E’ poesia che fotografa la realtà del nostro tempo quella di Mario De Santis nei suoi “Sciami“, raccolta di versi da poco uscita con Giuliano Ladolfi Editore (euro 10,00).
Una poesia che “aggrega tanto”, al punto che nelle poesie qui proposte, vi sembrerà di vedere i volti dei milioni di migranti e di rifugiati arrivati in Europa negli ultimi decenni.
Un io poetico che guarda alla Storia, oggettivamente, senza nascondere la forma interiore dell’autore, percepita dal flusso ininterrotto di parole, dense, che hanno coscienza della brutalità del nostro tempo.
ESTRATTI
Da “Sciami” di Mario De Santis, Ladolfi Editore, 2015
(Il giorno, fuori)
Arrivo con il tram dove Milano non esiste ancora
per ogni passeggero la strada si dirama, è un delta
di piazze e di cantieri abbandonati e ha svolte, all’improvviso.
noi le passiamo e tutto corre in noi, ritardo senza peso
le mattine delle città sono già fiumi scontrosi e senza vuoti.
Eppure le coincidenze fanno ogni persona
o il suo corpo che va da lievità a posa informe,
un’esistenza – e c’è chi sciama via per un batterio,
per l’invisibile che si nasconde all’aria.
Il rifugiato che abita il riposo
illecito, in corpo ha cielo ed ha prigione;
la libertà di fatto cerca facili indirizzi.
Ben venga allora morire per la prima volta
nel tuo respiro e poi restare avvolto da correnti,
nell’impazienza ascolto la moltitudine di avvisi
e nomi in codici. Crolli minimi che sento
intorno come fioritura,
avverto del palazzo, del pericolo e lontano
un altro posto da occupare. Così fermo la fuga
aprendo un porta all’improvviso, salutando.
(Africa 1)
Come passano i tuoi occhi in offerta
dall’Africa invitano al deserto, la tangenziale scava
nelle case oltre Milano – il tuo corpo regna e si vende.
Il re di tutti è in un grido, il cielo nero fa l’arco, ci interroga
chiude nella vita quel che non sa di finire;
tu tagli in due il referto ottuso di un’orbita lontana
fatta di filiere d’erba secca, un’aggressione scrive la distanza
il giallo d’arso: eloquente, nel passo che non ti seguirà.
Basta sapere che qui la notte va trovando strade in cui morire,
(la sete buia di ossessioni con quell’attesa incostante
fatta di veglia allucinata dei guardiani,
di pacchi pronti ai magazzini, di silenzi prolungati).
Che la tua carne è un cancello divelto, il sangue è sparso
e nella risata trattiene dio che fugge.
Il nostro mondo è quel che resta: pensieri chiusi nell’acqua
vita perduta in un collasso, che non ricordo
che dura tutta in un minuto, giro dell’addio.
Spacca e si moltiplica in coriandoli e farina.
Vietato ogni allarme, sciolta la linfa che ti genera,
resta lontana la tua rabbia inferma,
però quello che non vede oltre la notte sono io.
(Africa 2)
Per questa notte le notizie non ci sono.
Restano le serrature, le camere blindate,
l’orizzonte che si cancella con il rosa
volano via le automobili tagliando sciami,
uomini che non parlano nel buio;
lasciano il sonno, carezze, l’incanto, tamburi e una malìa.
Precipita nel giorno la verticale di un sogno,
calare nel profondo con i minatori di Tau Tona
nel teatro di luce incenerita, nei ricami
dove le distanze appaiono ridicole, violate.
Sento la paranoia dei cani da ispezione
rompere la pelle alla città, farne l’assedio
di schiene nude in fila per le docce.
Gas di un dio cristallino nel cielo
è il rovescio dove è spazio soltanto per i corpi;
e nel soprassalto del montacarichi che arriva giù in basso,
tutto si dimentica, scavare è tempo che frana il diamante
non mio, fino all’ora in cui dall’alto ci chiamano
alla fine del turno : indietro, è già notte
è la nostra luce del risveglio: è solo quella, divorata
e che ci ha resi invisibili,
ma che più di tutte adoro.
Steve McQueen *Western Deep (2002), video
*
Abito da sempre le stanze che hanno luce
ma non basta. È l’alba e fuori brucia
anche il cemento, l’aria di sola cenere si posa.
E resto tra la notte e il giorno
mi sento ancora sporco e senza voce..
e che prometto al giorno nuovo? Allora cado
prigioniero nel mio sonno e mi nascondo
dal chiarore in una casa vasta
più di quegli occhi che non rivedrò.
Divido il sogno dai risvegli
ma cosa spero di salvare?
Le cose che ho portato non ci sono
Resta la polvere, nel grigio forma
la stasi di un disegno, dispersione,
febbre di scadenza e di deriva,
i giorni semplici che non ho vissuto.
Allora sembro come il calendario fermo
al mese indietro e lì quei giorni maledetti
reclamano in ritardo una presenza
che il mio silenzio non accetta di spiegare.
*
Il regno dei cani neri è tutto il mondo, occupato
dalle zampe di animali: silenziosi hanno capito
che la loro solitudine devasta chi li vede. L’abbandono
al niente è perfetto come loro regno, così è la nostra
ombra disegnata a perfezione, la gabbia d’aria,
l’improvvisa trappola in cui cado, gelida giostra
A cosa pensi: a niente –
Un milione di volte ripetuta,
come questa le frasi scendono con noi
milioni di scale a dividerci ora;
si dice verità con frasi cieche a ritornello
inferme e dette in fiato nero negli ordini,
le sentenze per le ore senza posto.
Cado in un vivere d’allarme, trapianto
lo sguardo che non divido, sono l’immediato
passo senza suono, qui sono accanto
alla caserma “Rovere”, a Milano,
ascolto vecchi squilli: non è la tromba
sono altoparlanti,
ma chi deve correre obbedisce
muto e nel silenzio in adunata
io solo, fatto soldato, senza nome
potrei cantare a bocca chiusa il tuo.
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Nato a Roma nel 1964, Mario De Santis è giornalista e conduttore radiofonico a Radio Capital, dopo aver lavorato a Radio Deejay e Italia Radio. Si occupa di libri dal 1988 con programmi interviste, recensioni, video, e pagine web. Cura e conduce ( con Giancarlo cattaneo e Maurizio Rossato) il reading-show di poesia “Parole Note Live”. In poesia ha pubblicato “Le ore impossibili” 2007, Empiria e “La polvere nell’acqua” 2012, Crocetti. “Sciami” è la sua ultima raccolta di versi.
Twitter: @mario_desantis IG: mario_de_santis
Facebook : mario.desantis.radio.capital