Dalla prefazione di Daniela Quieti
“Tra i pregevoli versi della raccolta “Permanenza del sogno” di Marco Pavoni […] emozionano in maniera particolare quelli intensi rivolti a un affetto scomparso: “è questa l’ora che irida il tempo” nell’attesa di un ritorno “che sprezza l’apparire / della fortuna dal passo incerto […] spirito che gioca / nel circo del presente”.
Leggendo l’opera – il cui titolo rimanda all’ultima poesia del testo – si percepisce la capacità dell’Autore di universalizzare accordi tra spirito e pensiero, incastonati in un mosaico di paesaggi interiori.
La “parola” sgranata “dal margine dell’ambiguità” approda “nel porto dell’equilibrio”, dove il “divenire / sulla trama iridescente / del divenuto” incarna un senso panico “che trascolora alla notizia / del nostro vivere sospesi / su un abisso scavato dal caos”.
Pavoni porge una silloge compiuta, nella quale la scansione delle linee d’ombra e di luce, filtrate dalla razionalità dell’intelletto, declina una voce poetica scaturente da un raffinato itinerario metodologico e lessicale.
Emerge dai componimenti una ricerca di idee, valori, archetipi e dubbi tesi a indagare gli enigmi dell’essere in frammenti dell’io e di alter ego, spesso “divisi dalle discordanze / di un moto non più uniforme” o celati negli intimi ritorni di segni incancellabili.
Le unità liriche, con sensibile orchestrazione, trasportano verso dopo verso ad alte incandescenze di originale sonorità, incarnandosi nell’esito salvifico capace di “risolvere la tensione / del momento in un anelito / che varca la soglia dell’infinito” per “carpire al tempo / scintille d’immensità”.
Affiorano meditazioni sul destino, stratificato di esperienze spesso dolorose, e l’aspirazione a trascendere l’orizzonte del registro emotivo tramite le illuminazioni dell’amore “che sempre costella di sorrisi le labbra […] / che il vero e il falso esaltano” pur “rievocando, a tratti, / le occasioni mancate”.
ESTRATTI
Da: “Permanenza del sogno” di Marco Pavoni, (Edizioni Tracce, Pescara, 2014)
Nel cielo che trascolora
e depone un silenzio d’argento
sulla strada che tace nella notte,
una stella attenua il battito
del cuore che langue trafitto
dal fruscio del vento che sfuma
le geometrie dell’ordine
e intona sinfonie dolenti
per l’uomo che s’avvicina
e mormora parole di pace
al caos che si rigenera
nello spazio interstellare.
Pare quieta ora anche l’anima
presa dal suo rinascere in luoghi
dove amore e morte consumano
il sempiterno duello
che riapre l’occhio della mente
e unisce luce e ombra
in un canto perfetto.
****
Settembre, ti vedo decantare
miscugli di vita e riaffermare,
giorno dopo giorno,
la tua immanenza nel bronzo
delle foglie che denudano
la levità di ciò che trapassa
e imbevono di sublimità
la terra che, nel suo sfarsi,
si schiude all’anonimità
di una stagione nata
per acquietare i sentimenti
e placare i pensieri.
Con te mi riconfondo,
con te cerco d’instaurare
un intimo colloquio
per risolvere la tensione
del momento in un anelito
che varca la soglia dell’infinito
per carpire al tempo
scintille d’immensità.
****
IL NOME
Nome che sei trasparenza di suono
e t’impigli nella rete del pensiero,
rivela l’oro e l’argento
che si colorano d’infinito
e rischiara le terre del senso
dove l’ansia si placa e termina
lo scorrere delle ore.
Ascolta. Non è più impossibile
ricreare l’armonia
dopo aver attraversato
il mare dell’incertezza
con un andare che filtra
dalle crepe del tempo.
Anche tu ti aggiri per le stanze
segrete del vivere cercando
il contatto col sogno,
in un viaggio eterno
che insegna a riconoscere
l’infinitesima parte del mondo
in cui dimori.
***
Sembra uno straccio lavato
la terra che ora si specchia
nel suo riquadro di cielo.
Qualche nube vagabonda
ancora, seguendo uno zefiro
che sfiora le fronde,
nel bosco dove i nostri sospiri
sprizzano quel piacere che annulla
la ripetitività del tempo.
Il mio corpo si tende
e titilla i seni che tu
– oh, sottile artificio di donna! –
copri con le mani.
Ti vedo ridere di gusto
e mi ricordi la bimba che fosti,
nell’epoca in cui la malvagità
non bussava ancora
alle porte del tuo cuore.
***
Seguo il fumo della sigaretta
e mi vedo volteggiare
sul deserto della città.
Tramonta il sole sulla quieta
indifferenza del non sapere.
All’improvviso uno squarcio
di sogno s’invera e mi raggiunge:
sei tu.
Danzi sul filo del mio sguardo
con la grazia del tuo essere
un atomo del bene
pronto all’unione finale:
e il nostro stare insieme
conversa pacificamente
col mistero del mondo,
in un dialogo dove
percorrere la strada del tempo
è cercare
la via della speranza.
***
E se domani il vento ti rapisse
l’anima, gioirei nel sentirti
pronunciare la parola “t’amo”
mentre la notte, essenza che fugge
col suo bottino di diamanti
lassù nel cielo, si colora
delle incantevoli sfumature
del mio vissuto di viandante
che ora deglutisce i grumi
della memoria di te
dopo aver inscritto il cerchio
del nostro amore
nel poligono della vita.
Non ti tocchi l’ira per un contatto
rubato un tempo alle tue labbra:
sul plinto traballante del mondo
poggia la colonna del mio sentimento;
ecco, la vedo inclinarsi
verso la porta dove tra poco
apparirà il tuo corpo,
snello fantasma di carne
di un desiderio appagabile.
Marco Pavoni, nato a Chieti nel 1984, laureato in Lettere Classiche, vive e lavora a Pescara. L’amore per la scrittura poetica risale agli anni del Liceo. Ha esordito nel 2009 con Immagini, Edizioni Tracce, Pescara, raccolta di poesie ricavata dagli esercizi di scrittura degli anni 2006, 2007 e 2008. Del 2014 è Permanenza del sogno, Edizioni Tracce, Pescara. Si sono interessati alla sua opera: Giorgio Bárberi Squarotti, Simone Gambacorta, Valerio Magrelli, Daniela Quieti, Anna Ruotolo, Benito Sablone e altri. Si ricordano, per la poesia, i premi Poesie…in cammino, Fondazione Pescarabruzzo – Edizioni Tracce, I Pensieri del Poeta.