Cristina Annino, “Anatomie in fuga”

anatomie_in_fugaDall’Introduzione
di Maurizio Cucchi
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Cristina Annino aveva avuto un esordio felice, una giovinezza poetica decisamente illustre, di primo piano. Aveva infatti goduto della stima di grandi personaggi, di poeti e promotori di poesia di cui oggi sentiamo la mancanza. Parlo infatti di Franco Fortini, di Giovanni Giudici, di Antonio Porta che con la loro autorevolezza  ne avevano subito colto l’originalità, la freschezza energica, il talento, insomma. Erano stati i tempi di un suo esordio collettivo Einaudi con introduzione di Walter Siti, della pubblicazione di uno dei suoi libri migliori, Madrid, apparsi in una collana diretta da Michelangelo Coviello. Da allora sono passati più o meno trent’anni e Cristina Annino ha lodevolmente pensato più all’autenticità, sempre rincorsa, della propria esistenza personale, che al successo letterario e alla presenza su una scena che ingiustamente – ma con il suo concorso involontario – la stava mettendo temporaneamente da parte.

ESTRATTI
da: Anatomie in fuga di Cristina Annino, Donzelli Editore, 2016

 

Ci vorrebbe il senso

Ci vorrebbe il senso divino
della febbre e la luce
canina. L’eterno segreto
come s’afferra la ruota
d’un mulino restandoci preso,
ecco, capsico d’essere
infelice

* * *

Finendola
col cervello anche e le sue ragioni,
il ragno con le trame, non posso
star bene. Neppure smettendo
di camminare o seduto: è l’agguato
micidiale della mente quando
divento puro cacciando come gli dei
fanno i cactus vivi e gli alberi
umani. Il tempo rieccolo
lavandaio, ammiraglio,
con acqua sempre in mezzo a sé;
un po’ contento un po’ scemo,
alzandosi i peli del braccio
in aria, dice “noi siamo nelle mani
del vento.”

* * *

L’odiatore

Io spesso me ne vado con la Fine;
poi si torna, e credo che noi due
siamo l’insonnia o peggio:
quel pezzo di giorno che non matura mai
in gallo. Ma odiando – questo è certo – ora il mare
e ciò che nasconde, la carne con ciò che odora,
la terra con ciò che bolle; odiano il Portavoce
che perde nell’acqua le mani e, avanti, allargando feroce
spalle piene di balena qual è, rompe al mondo
le gambe. Non so più se annaffiare le piante
o farle seccare. E che altro, per esempio,
nella vita terrena.

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Cristina Annino, cresciuta ad Arezzo, a Firenze studia Lettere moderne e frequenta il Caffè Paszkowski dove entra in contatto con il Gruppo 70. Nel 1969, con le edizioni Tèchne di Firenze, pubblica il suo primo libro di poesia, Non me lo dire, non posso crederci. Nel 1984 Walter Siti la include nel terzo volume dei Nuovi poeti italiani (Einaudi). Nel 1987 grazie ad Antonio Porta pubblica per Corpo 10 di Milano Madrid, volume con cui vince l’anno dopo il Premio Pozzale Luigi Russo. Nel 2001 Franco Loi e Davide Rondoni la inseriscono nell’antologia Il pensiero dominante. Poesia italiana 1970-2000 (Garzanti, 2001). I suoi versi sono stati tradotti in diverse lingue.

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