La ricostruzione intellettuale di Erich Auerbach

auerbach
L’Europa vista da Istanbul. “Mimesis” (1946) e la ricostruzione intellettuale di Erich Auerbach,  a cura di Luciano Curreri, Luca Sossella Editore, 2014,  € 10

La necessità del realismo
di Gandolfo Cascio

Per un po’ – cioè dagli anni Ottanta fino all’inizio del millennio – del realismo abbiamo potuto fare a meno. Però da quando è iniziata la crisi culturale che minaccia la nostra identità, pare che ci sia un ritorno, sentito appunto come identitario, al realismo. L’attenzione, ad esempio, rivolta a DeLillo o Roth ne è testimone.

Anche il rapporto con la tradizione teoretica inerente a questa categoria sembra più gagliardo. Un esempio è il libro che qui segnalo e che per oggetto ha l’opera più nota di Erich Auerbach (Berlino, 1892 – Wallingford, 1957). Mimemis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946) può considerarsi come la lettura accurata della civiltà europea che nella letteratura ha saputo manifestarsi ma magari prendere forma.

Il volume è curato da Luciano Curreri che nel testo introduttivo, non a caso, parla di distruzione facendo dei riferimenti al conflitto mondiale ma anche alla guerra civile spagnola come eventi capaci di affascinare e stillare «forza e fascino» nel «nostro immaginario» (p. 9). Auerbach, proprio alla fine di un percorso distruttivo, viene percepito come chi «in fuga dall’Europa, e da quella Germania, ‘patria naturale, fattasi antieuropea’» (p. 10), in un altrove geografico è capace di riscoprire la cellula principiale della nostra civiltà, incontestabilmente in rovina.

A questa chiarissima apertura segue il contributo di Alessandro Viti che mette in mostra gli aspetti più squisitamente materiali degli undici anni turchi del critico dimostrando come – sia a causa dell’esilio sia della guerra – le precarie condizioni «ne [hanno] influenzato il pensiero critico e teorico» (p. 19).

Michele Barbero ripartendo dal concetto di «devastazione materiale e morale» (p. 27) fa di Auerbach un ritratto come umanista. Scelta giusta, considerando che il primo filologo fu anche il primo umanista, ed è nella filologia che Barbero intravvede il metodo efficace a portare avanti una «reazione ‘silenziosa’ ma ostinata» (ibidem).

Elena Fabietti, presente con due saggi, propone con riferimento a Husserl, Benjamin e Merleau-Ponty un’ambiziosa ‘biografia’ dell’Europa odierna. La sua tesi dà vigore all’idea che Auerbach sia stato capace di percepire, prima degli eventi, quale sarebbe stato il destino del continente: ovvero la perdita della sua centralità a vantaggio dell’attuale globalizzazione. Il testo di Luca Scarlini illustra come a causa della pochezza dei materiali disponibili nella ‘biblioteca dell’esilio’, «La stampa del gran libro» (p. 43) privo di apparati abbia stimolato un acceso dibattito a beneficio, possiamo dire oggi, di un approccio alla letteratura che privilegia i testi rispetto ai contesti. A tale proposito mi permetto di ricordare come tale metodologia si sia integrata al close reading del New Criticism.

Filippo Fonio riflette sull’idea di assedio che in sostanza è un corollario del tema del volume. La filologia viene così a dimostrarsi, proprio perché scienza, come lo strumento e non il fine della resistenza alla decadenza. Il passato, cioè, è il percorso verso il futuro, cosicché «Il ritorno da parte del filologo a quella tradizione occidentale minacciata vuole aprirsi anche, nel libro, a specchio del percorso dell’umanità tutta, verso un ecumenismo e un utopismo umanitario» (p. 51).

Anche Gianni Turchetta esamina delle strategie critiche adottate. Queste, pur con metodi differenti da quelli di Curtius e Bachelard, hanno avuto l’obiettivo comune del recupero della tradizione.

Pietro Benzoni esamina lo scritto di Leo Spitzer sull’idea di armonia. L’intelligente excursus considerata la commistione biografica e metodologica con Auerbach, e mi pare utilissima nell’economia del volume.

L’intervento a quattro mani di Clemens Arts e Monica Jansen in qualche modo segna la parabola della biografia del filologo, costretto a un nuovo esilio. L’evento personale diviene per i due studiosi stimolo di considerazioni generali sul tema del dispatrio. Il loro assunto è che tale vissuto sia la conditio esistenziale sine qua non che al meglio «rappresenta la figura paradigmatica del critico moderno» (p. 78).

Come si nota, il volume raccoglie contributi provenienti da scuole e metodologie eterogenee. Questo fatto, per una miscellanea, è già una constatazione positiva e si ‘amalgama’ coerentemente al soggetto/oggetto osservato. L’auspicio è ora che i lettori di queste ricerche non solo riscoprano Auerbach ma che capiscano quanto pure la nostra generazione abbia necessità di un ritorno a quel realismo in cui egli riscontrò le fondamenta dell’identità occidentale.

Il parallelo tra ora e allora difatti non si esaurisce solo nelle cause della condizione odierna con la sua, ma s’invera semmai nella coincidenza del sentimento.

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Gandolfo Cascio read Italian Literature, Art History and Literary Translation at the universities of Palermo and Amsterdam, and holds a PhD in Comparative Literature from Utrecht University where, since 2006, he is a faculty member.

As philologist he researches stylistics of poetry, lyrical translations, the relation between literature and art. These investigations are directed towards the reception aesthetics among writers, a phenomenon which he has defined as the «elitarian discourse inter scriptores».
With regard to this subject he authored a collection of essays entitled Variazioni romane (2011), a monograph on Buonarroti’s poems (Michelangelo in Parnaso, 2013) and is currently engaged in a study of The Divine Comedy (forthcoming in 2015).

Dr. Cascio is also a literary critic and translator.

 

 

 

 

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