Nota di Roberto Deidier
A soli due anni dalla precedente raccolta, Un amore con due braccia, Donatella Bisutti congeda un nuovo volume di poesie per la casa editrice Empirìa, dal titolo Dal buio della terra. È un titolo che ci riporta a una delle prospettive, e delle tematiche, privilegiate da sempre da quest’autrice nel suo lungo percorso. Vorrei citare almeno Penetrali, per restare in un’area semantica attigua, libro pubblicato nel lontano 1989 con una bella introduzione di Giovanni Tesio.
In effetti, scorrendo queste nuove poesie, il disegno che si delinea rimanda a una dimensione squisitamente ctonia, ma tutt’altro che infera. Termini come «fondo», «profondo», «buio», «oscuro» pervadono l’intera struttura, invitandoci ancora una volta, in questo faticoso avvio di secolo e di millennio insieme, a quell’atteggiamento di percettività discendente con cui la modernità aveva avviato la sua esplorazione dell’io e del mondo. Almeno a partire da Leopardi, e del resto l’immagine simbolica della ginestra, quale emblema di resistenza, torna ad affacciarsi in questi versi. Ma quella che si prefigurava come una discesa «dolce» diventa qui un’azione complessa, per più aspetti ipotecata dal pensiero della morte, dall’irrequietezza della finitudine. Lo spaziotempo infinito dei romantici si riduce infatti a una dimensione unica, dolorosamente unica: è quella dell’inesorabilità e dell’irreversibilità del tempo, che solo un’ipotesi mitica, del resto tenacemente esibita può arrivare a scalfire, creando un’illusione necessaria. L’illusione di un eterno ritorno, che comunque non sarà mai lo stesso: «Primavera ritorna / ma non / lo stesso fiore», ammonisce il poeta.
Dunque cosa resta? Come è possibile fronteggiare il pensiero stesso della caducità, della costrizione a discendere tra le ombre quando la stessa vita è attraversata da zone oscure? Il confine tra vita e morte, intesa come prefigurazione, si fa più labile quando quelle zone oscure divengono la materia stessa della poesia e ne stimolano il potere immaginifico. Per questo il tempo diviene il grande antagonista di questi nuovi versi, associato, come già suggeriva Brodskij, all’immagine dell’acqua che scorre. Queste «altre poesie» di Donatella Bisutti invitano pertanto alla ripresa di un discorso più volte tentato: la luce illumina la realtà e la ridisegna, ogni volta, ponendone in risalto gli aspetti inquietanti, aprendo ferite nell’ottusità del quotidiano. L’alba, scrive Bisutti, «getta il mondo / nella sua prima infanzia». Ed è proprio lì, soltanto lì, che il mito può provare a riscattare il dolore del presente, facendo di quella fiaba antichissima un luogo incontaminato dove il seme della poesia torna incessantemente a nutrirsi, e dove il Tempo (finalmente con la maiuscola) cessa di essere una banale misura per svelarsi nella sua più autentica sostanza. Così Pinocchio, simbolo di un’infanzia piegata e addomesticata, rifiuta di farsi carne umana e preferisce restare ciò che è: un mito moderno inciso in un ciocco di legno, che nessuna legge potrà mai piegare.
Donatella Bisutti, Dal buio della terra, Empirìa 2015, e. 15.00
La veste chiara
La luce della giornata
ancora esita, si impiglia nei vetri.
Una felicità così limpida, e verso sera
il limite dei campi sarà incerto
e, in fondo al ritorno, il buio.
Cosa avrò fatto di una seta così chiara,
dove mi sarò seduta così a lungo da sciuparla,
spiegazzata com’è ora, tutta piena di macchie.