Luigia Sorrentino legge da Olimpia, “Giovane monte in mezzo all’ignoto”
Nota di Diego Caiazzo
Colpisce molto la lettura di Olimpia, di Luigia Sorrentino (Interlinea, 2013). Si tratta di un testo d’impatto molto forte, non facile, come dice Mario Benedetti nella postfazione e lontano dal tipo di poesia che si può leggere nella contemporaneità.
Parafrasando Céline potrei definirlo un “viaggio al termine dell’anima”, se mi si passa l’espressione, l’anima della poetessa che diventa simbolo e in cui ci si specchia, inevitabilmente, venendo da lei condotti alla sua scoperta. Ed è questa la bellezza del poema: ci si sente partecipi del viaggio che l’autrice compie per ritrovare l’essenza della poesia. I suoi versi coinvolgono senza respiro e non lasciano mai indifferenti. Una poesia immaginifica, potente, ricca di metafore, senza mai ammiccare a facili sentimentalismi, le permette di scrivere una quartina come:
“è il morire che vedo
il venir meno, questo
incepparsi improvviso del respiro
mentre si accascia il nostro fare”
che già di per sé potrebbe reggere da sola come poesia, con la leggerezza e l’intensità di chi non teme la commozione che può suscitare (e che in me ha suscitato).
Nella sezione “Iperione, la caduta” (Un sogno), il primo verso del Coro 2, “c’è una notte arcaica in ognuno di noi”, sembra avvertire il lettore sulle ragioni del viaggio e, ancora, lo coinvolge. È un testo complesso, dove i brani in prosa non hanno meno valore poetico delle poesie che principalmente lo compongono: stazioni di posta, dove lo spirito trova una pausa e riflette come ad alta voce: “La prima volta che la vidi era pallida. […] Bianca era lei, e io insieme a lei l’attesa e il compiersi nello stesso istante.” Prosa-poesia.
È un percorso iniziatico che l’autrice riesce ad esprimere nei suoi versi in modo imprevedibile (peculiarità del linguaggio poetico), a metterlo in scena, come uno spettacolo esclusivo per il lettore, che viaggia con lei: in questo testo Luigia Sorrentino sembra prenderlo per mano, di brano in brano, donandogli l’immagine del suo mondo-interno; sorprende ad ogni pagina la sua visionarietà, il suo vedere-attraverso e la sua condivisione di tutto ciò; che poi è lo scopo della poesia che, se non riesce in questo, rimane un parlarsi addosso, un esercizio di maniera.
La cultura classica, in cui è immerso il poema, è resa attuale con la modernità del linguaggio, cosa assolutamente non scontata: la tentazione di imitare, anche inconsapevolmente, modelli e stilemi antichi o anticheggianti è sempre presente in questi casi nei poeti moderni; invece ci si rende subito conto, leggendolo, della sua freschezza: niente di già visto o sentito.
L’incipit del poema è impressionante, vale la pena di riportarlo integralmente:
“lei era lì
non era più la stessa
il volto sbiancato nell’intangibile
nulla più le apparteneva
si rivoltava in un’altra che l’offendeva
nell’involo mostruoso in lontananza
lei era un soffio chiuso
tutto era in sé pieno, attaccata
alle pareti, lei era ormai radice”.
Dopo aver letto questo “inizio”, sfido chiunque a chiudere il libro prima di averlo finito d’un fiato. Ma il bello di Olimpia è che la sua rilettura offre sempre nuove chiavi. Come un racconto inesauribile, di quelli che ami perché sai che in fondo non finiscono.