Pagine per gli affetti, il bene visto con la serenità di chi accoglie tante cose, forse anche il senso stesso della morte. Quasi si allineasse all’età un tempo sovraccarico, ecco apparire i ricordi, il bisogno insopprimibile di parlare a qualcuno che conta o ha contato, fino a diventare nelle parole di chi scrive, a sua volta una voce. Non importa se non c’è risposta, il dialogo dell’autore con un tu, di volta in volta diverso, è un andare alle cose più care non per chiedere conferma di se stesso o perché le parole fermino e restituiscano pezzi di vita, ma piuttosto per quell’amore che insieme all’acuirsi dei vuoti dà presenza, con la certezza che la precarietà di ogni situazione è cartina di tornasole per ciò resiste. Claudio Recalcati con “Cartoline dell’addio” torna a temi a lui consueti, ma con uno struggente sentimento di malinconia per un mondo che non è più, nemmeno nel clima: “ Il tempo è mutato tanto e piove sempre/ come in un film gotico…/“ (p. 16).
Madre, amici, compagna e figlie sono il “tu” cui Recalcati consegna il suo mondo. La condivisione di certi momenti diventa riferimento all’unica realtà di cui può parlare con certezza: “…se avessi avuto qualcosa oltre il reale/ avrei goduto ma/ in questa forma materiale/ non è che siamo meno, /non è che l’amore resti svilito/ e neppure le scelte della vita /contino meno./ Non vedo altro che ciò che vedo…” (p.23) Tutto questo non è un dramma, non c’è niente che sia solo perdita, definitivo è solo il trascorrere del tempo, non tanto perché porta via qualcosa, ma perché ci disillude.
“E’ il peso degli inverni a tramortire l’ansia/ è compito del gelo ferirci…” p.41 e tra figli “esuli” ed “echi di case vuote” (ibidem) appare il paesaggio lombardo, paesi e strade di un settentrione con i suoi inverni e i suoi riti, le sue piazze e ville e campagne che sembrano salve per miracolo e un po’ nell’attesa di eventi ultimi o magari semplicemente resistono all’usura che sottrae le cose.
Nei frammenti di ricordi rimane impressa la suggestione di alcune immagini come si incollassero alla pagina : “ Il santo (o ‘l’asen ‘ nel gergo degli indigeni) veniva giù da monti brontolando…/ … Comprava sempre zucchero e pane./ La sua memoria si fermava a un bisogno animale.” (p.48)
Sarebbe sbagliato ascrivere queste poesie al facile “paesaggismo” o infilare nel novero dei cantori della fine dell’occidente un autore come Recalcati che non prende lucciole per lanterne, ma onestamente scrive di quello che sa cogliendo dell’esperienza personale quei tratti di universalità di cui ognuno è portatore e quindi ricordandoci come è proprio delle voci condurci all’importanza dell’ascolto, dell’accogliere, del dare al di là del gesto.
Claudio Recalcati, “Cartoline dell’addio” Stampa 2009 – La collana – 2013
Pubblicata in Qui Libri n. 27 Gennaio-Febbraio 2015