E’ nelle librerie italiane l’ultima opera di uno dei più importanti filosofi viventi, Emanuele Severino,DIKE, Biblioteca Filosofica Adelphi, (luglio 2015).
Il libro – a novembre 2015 già alla Seconda Edizione – comincia con una nota scritta dall’Autore che qui sotto vi proponiamo integralmente.
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Nel mondo greco, la parola díkē, che comunemente traduciamo con «giustizia», si riferisce all’inizio alla dimensione giuridica e, prima ancora, religiosa. Ma la filosofia porta alla luce un significato essenzialmente più profondo di questa parola. Si può dire che l’avvento della filosofia coincide con l’avvento di tale significato. Díkē viene a significare l’incondizionata stabilità del sapere. E richiede la stabilità incondizionata dell’essere. Riguarda tutto ciò che l’uomo può pensare e può fare. Secondo (seguendo) essa si svolge la storia dell’Occidente.
Díkē è chiamata da Aristotele «il principio più stabile»: bebaiotate arché.
Questo significato di díkē compare per la prima volta nella più antica testimonianza del pensiero filosofico: il frammento di Anassimandro. Eschilo ne rende esplicita la conseguenza decisiva per l’uomo della tradizione occidentale: l’incondizionata stabilità del sapere e dell’essere è il «vero» rimedio contro il dolore e la morte. A tale conseguenza, dunque, anche il rapporto tra Anassimandro ed Eschilo, mi sono rivolto altrove (cfr. Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo).
Nelle pagine che ora presento si va invece verso le radici di quel significato. Soprattutto perché Díkē e l’Occidente, che ne è dominato, sfigurano il volto della stabilità autentica: il volto del destino della verità.
Questo libro parla del rapporto tra il puro volto del destino e il suo volto sfigurato da díkē. Ha inevitabilmente alle spalle altri miei scritti, ma compie alcuni passi avanti, soprattutto in relazione a ciò da cui essi muovono: la struttura originaria del destino e il suo implicare l’eternità di ogni essente e la necessità del farsi innanzi della terra. La via indicata sin dall’inizio nei miei scritti che conduce all’eternità degli essenti – e alla necessità della terra – è cioè circondata da altre vie (cfr. Parte seconda e terza) che conducono allo stesso risultato. L’altezza della via merita questo tipo di conferma.
Per comprendere le verità dei passi che le percorrono si è preferito avere sott’occhio, in queste pagine, i tratti centrali dei passi già compiuti, piuttosto che rinviare agli scritti che li hanno mostrati. Se invece potrà a volte sembrare che quanto si afferma non venga più giustificato, sarà quando il discorso riprende temi che, già altrove chiariti e fondati, sarebbe stato troppo ingombrante riesporre.
22 luglio 2015 Emanuele Severino