L’ultimo saggio di Paolo Di Paolo “Tutte le speranze Montanelli raccontato da chi non c’era” edito da Rizzoli, è un affresco nitido sulla vita del grande giornalista di Fucecchio firma di punta prima del Corriere della Sera, poi direttore de il Giornale infine della Voce; Di Paolo infatti, da cartografo davvero esperto, tenta di leggere le mappe della vicenda umana e professionale del giornalista con l’occhio di chi quelle mappe le ha conosciute ictu oculi e non soltanto lette dal di fuori. Ecco allora un libro agile, vivo, mai appesantito da certa vuota biografia di genere; il saggio ha una struttura originale, i capitoli, anziché seguire un ordine cronologico, si ravvolgono come in una pellicola. Si inizia dal 2001, anno della morte di Montanelli ed anche momento di eventi fondativi e tragici per il nuovo millennio, sino alla sua nascita datata 1909. Quello che davvero sorprende, è che Di Paolo riesce a fotografare la vicenda di Montanelli con le lenti particolari dell’amicizia capaci di dare una profondità aggiunta al libro. Il lettore non può che esserne toccato. Tornano in mente a leggere queste pagine, le “Lettere ad un giovane poeta” scritte da Rainer Maria Rilke all’adolescente kappus; un dialogo franco, schietto, a volte ironico quello tra il giornalista e l’allievo e credo anche che questo libro sia un’occasione per molti giovani che vogliono misurarsi con la scrittura, un breviario sulla formazione del giovane intellettuale, che non può non avvicinarsi ad un maestro e alla sua vita tout court, se vuol coltivare nella vita l’arte della scrittura. E le lettere che Di Paolo giovanissimo, invia al direttore de il Giornale, testimoniano di questa ricerca; lettere argute, firmate con nomi di fantasia ma che rimandano sempre simbolicamente a qualcosa, una si intitolava “Lettera dal Paradiso…” a firma Karl Marx e che trovavano sempre la risposta in punta d’ironia del giornalista. Un’amicizia tra uomini di età lontane che sembra brillare di accensioni potenti, come quando i due si incontrano in un liceo di Milano e a fine dibattito ecco il gesto del signore d’altri tempi: Montanelli, riconosciuto il giovane amico, fa il gesto di carezzargli la guancia. Ecco i momenti forse che fanno i destini. Nel libro con scrittura chiara ed asciutta, si svolgono vicende personali che si incrociano con quelle di una comunità: il Montanelli volontario nelle guerra in Etiopia nel 1935, poi nel 1939 il giornalista inviato dal Corriere al fronte Polacco ed Estone, il Montanelli incarcerato nel 1944 prima a Gallarate poi a San Vittore per cospirazione antifascista, il Montanelli da sempre anticomunista e conservatore. Certo in lui ci ricorda Di Paolo, parlavano le molte contraddizioni del novecento ma ideologicamente era netto, lontano da certe ambiguità tanto da procurargli anche il rispetto dei suoi nemici. Montanelli incarnò quindi del secolo passato, le conflittualità, i controsensi, le spinte centrifughe ma anche Tutte le speranze. Ecco allora che lo scrittore-amico Di Paolo, svolge e riavvolge tutto questo accadere, attraverso le carte di una vita ma questo tutto non andrà perduto se è vero come dice Di Paolo che “… Se invecchiano i fatti,….non perde senso la parabola di un uomo: l’avventura del suo talento e della sua libertà”. E mi viene in chiusa di libro la parola latina traditio, termine che per paradosso sta più di altri proprio dentro il novecento, secolo di rotture ideologiche e letterarie. Di Paolo ancor giovane, riconosce della traditio, il senso, l’importanza, una mano che stringe l’altra e poi ancora un’altra, la catena delle idee nel tempo, a reggere le generazioni per non renderle vane.