Dalla casa di Maria alla Casa delle Madri
di Massimo Morasso
“Non ti preoccupare dunque, caro lettore, di identificare o smistare le diverse Maddalene in quella di Cinzia Demi che di fatto potrebbe a ben ragione dire: Maddalena c’est moi.”, così scriveva un paio di anni fa Gabriella Sica presentando Ero Maddalena, il precedente libro di versi di Cinzia Demi, uscito anch’esso, come questo, con puntoacapo.
La Sica molto insisteva, e giustamente, su una poesia del femminile, nutrita di carne di voluttà di ardore, e forte della capacità di autenticare la persona dialogante che è l’io-Maddalena del libro, l’io-Maddalena multiplo e cangiante reinventato per sé e per tutti noi dalla Demi. Ma ciò che più mi ha colpito nella frase della Sica è quell’invito a non curarsi di identificazioni o smistamenti, che mi pare una chiave d’accesso a una voce poetica che anche qui, e qui, in questo nuovo Maria e Gabriele forse anche più di prima, ha il coraggio mitoesistenzialista di calarsi nel vivo del racconto evangelico, sorretta da una pervicace volontà di re-immaginazione, con tutti i rischi e i pericoli del caso, in un dettato chiaro e senza fronzoli ma acceso qua e là di ariose vibrazioni interiori, dov’è proprio l’azzardo di un’effrazione al lascito tradizionale a fare la differenza, a siglare il crisma di una personalità.
Senza addentrami in una critica puntuale, cercherò di spiegarmi con un esempio. Le dodici quartine di Perché fosse successo a me, l’introduzione del poemetto, che potrebbe sembrare anche una excusatio, di prim’acchito, e in un certo senso lo è, ma è una excusatio di segno rovesciato, un’orgogliosa affermazione di un mandato, che è al contempo un’umile ode, tutt’altro che oleografica, a una Musa superinseguita: vi è una duplice dichiarazione d’impotenza dell’io poetante chiamato a cantarla, «io non so / e non saprei dire»; «io non saprei immaginare», messa a confronto con l’unico sapere che lo tocca, un sapere che è visione del sentire memore, e che è, perciò, sapere d’amore: «ciò che ricordo è solo / l’amore che mi toccò / sapere…». E l’accamparsi, a poco a poco, verso dopo verso, di pensiero in pensiero e tra le “pieghe” e le “piccole fessure” della realtà, della grande metafora cosmica della casa di Maria come theatrum mundi, “luogo santo” deputato all’accoglienza di un mistero umano-divino i cui geroglifici sembrano poter essere riassorbiti tutti in questo spazio pregno «di voci e odori / di sorrisi e pianto». Non è un caso, naturalmente, che il “casa tua” del secondo verso della seconda quartina diventi la “Casa” con la c maiuscola del primo verso della decima: il passaggio è quasi d’obbligo, a otto quartine di distanza scende in campo un’essenzializzazione archetipizzante che non è il segno di uno scacco poetico, e anzi punta ad attribuire al proprio oggetto l’autorità del simbolo. E l’apparente genericità della chiusa, con «… questo mondo che / non sa ascoltare» contrapposto all’acqua della fontana di Maria capace di «… accogliere / la vanità fatta umiltà» è in realtà il punto di arrivo di una meditazione che ha descritto in corso d’opera, in quarantotto versicoli o emistichi, una conversione che è, insieme, una convergenza della mente. Non si tratta, ormai, di contrapporre mondo e verità. C’è qualcosa di più in quella dialettica (presagita, fra la sesta e l’ottava quartina, con un doppio “a me” a inizio verso, in quella fra il pensiero “distratto”, che va per astrazioni: «a me che ti pensavo / a volte per la via» e il sentipensiero ricco di passività attiva capace di tradursi in accoglienza spirituale: «a me ora veniva incontro / questo luogo…»), e Cinzia Demi, affamata di “nutrimenti terrestri”, poetessa profondamente innamorata di Maria nella vita e non a prescindere dalla vita, lo intuisce nitidamente: il rischio dell’uomo che non si volta, inabile a saltare al di là di se stesso, di mancare il punto di origine della vita e non sapersi rinnovare, vivendo per davvero la propria libertà.
Mi vengono in mente certi versi di Elio Fiore, un uomo di fede, come la Demi, attore di un’intensa rilettura in senso epifanico della storia e dell’evento dell’Incarnazione, per la quale le cose del cielo e quelle della terra si confondono e si inscrivono tutte sub specie aeternitatis.
Qualcosa di simile si trova in queste pagine: dove l’Incarnazione è un tale mistero radiante e l’Annunciazione è un dramma così umanamente indescrivibile da spingere la Demi a una forzatura in senso “psicologistico” del racconto neo-testamentario. Che si arricchisce, nei capitoli centrali del libro (“Maria”, “Gabriele”, “Maria e Gabriele” – tutti e tre, non a caso, con in incipit la stessa identica quartina: «fu una giornata di primavera» eccetera), di un’impossibile storia d’amore felicemente soffusa di grazia escatologica, nel contesto, tuttavia, di un inveramento profetico modellato sul pre-testo biblico:
fu una giornata di primavera
aveva il sole nelle vene
e accadde
come doveva accadere
furono sguardi e parole
un inizio che di più non
poteva avere…
Cambiare forma a un contenuto cambia per forza, almeno un po’, la sua natura. Qui, la fantasia visionaria dell’incontro fra l’angelico e l’umano può darsi sembri affine, a prima vista, a una ribellione contro il già-dato, il già acquisito di una tradizione. Ma quest’ultima, si badi, ha in sé le condizioni del proprio oltrepassamento. E il riuso operato pro domo sua dalla Demi non è un riuso eccentrico, polemico o eversivo. Al contrario, è un riuso in senso tradizionale, per cui la forma, il movimento narrativo e concettuale e, insomma, quasi ogni accadimento essenziale si esibiscono nei riflessi di ciò che ci è stato tramandato tradendone il senso (da “tradere”, cioè affidare, consegnare) per costruirne uno nuovo, all’altezza del sentimento e dello spirito dei tempi.
La Demi, col suo talento della riattualizzazione, dove assimilare significa incorporare ciò che si evoca, ha cura di porre il proprio scandaglio dell’invisibile tanto sui “fatti” quanto sulle “cose non parventi” con le quali quei fatti si stringono in costellazioni di significato. In un viaggio dalla casa di Maria alla Casa della madre di Cristo, il suo appassionato osservatorio verbale ci porta così a incontrare il punto di vista sul mistero dell’Annuncio di una donna, di un angelo, del loro simbolo amoroso, e del variegato mondo subumano delle creature animali. Si potrebbe leggere tutto ciò nel segno dell’ordo amoris, dove l’asse concettuale lega la “catena dell’essere” secondo un livello di dignità ontologica che parte da Dio per giungere all’animato animale, appunto, e all’inanimato materiale della casa – che è la scena mentale che ospita immagini e figure del poemetto, testimoniandone la veridicità. Ma in carenza di spazi è forse più urgente sottolineare come sia il canto di giubilo di Come un Magnificat, la parte conclusiva del libro, questa lode della forza generativa del vivente, a ricapitolare, fervorosamente concentrandola, l’intera parabola demiana. Dove il genius femminile coincide con la disponibilità «a dar vita all’incontro», a «… far grande l’Infinito», a «… cullare figli / e traguardi», e a ricordarci, una volta di più, che fra storia e ierostoria nulla di ciò che accade è occasionale, poiché tutto, grazie a Dio, è segno e senso.
ESTRATTI
da “Maria e Gabriele l’accoglienza delle madri”, di Cinzia Demi
Sono venuto a compiere
la visione santa.
Dio mi guarda, mi abbacina…
Ma tu, tu sei la pianta.
Rainer Maria Rilke
Annunciazione (le parole dell’angelo)
dal Libro delle immagini
[…]
La casa di Maria
non mi pensate come
se fossi un reliquiario un tempo
avevo appesi ai miei chiodi
gli angoli e le vesti della festa
ero le gesta lo spirito
di una donna innamorata
della sua normalità
in me avvenne il miracolo
l’eccezionalità
insieme entrammo
nella storia in noi fu
l’oasi d’ascolto
che a Dio dette la gloria
nel silenzio smarrito
che vedemmo
farsi mistero farsi ordito
*
un senso sono qui
per dare un senso
alle emozioni stelle polari
o anfore del buio
alla potenza del destino
che si fa ombra
in un fremito di grembo
all’accoglienza che chiede
spazio alla nostra vita
e non al tempio
come la madre che
accolse il figlio
sapendo quanto fosse
seme e poi embrione
già nella voce dell’angelo
già nell’Annunciazione
*
le madri sole vi dico
conoscono l’attesa
le madri sole hanno
nel corpo l’accoglienza
l’infiorescenza del polline
portata fin sulle curve dei ponti
sui pennoni sui barconi
di pece e amianto
quando pulsa la marea
della sera quando si alza
un canto un canto che
pare un tepore di nulla
rubato agli uccelli notturni
alle ricolme acquasantiere
dei gommoni alle mani
che benedicono lo stesso
[…]
portata e raccolta
dal mistero dell’angelo
a una semplice donna
una che non è ancora storia
una che non è Madonna
“Rallegrati, piena di grazia,
il Signore è con te” le dice
aprendo l’insenatura
formando un disegno
sul corpo che è già
ricolmo e che brucia
mentre si adagia sul fianco
*
mentre cerca o crede
e ha già capito
che il suo ascolto
sarà il futuro
la fecondità la forza
del domani stringerlo
quel ventre col sorriso
già pieno d’amore
voltarsi a quella luce
chinarsi al suo volere
ora può ripassare le parole
accennare a un saluto
non temere
le fattezze o l’ardore
compiuto è il passaggio
impaginato il messaggio
*
e raccolto in un diario
aperto e quotidiano
scritto con i gesti
col segno della croce
raccontato a voce
in quell’ultima periferia
del mondo questa è la storia
di Maria la storia di Maria
che vide l’Angelo del Signore
che accolse il Salvatore
che si fidò di una parola
data ne fu per sempre
trasformata questa
è la storia che si racconta
ancora per l’accoglienza
che venne data
Cinzia Demi è nata a Piombino (LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. Operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista, dirige le Collane di Poesia Sibilla per le Case Editrici Pendragon (Bologna) e Il Foglio (Piombino), e cura per il sito culturale francese Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Per l’Università di Bologna ha collaborato e collabora con il Centro di Poesia Contemporanea, la Festa della Storia, la Facoltà di Scienze della Formazione. Collabora inoltre con molte altre associazioni e istituzioni sul territorio nazionale, con riviste, antologie, blog letterari e siti internet per saggi e articoli. Tiene corsi di poesia nelle scuole di ogni ordine e grado e presso associazioni culturali. Ha collaborato a livello di volontariato con il Laboratorio di Parole e la rivista Parole per il Circolo La Fattoria di Bologna.
Ha pubblicato: “Incontriamoci all’Inferno” Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); “Il tratto che ci unisce” (Prova d’Autore, 2009); “Al di là dello specchio fatato. Fiabe in poesia” (Albatros, 2010); “Caterina Sforza. Una forza della natura fra mito e poesia” (FARAEditore, 2010); “Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); “Ersilia Bronzini Majno. Immaginario biografico di un’italiana tra ruolo pubblico e privato” (Pendragon, 2013); “Ero Maddalena” (Puntoacapo, 2013); l’antologia da lei curata in omaggio a Giorgio Caproni “Tra Livorno e Genova: il poeta delle due città” (Il Foglio, 2013); l’antologia di racconti da lei curata “Amori dAmare” (Minerva, 2014); “Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri” (Puntoacapo 2015). Suoi testi di poesia, narrativa e saggistica sono presenti in diverse antologie nazionali.
Realizza con i suoi lavori eventi di drammaturgia con letture interpretative, musica e arti varie. E’ organizzatrice e curatrice di diversi eventi culturali. Tra i più recenti: “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri tematici con autori di poesia contemporanea, presso il Cafè Marinetti dell’Hotel Majestic “già Baglioni” di Bologna, e “Il femminile sommerso. Archetipi del riconoscimento”, ciclo di incontri culturali sulle tessitrici d’amore tradito, progetto promosso dal Comune di Bologna, Quartiere S. Stefano. E’ presidente dell’Associazione Culturale “Estroversi”.