Da un’idea di Luigia Sorrentino
A cura di Fabrizio Fantoni
Un possibile autoritratto
di Cristina Annino
Io credo che l’autoritratto ( almeno per un certo tipo di artista), se non consiste in un’opera pittorica, sia il più falso romanzo che lui possa scrivere su se stesso.
Solo la pittura può uscire dalla poesia o comunque dal regno delle parole; in questo caso infatti il quadro, interpretato e decodificato da chi lo guarda, può dare dignità, credibilità, soprattutto interesse per gli altri ecc. Assumendo ogni volta un’interpretazione differente, perché sempre avverrà una suddivisione – ammesso che chi guarda sappia vedere, e nel mio paradosso lo do per scontato – dell’autore raffigurato senza che vengano invasi feudi o vite altrui. Per vanità, per alienazione o per il falso anche involontario che c’è sempre in una ricostruzione mnemonica.
La mia identità poetica non saprei, a parole, come rappresentarla; mi sono state fatte interviste in proposito, certo, mi si chiedono fatti riguardanti la mia vita a ogni lettura, incontri poetici e altro, ma non ho mai avuto l’idea di stimmatizzare tali risposte nella categoria dell’ “autoritratto”.
Premesso ciò, quel che resta è: curriculum di persona mediamente colta, laurea; percorso artistico non programmato né volontario, dove la vita non si può distinguere dalla poesia o viceversa. Ho incontrato persone importanti in vari campi della cultura senza mai sentirmi influenzata né ho mai pensato di insegnare qualcosa ad un altro essere umano.
Le presenze dalle quali invece ho preso molto facendolo mio del tutto, caratterialmente,sul piano psicologico, sull’interpretazione dell’esistenza ecc, sono gli animali, l’ambiente strettamente familiare e i viaggi. Questi comprendono persone ovviamente, ma comuni; anzi, più comuni erano, più slegate cioè da un ambiente letterario, più diventavano me. Nella rielaborazione poetica, intendo.
Vale a dire io sono ciò che ho vissuto. Ma come si fa a stringere le esperienze della vita nel minimo o ampio che sia, rigido comunque contenitore di un autoritratto? Trovo più significativo dire che se guardo, parlo, penso in un certo modo, lo devo ai paesi che ho visto e a come li ho visti, soprattutto alla gente che li abita. Ritorna allora l’idea della “descrizione” pittorica che non è più un contenitore qualsiasi o definito dall’autore, che all’autore neppure ubbidisce, ma testimonia una realtà di insieme afferrabile da chi guarda con l’intenzione di capire.
Parallelamente a quel che ho toccato e visto, la poesia mi ha accompagnata senza richieste, è venuta di rimbalzo e io trovo che fare poesia sia molto divertente. Rappresenta comunque quel che sono nel modo migliore; lei sola può ritrarmi senza errori, invasioni o alterazioni, trattiene insomma il distillato. Parole mie di intervento in tal senso ( soprattutto per un poeta che esce e sta uscendo da un vissuto non libresco, né da sodalizi creativi importanti, ma che viaggia e rapina e torna nei pochi metri quadrati di una stanza a nutrire le sue “sette teste come uccelli”, con ciò che ha fagocitato prima)resterebbero cronaca, carta, parole al vento. Questo è quanto io possa dire.
… io sono quel che ho vissuto… parallelamente a quel che ho toccato e visto… è questa la veridicità del fare poesia, l’occhio, la mano, i sensi il tutto filtrato da un talento non comune: brava Cristina, migliore self portrait non potevi produrre, nemmeno coi pennelli con cui hai dimestichezza.
Voce inconfondibile e tra le più significative della poesia contemporanea.
Poesia che è trasmissione d’esistenza e sua reinvenzione.
C’è qualcosa di magnetico che non solo affascina, ma si ripercuote d’immenso in chi legge.
La sua scrittura è catartica.
Fa bene all’anima.
cb
Intelligenza che è perché è. Senza spiegazioni. Poeta magnifica.
Grazie,
Giampaolo