-formazione-dello-scrittore-14-stefano-serri/