Gandolfo Cascio, ” Un’idea di letteratura nella «Commedia» “

 

Gandolfo Cascio, nella foto di Dino Ignani

Gandolfo Cascio, nella foto di Dino Ignani

di Roberto Talamo

In un libro sulla Divina Commedia, il valore dei numeri non può essere affidato al caso: Cascio affida ai sei capitoli del suo «volumetto» (così nell’Avvertenza al lettore) la sua «esperienza» di lettura del poema dantesco e il numero fa pensare alle Sei passeggiate nei boschi narrativi (la collana si chiama «Camminando con Dante» e, in copertina, Stazio, Virgilio e Dante deambulano nella bella illustrazione lineare di John Flaxman) e, ancora più, richiama i Six Memos for the Next Millennium, entrambi pensati per le sei lezioni delle Norton Lectures (e Charles Eliot Norton fu anche traduttore di Dante).

«Guida», «Gruppo», «Imitazione», «Consolazione», «Patria» e «Metamorfosi» sono le sei stazioni di questo incedere, sei note o appunti che vanno al di là, mi sembra, della sola esegesi dantesca e sono anche un promemoria sul destino della letteratura, della critica e della lettura in questo millennio.

 

Controproposta o «tentativo […] scapestrato» (corregge l’autore) di sostituire all’insopportabile superficialità inventiva dei commentatori postmoderni, la fedeltà all’intentio auctoris e alla «componente etica» del testo: Dante ci invita, prosegue Cascio, a servirci dell’«esperienza raccolta nel libro» per costruire non un sistema etico di carattere teorico ma un’idea morale di letteratura, «bussola nel percorso umano» e promessa di felicità e bellezza conquistata non senza fatica.

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La letteratura è «guida», come per Dante che si affida ai poeti non per puro godimento estetico, ma per arrivare a migliorarsi: solo i poeti infatti, poiché la poesia è ragione e suono, intelletto e sensualità, «possono contribuire in un modo più convincente di quello di altri personaggi a farci comprendere la nostra storia umana» (29).

 

La letteratura è «gruppo», perché la Commedia ha un significato universale ma si rivolge anche ai poeti stessi, «parlando cose che ‘l tacere è bello» (If. IV, 104), costruendo una ricezione inter scriptores che è accoglienza e dialogo privilegiato ed elitario.

La letteratura è «imitazione», ma il modello da imitare deve essere individuato con cura: Francesca si finge stilnovista ma ha scelto, suggeriamo noi (a partire da quanto dice Cascio), di Dante il Fiore (e tutta la letteratura erotica pre-stilnovista che l’opera rappresenta); così il verso giovanile «e sì ‘l basciai con molto gran tremore» (Fiore, XX, 13) può diventare l’immortale «la bocca mi basciò tutto tremante» solo al prezzo di un inganno intellettuale (e della dannazione eterna degli amanti).

La letteratura è «consolazione» ma non soltanto, per Dante, consolazione dagli affanni terreni (per questo scopo è sufficiente il canto di Casella), è anche consolazione nuova, di grado ulteriore, perché bisogna cominciare a consolare l’uomo (quello che cerca la salvezza) anche dalla rinunzia a quei piaceri che, dilettando, distraggono dal viaggio: «il salvataggio può avvenire solo emancipandosi dalle cose terrestri, per quanto belle e per quanto dolci» (79). È questa forse l’interpretazione più coraggiosa e inattuale, perché più fedele all’intenzione d’autore, che Cascio propone dei versi del Purgatorio.

La letteratura è «patria» perché luogo dell’anima e condivisione di una medesima lingua che non è il latino, né il provenzale né il volgare illustre, ma lo stesso linguaggio poetico.

La letteratura è «metamorfosi» quando invita autore e lettore a un incontro trasformativo (con tutti i rischi esperiti dalla «coppia di Rimini»), incontro che mette in ridiscussione continua lo stesso canone letterario con le sue gerarchie: ma, con l’ultima cornice, dopo il trionfo di Guinizzelli e Arnaut Daniel (che nasconde in controluce quello dantesco) i significati della poesia si esauriscono e non ci resta che trasumanare.

Nel Paradiso, ci dice Cascio, non c’è spazio per la riflessione sulla letteratura e così anche questo bel «volumetto» trova la sua conclusione, perché nelle pagine qui recensite si riconosce con chiarezza l’intenzione e la tensione etico-religiosa dell’iniziativa storica e letteraria dantesca, ma il critico segue le orme del Poeta fino a un certo punto.

Questo libro ha i piedi ben piantati sulla montagna del Purgatorio, cioè nella realtà della nostra vita, la nostra patria, e non vuole lasciarla; si spinge, nei temi e nelle indagini delle sue schidionate, ora nei burrati infernali ora tra le severe luci del cielo, ma l’idea della letteratura la si riconosce prima di tutto nel mondo dell’uomo, tra chi — per chiudere con un’altra guida poetica che ci ha mostrato la condizione purgatoriale — tra chi è «pronto al balzo» e chi è «quasi in catene».

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NOTA BIOGRAFICA
Roberto Talamo (1974), è dottore di ricerca in “L’interpretazione. Letteratura Italiana e Teoria della Letteratura” (Università di Siena), con una tesi sulla riflessione estetica di Paul Ricœur, docente di ruolo di Materie Letterarie e Latino nei Licei, cultore della materia in “Teoria della Letteratura” presso l’Università di Bari. Collabora con diverse riviste. Tra le sue principali pubblicazioni, la monografia Intenzione e iniziativa. Teorie della letteratura dagli anni Venti a oggi (Progedit, Bari 2013) e la curatela di Paul Ricoeur: un’etica dei generi letterari, numero monografico della rivista «Enthymema» (IX, 2013).

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