Intervista di Luigia Sorrentino a Vasilis Politis sul suo nuovo libro su Platone : The Structure of Enquiry in Plato’s Early Dialogues, Cambridge University Press 2015.
(Roma, Centro Rai di Saxa Rubra, 15 gennaio 2016)
Perché parlare del suo libro sul grande filosofo Platone in un Blog sulla poesia?
“Bella domanda, Luigia. Platone è in realtà un grande poeta, oltre ad essere un filosofo eccezionale.
Il dialogo drammatico che Platone inscena tra il suo personaggio preferito, Socrate, e le persone che Socrate interroga – come Protagora nel dialogo Protagoras o Gorgia, Polo di Agrigento e Callicle nel dialogo Gorgias – è potente come quello di qualunque drammaturgo della portata di Sofocle, Shakespeare o Pirandello.
Chi non ha versato lacrime amare alla fine del Fedone quando Platone descrive il momento dell’esecuzione di Socrate e della sua morte. E chi non si è commosso profondamente con il racconto dell’amore di Platone (erōs) nel Simposio: l’amore come la visione mistica della bellezza e della divinità e la conseguente nascita di una virtù autentica e di una vita che vale la pena vivere. Platone mette questo racconto sulla bocca di una donna saggia, Diotima, una donna che lui presenta come maestra di Socrate in materia di amore.”
Come e perché è arrivato a scrivere questo libro?
“I miei genitori mi raccontano che già da bambino non smettevo mai di fare domande. questo libro è proprio sull’arte di porre le domande. Io credo che tutti noi abbiamo la forza e il desiderio di porre delle domande, ma, allo stesso tempo, abbiamo bisogno di fare pratica e di imparare come farlo. Sono arrivato a pensare che non c’è miglior insegnante di Platone in questo campo.
Comunque, mi ci sono voluti molti anni per capirlo, e ancora di più per metabolizzarlo, come ho cercato di fare nel libro. Platone ci mostra una cosa importante dell’arte di porre delle domande e cioè che questa attività, porre domande e cercare delle risposte non è un’attività solitaria, ma non è neanche possibile svolgerla in mezzo alla folla o attraverso le masse come succede oggi nei media. Si tratta invece di un’attività congiunta e collaborativa che coinvolge due o tre persone.”
Perché questo libro può interessare anche a chi non è uno specialista della materia o un accademico?
“Spero che sia così, Luigia, e che il vero interesse per il libro possa veramente andare oltre il mondo accademico e gli accademici, perché era proprio questo uno dei miei maggiori obiettivi durante la stesura del libro. Dovremmo aspettare e vedere se sono riuscito nel mio intento, ma ci vorrà del tempo. Mi piacerebbe pensare che oltre ad essere un libro scolastico su Platone, uno di quelli che getta una nuova luce sul più studiato dei filosofi, il libro sia veramente un’introduzione all’arte di porre delle domande e cercare delle risposte: alla filosofia, ‘la ricerca della saggezza’, solo in questo senso.”
Si pensa spesso che Platone sia un filosofo dogmatico, con teorie metafisiche e dogmi morali. Lei è d’accordo?
“Ha ragione, Luigia, Platone difende teorie sul modo, sull’universo nel suo insieme, sul cosmo e sul posto dell’uomo al suo interno e queste teorie potrebbero essere definite ‘metafisiche’ e ‘morali.’
Comunque, il punto più difficile del libro è proprio spiegare che queste teorie non sono l’aspetto più importante di Platone. Al contrario, il cuore e il centro della filosofia di Platone è nelle sue indagini, nelle sue ricerche e nelle sue riflessioni e nel racconto della ricerca. La ricerca per Platone, almeno dal mio punto di vista, si avvia attraverso le domande, aporiai; e queste domande non presuppongono affatto teorie o dogmi, al contrario sono domande che scaturiscono dalle preoccupazioni quotidiane che sono preoccupazioni di tutti.
Sì, ci sono certamente delle teorie in Platone, ma sono il risultato di una lunga ed ardua ricerca nata alla necessità di porre domande e articolare aporiai (n.d.r. aporie). Inoltre, sono convinto che Platone non presenti mai le sue teorie come qualcosa di definitivo, finito, che noi dobbiamo semplicemente accettare. Al contrario, pensa che queste teorie siano valide solo se ci impegniamo nelle nostre ricerche personali che possono o non possono portarci a conclusioni simili a quelle alle quali è arrivato lui.”
Nel suo libro la parola aporia compare migliaia di volte. Che cosa significa per lei e perché è così importante?
“Non ho contato il numero di volte in cui ricorre la parola aporia, nel mio libro, ma non mi sorprenderebbe affatto, Luigia, comparisse migliaia di volte e non centinaia, e mi consenta la sua iperbole italiana.
Un’ aporia, come vediamo in Platone, è una domanda, ma non è una domanda qualunque, è quella per la quale già sappiamo dove trovare una risposta. Questo tipo di domanda si può definire basilare. Nel libro la definisco una domanda radicale.
Che cos’è una domanda radicale in questo senso? E’ una domanda che va alle radici delle cose e lo fa perché non dà nulla per scontato e per questo è in grado di mettere in discussioni anche le convinzioni più radicate nelle nostre vite, i nostri idoli più cari.
Queste domande radicali hanno anche un’altra sorprendente caratteristica: non solo non conosciamo la risposta a questa domanda (ovviamente questo vale per tutte le vere domande), ma non sappiamo neanche come cercare una risposta. Come cercare una risposta alla domanda Q diventa importante come la stessa domanda Q.”
Sembra che sia necessario un bell’allenamento per comprendere e articolare queste aporiai e questo potrebbe mettere in discussione ciò che lei sostiene, e cioè che queste domande sono di interesse e di importanza generale per tutti gli esseri umani. Cosa ne pensa?
“Questo, Luigia, è il punto più importante e percettivo.
In parte, è così. Per articolare pienamente ed adeguatamente una domanda radicale, un’aporia, sono necessarie grandi capacità e quindi molto allenamento. Questo perché bisogna dimostrare perché e come la domanda non è una domanda qualunque ma va veramente alla radice delle cose, non dà nulla per scontato e ha la potenzialità di mettere in discussione perfino le nostre convinzioni più radicate. Non è affatto semplice e lineare riuscire a dimostrarlo caso per caso.
Comunque, sarebbe sbagliato pensare che non esistono domande, o che non si possa comprendere, sentire o percepire una domanda finché non si è in grado di articolarla pienamente ed adeguatamente. No, sarebbe sbagliato pensare questo – sarebbe un errore tipico degli accademici. Al contrario, una vera aporia può colpire veramente – ci può segnare e coinvolgere, preoccupare prima di essere in grado di formularla adeguatamente.
E questo significa che le aporiai sono domande vive per chiunque di noi, a prescindere dalla nostra formazione, che ce l’abbiamo o no e dal nostro background culturale.
Ho avuto le migliori dissertazioni filosofiche con persone pragmatiche, come ad esempio dei muratori. Socrate era un muratore, figlio di un’ostetrica. Non era un professore, o il figlio di un avvocato, e parlava con tutti, non solo con gli eruditi.”
Può farmi un esempio di questa aporia?
“Ci proverò. Una delle aporia di Platone più note che lo occupa in numerosi dialoghi può essere articolata attraverso la domanda: E’ possibile insegnare una virtù? In greco, la parola virtù si traduce con arête. Quindi, si potrebbe pensare che Platone stia ponendo una domanda di natura squisitamente morale, ma sarebbe sbagliato. Al contrario, Platone chiede se valga la pena vivere, per la persona che vive e per coloro che fanno parte della sua vita, se questo è qualcosa che può essere insegnato, come si possono insegnare qualità professionali, o come avere successo nella propria vita professionale.
Credo veramente che questa sia una domanda radicale, oggi e sempre. Nella società odierna abbiamo tutto, ogni tipo di istituzione, e ogni tipo di esperti (come gli accademici) nell’insegnamento di determinate qualità; disponiamo di molti strumenti per poter misurare il successo di questi insegnanti e dei loro studenti. Inoltre, queste capacità sono giunte ad occupare una parte sempre più importante della nostra vita. Difficilmente abbiamo tempo o energia per altre cose (a meno che non si tratti di un hobby o di una vacanza rilassante), che non siano l’impegno per migliorare le nostre capacità professionali.
Ma tutto questo ci ha reso migliori? Avere queste qualità e il modo in cui esse hanno preso il sopravvento sulla nostra vita, hanno reso migliore la nostra vita? E se non crediamo che ci siano stati miglioramenti, a chi possiamo rivolgerci per una guida o un consiglio? Ai politici? Ai sacerdoti? A chi?
Forse non possiamo rivolgerci a nessuno, perché vivere una vita piena, una buona vita, non si può insegnare. Possiamo solo scoprirlo per noi stessi, ponendo le giuste domande e cercando a modo nostro delle risposte. Sì, gli altri possono stimolarci, ma non possono fare altro, e non possono istruirci né testare la nostra risposta alle loro istruzioni. Questi stimoli dipenderanno dal nostro terreno interno quello che ognuno di noi deve coltivare per se stesso.”
Platone diceva che se i politici non diventano filosofi, non c’è alcuna speranza per gli esseri umani e l’umanità. Perché diceva questo? Lei pensa abbia ragione?
“E’ una questione importante, Luigia. Cosa intende dire Platone con queste parole? Il significato che attribuiamo a questa affermazione dipende dalla lettura che diamo a Platone: lo leggiamo come un filosofo dogmatico che pensa in termini di teorie e di impegni imprescindibili, come spesso accade; o al contrario lo leggiamo come un filosofo inquisitivo e aporetico che pensa in termini di domande radicali e domande aperte?
Naturalmente, quest’ultima lettura è quella che prediligo, e questo vuol dire che con l’affermazione sui politici che devono diventare filosofi lui intende che se vogliamo una speranza per l’umanità, coloro che governano la città, la società, devono imparare a porre domande radicali; e devono porre l’arte di porre domande alla base del loro governo.”
Platone non voleva bandire i poeti dalla città ideale? Pensa sia una buona idea?
“Platone fa questa affermazione. E questo mi preoccupa sicuramente come preoccupa anche lei Luigia, in quanto poeta. Preferisco non dire nulla a riguardo, o quasi nulla. Dirò solo che secondo la mia lettura, Platone non vuole semplicemente bandire la poesia dalla città ideale e dalla vita civica. Ciò che vuole è evitare che la poesia svolga una certa funzione o un certo ruolo all’interno della società. Forse riusciamo a comprendere meglio l’obiettivo dell’attacco di Platone se compariamo la funzione che aveva (secondo lui) la poesia nella sua epoca e nella sua società, alla funzione che oggi svolgono i media o gli opinionisti nella nostra società.”
Grazie, Professor Vasilis Politis. Un’ultima domanda. Ascoltando questa intervista, ci si potrebbe chiedere: “Bene, ma tutto questo cosa ha a che fare con la poesia?”
“Ottima domanda, Luigia, confesso che temevo che me la facesse e per questo ho pensato che sarebbe stato meglio prepararsi. Le sono molto grato per l’intervista e per questa bella conversazione e desidero ricordarle ciò che lei stessa ha detto in un’intervista alla Signora Elena Salibra.
Ecco quello che lei stessa ha risposto: ‘ Il poeta sente la necessità di allontanare da sé gli eventi della cronaca per osservarli da una certa distanza. La lontananza ha un potere di visione enorme che dirige a una consapevolezza. Il poeta non riferisce, implementa, assorbe la realtà e dubita, si pone le domande. Il dubbio è una forza vivida, divide la verità totalizzante che il giornalista cerca, se ne distacca. Il dubbio è lungimirante: vede più lontano, intuisce l’andamento delle cose, e, talvolta, lo precede. Dalla lontananza, quindi, la realtà è percepita dal poeta, in maniera completamente diversa.’
Spero che lei stessa possa riconoscere la bellezza delle sue parole e, se posso permettermi, non c’è migliore descrizione non solo del vero poeta, ma anche del vero filosofo!
Grazie di cuore, Luigia”
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NOTA PERSONALE
Vasilis Politis è nato ad Atene nel 1963. Con l’arrivo al potere dei colonnelli in Grecia nel 1967, il padre lasciò il paese e non vi rimise piede fino alla caduta della giunta militare nel 1974. Quindi Vasilis crebbe con il padre ad Aarhus, in Danimarca. All’età di 20 anni, intraprese gli studi di letteratura e filosofia ad Oxford e a Monaco. Dal 1922 insegna Filosofia al Trinity College di Dublino.
(Traduzione: Letizia Tesorini, Rainews24)
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‘Philosophy, Poetry and the Art of Questioning’
Interview by Luigia Sorrentino of Vasilis Politis and his new book on Plato , The Structure of Enquiry in Plato’s Early Dialogues, Cambridge University Press 2015.
(Rome, Centro Rai di Saxa Rubra, 15 January 2016)
Why should we discuss your book on the great philosopher, Plato, in a Blog for poetry?
“A good question, Luigia. Well, Plato is a truly great poet, just as he is an exceptional philosopher.
The dramatic dialogue that Plato fashions between his favourite protagonist, Socrates, and the persons that Socrates interrogates – such as Protagoras in the dialogue Protagoras or Gorgias, Polus and Callicles in the dialogue Gorgias – is as powerful as that of any dramatist, be it Sophocles, Shakespeare or Pirandello.
Who could fail to be shaken to bitter tears by the ending of the Phaedo when Plato describes the moment of Socrates’ execution and moment of death.
And who could fail to be profoundly moved by Plato’s account of love (erōs) in the Symposium: love as the mystical vision of Beauty-and-Goodness and consequent birth of authentic virtue and a life worth living. Plato puts this account in the mouth of a wise woman, Diotima, a woman that he presents as Socrates’ teacher in matters of love.”
How and why did you come to write the book?
“My parents tell me that even as a child I could not stop asking questions. This book is really about the art of questioning. I believe that we all have the power and the desire to ask questions, but at the same time we need to practice and to learn how to do this. And I’ve come to think that there is no better teacher, and practitioner, in this regard than Plato.
However, it took me many years to realize this, and even longer to work it out properly – as I’ve tried to do in the book. One important thing that Plato demonstrates to us about the art of asking questions is that this activity, the activity of asking questions and of searching for answers, is not a solitary one; but neither is it at all possible to engage in this activity in and through a crowd – as happens in today’s media. Rather, it is a joint and collaborative activity, and one that involves just two or three persons.”
Why is this book of interest to people who are not specialists or academics?
“I hope that you are right, Luigia, and that the book is indeed of genuine interest beyond academia and academics. For, this has been one my major aims when I was writing it. Whether I’ve succeeded, we will have to wait and see, and this will take time. I would like to think that, in addition to being a scholarly book on Plato – and one which casts some new light on that most studied of philosophers – the book is really an introduction to the art of asking questions and searching for answers: to philosophy, ‘the search for wisdom’, in just this sense.”
It is often thought that Plato is a dogmatic philosopher, with metaphysical theories and moral dogmata. Do you agree?
“You are right, Luigia, Plato does defend theories about the world –the as a whole, the cosmos – and of man’s place in it; and such theories could be called ‘metaphysical’ and ‘moral’.
However, the one point that I have been at pains to make in the book is that his theories are not the first or most important thing in Plato. On the contrary, Plato’s heart and core is his enquiries, his searches, and indeed his reflections on and account of enquiry. Enquiry, for Plato as I understand him, is set in motion by questions, aporiai; and these questions do not at all presuppose any theories or dogmata, on the contrary they are questions born out of everyday concerns, which we are the concerns of all of us.
Yes, certainly there are theories in Plato. But they are the result of long and arduous searches born out of the need to ask questions and articulate aporiai. Moreover, I am convinced that Plato never puts forward his theories as something definitive, as something finished which he expects us simply to accept. On the contrary, he thinks that such theories are of value only if we engage in our own searches, searches that may, or may not, lead us to similar conclusions as those he came to.”
The word aporia occurs thousands of times in your book. What does this word mean and why is it so important to you?
“I haven’t counted the number of occurrences of that word, aporia, in my book, but I would not be at all surprised, Luigia, if it is in thousands rather than hundreds – even allowing for your Italian huperbole.
An aporia, as we find it in Plato, is a question. But it is not just any kind of question, or one that, at any rate, we know how to look for an answer to. Rather it is what may be called a basic question. In the book, I call it a radical question.
What is a radical question in this sense? It is a question that goes to the root of things. It does so because it takes nothing for granted. And since it takes nothing for granted, it is capable of calling into question even our most entrenched everyday convictions, the convictions in and through which we live our lives – our treasured idols as it were.
Such radical questions, aporiai, have also the following striking characteristic: not only do we not know the answer to such a question (this, of course, is true of all genuine questions), we do not even know how to search for an answer. How to search for an answer to question Q becomes just as important as the question itself, Q.”
It seems that one needs considerable training to understand and articulate such aporiai; and that this may render questionable your claim that such questions are of general human interest and significance. What do you say?
“That is a most important and perceptive point, Luigia.
In part, you are right: fully and properly to articulate such a question, a radical question, an aporia, needs great skill and, therefore, much training. This is because one has to show why, and how, the question is not just any kind of question but one that really does go to the root of things: it takes nothing for grated and has the potential of calling into question even our most basic beliefs. And to show this, from case to case, is not at all easy or straight forward.
However, it would be quite wrong to think that there is no question, and no understanding, perception and feeling of a question, unless and until a person of such skill can, fully and properly, articulate it. No. To think this would be a bad mistake – the typical mistake of academics, as one might think. On the contrary, a genuine aporia can strike you – any of us – it can plague and concern us, long before you, or someone other, can fully and properly articulate it.
And this means that aporiai are live questions for any one of us, irrespective or our training, or lack of it, or our intellectual background, or lack of it.
Some of the best philosophical discussions I’ve had have been with practical people, such as stonemasons. Socrates was a stonemason, son of a midwife. He was not a professor, or son of a lawyer. And he discussed with anyone, not just the learned.”
Can you give an example of such an aporia?
“I will try. One of the most prominent aporia in Plato, which occupies him in several dialogues, can be articulated through the question: Can virtue be taught? Now, the Greek for ‘virtue’ is arête. So we might think that Plato is asking a narrowly moral question. But this would be quite wrong. On the contrary, what Plato is asking is whether living a life worth living, for the person who lives the life and for those others who or part of his or her life, whether THIS is something that we can be taught; as we can be taught all manner of skills and in general we can be taught to be successful at any rate in our professional life.
I really do think this is a radical question, as radical today as ever. In today’s society we have all kinds of ways, and all kinds of institutions and their practitioners (such as, academics) of teaching skills; and all kinds of ways of measuring the success of such teachers and of their students. Moreover, these skills have come to occupy ever greater parts of our life. We hardly have time or energy for other things (unless it be a hobby or a nice relaxing vacation) than, precisely, to become ever better, and better trained, in such professional skills.
But, has this made us any better? Have these skills, and the way they have been taking over our lives, made our lives better and more worth the living? And, if we are less than confident that they have, whom can we turn to for guidance or advice? Politicians? Priests? Who?
Perhaps there is no one to turn to, because living a life worth living, and a good life, is not something we can be taught. We can only discover this for ourselves, not least by asking the right kind of questions and searching for answers in our own distinctive ways. Yes, others can stimulate us in this regard; but they can do no more, and they cannot instruct us or test how well we respond to instruction. Such stimuli will depend, for their growth or otherwise, on our own internal soil, a soil that we, each of us, have to cultivate for ourselves.”
Plato said that unless and until politicians become philosophers, there is no hope for humans and humanity. Why did he say this? Do you think it is true?
“This is a big issue, Luigia. What does Plato mean when he says this? What we take him to mean depends, very much, on whether we read Plato as a dogmatic philosopher, a philosopher who thinks in terms of theories and unshakable commitments – and this is how he is often read. Or whether, on the contrary, we read Plato as an inquisitive and aporetic philosopher, a philosopher who thinks in terms of radical questions and open-ended enquiries.
Of course, I want to read Plato the latter way. And this means that, as I understand his claim about politicians having to become philosophers, it means, precisely, that, if there is to be any hope for us humans, then those who govern the city, those who govern society, must learn to ask radical questions; and they must make the art of questioning the basis of government.”
Did Plato not want to ban the poets from the good city? Do you think that is a good idea?
“Plato does say this. And this worries me as no doubts it worries you, Luigia, you who are a real poet in your own right. I prefer to remain silent on this point, or almost silent. The one thing I’d like to say is that, as I would like to understand him, Plato does not want to simply ban poetry from the good city and from civic life. What he wants is to ban from society a certain function and role of poetry. Perhaps we can best understand what the target of Plato’s attack is if we liken the function that poetry (in his view) had, at his time and in his society, to the function that the media and ‘opinion-makers’ have in our society today.”
Thank you, Professor Vasilis Politis. One last question, though. A listener of this interview may well think: All well and good, but what has this got to do with poetry?
“Ah, you are a clever interviewer, Luigia. I confess that I feared you’d ask this. And, because I was afraid I thought I’d better come prepared. May I, therefore, remind you, to whom I am deeply grateful and glad of this interview and discussion, of something that you once said, in an interview to Signora Elena Salibra.
Here is what you said: Il poeta sente la necessità di allontanare da sé gli eventi della cronaca per osservarli da una certa distanza. La lontananza ha un potere di visione enorme che dirige a una consapevolezza. Il poeta non riferisce, implementa, assorbe la realtà e dubita, si pone le domande. Il dubbio è una forza vivida, divide la verità totalizzante che il giornalista cerca, se ne distacca. Il dubbio è lungimirante: vede più lontano, intuisce l’andamento delle cose, e, talvolta, lo precede. Dalla lontananza, quindi, la realtà è percepita dal poeta, in maniera completamente diversa.
I hope you recognize it as your own good words. And, if I may, what better description not only of the true poet, but of the true philosopher!
I thank you warmly and sincerely, Luigia.”
PERSONAL NOTE
Vasilis Politis was born in Athens in 1963. When Greece was taken over by the colonels in 1967, his father left the country and did not set foot in it again until 1974 when the junta fell. Thus Vasilis grew up with his father in Aarhus, Denmark. During his twenties he studied philosophy and literature in Oxford and Munich. And since 1992 he has been a teacher of philosopher at Trinity College Dublin.
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Professor Vasilis POLITIS
Personal details
Born 20 May 1963 in Athens, Greece. Greek citizen. Lived in Aarhus, Denmark from 1970-1982; in Oxford from 1982-92; and in Dublin since 1992. Two children, Marina Dorothée and Nicholas Gordon, aged sixteen and thirteen.
Work address
Department of Philosophy, Trinity College Dublin, Dublin 2, Ireland (tel. 0035318961529; mobile 00353868401503; fax. 0035316715760; mail: vpolitis@tcd.ie)
Home address
63 Corbawn Drive, Shankill, Dublin D18T863, Ireland (tel. 0035314449756; mobile 00353868401503)
Areas of specialization and of competence
AoS
Ancient Greek Philosophy, especially Plato and Aristotle
AoC
Kant and Neokantianism. Areas of contemporary metaphysics (essence, necessity and explanation)
Education
- Phil. (Oxon.) 1994
- Phil. (Oxon.) 1989
B.A. (Oxon.) 1986, First Class
Positions held
since 2012 Associate Professor at Trinity College Dublin
since 2005 Senior Lecturer at Trinity College Dublin
since 2004 Fellow of Trinity College Dublin
since 1997 Permanent lecturer at Trinity College Dublin
1992-1997 Fixed-term contract at Trinity College Dublin
Languages
Modern Greek, Danish, English, German, Italian, French, Ancient Greek.
Awards and distinctions
2009-10 Fellow at the Wissenschaftskolleg zu Berlin – Berlin Institute of Advanced Study
2007-08 Senior Research Fellow of the Irish Research Council for the Humanities and Social Sciences
2008 Feb-Apr Guest-professor at the University of Leiden, Department of Philosophy
2002, 2003, 2004, 2005, 2006, 2013. Awards and grants from Trinity College Arts and Social Sciences Benefactions Fund, Trinity College Association and Trust, and Trinity College Programme for Mediterranean and Near Eastern Studies
2004 Elected Fellow of Trinity College Dublin
1986-88 Graduate Studentship at St. Anne’s College Oxford
1984-85 Scholarship at the Stiftung Maximilianeum, Munich
1983 Scholar at St. John’s College Oxford
Administrative and other duties to College and to wider academic community
2012-2014 Head of Philosophy.
since 2004 Director of the Plato Centre of Trinity College Dublin.
since 2014 Member of the Standing Committee of the Fellows of Trinity College Dublin
2006-07 Head of Department (interrupted due to award of IRCHSS Senior Fellowship)
2006-07 Secretary to the Fellows of Trinity College Dublin. Member of the Standing Committee of the Fellows (interrupted due to award of IRCHSS Senior Fellowship)
2007 Co-organizer of the tri-annual symposium of the International Plato Society, held in Dublin in July
1999-2006 Chair of the Philosophy Committee, Royal Irish Academy
2005-06 Director of Teaching and Learning, School of Social Sciences and Philosophy
2001-07 & 2010-12 Moral Tutor
2005-07 Member of the TCD working group on the review of the Scholarship examinations. Member of the TCD working group on modularization and year structure.
Memberships
International Plato Society
European Society for Ancient Philosophy
International Berkeley Society
Referees
Professor John Dillon, Department of Classics, Trinity College Dublin, Dublin 2. Ireland (dillonj@tcd.ie, jmdillon@eircom.net)
Professor Terence Irwin, Professor of Ancient Philosophy
Faculty of Philosophy, Radcliffe Humanities, Radcliffe Observatory Quarter
Woodstock Road, Oxford, OX2 6GG (terence.irwin@philosophy.ox.ac.uk)
Professor Gail Fine, Department of Philosophy, Cornell University
Professor Christof Rapp, Lehrstuhl für Philosophie III, Ludwig-Maximilians-Universität,
Geschwister-Scholl-Platz 1, 80539 München (Christof.Rapp@t-online.de)
Mrs Lesley Brown, Somerville College, Oxford (lesley.brown@some.ox.ac.uk)