Questo romanzo parla del servizio militare, ma potrebbe sorprendere ogni aspettativa
sull’argomento. Anche il suo carattere di romanzo di formazione è molto lontano dai
classici ottocenteschi che conosciamo e che determinano il genere. La vicenda di un
ragazzo costretto per un anno a fare le pulizie in un distaccamento militare sperduto
nelle campagne, apre subito il conflitto tra il tempo obbligato del presente e quello del
sogno frustrato di una vita piena all’insegna dell’arte, delle amicizie, dell’amore. Ma sin
dalle prime pagine tutto ciò si capovolge. L’irrilevanza degli eventi che si ripetono in
giorni estenuanti e la superficialità dei rapporti coi commilitoni, si fanno il tessuto di un
vissuto che assume via via profondità e spessore in una continua dialettica tra pensiero
lucido e emotività poetica, tra sottili percezioni sensoriali e sensibilità simbolica. Solo al
momento del congedo il protagonista afferrerà il vero significato della vicenda, quando il
sogno di una vita futura svanisce e si pone in primo piano la concretezza dei rapporti
con le cose, la solidarietà umana per un destino comune.
La ricchezza con cui Nicola Vitale intreccia in modo avvincente i diversi livelli del
racconto, arriva ad abbracciare diverse forme della tradizione narrativa, glissando
costantemente dall’una all’altra per fare emergere una nuova vitalità, in quella che
potremmo definire senza esitazione: una fenomenologia della coscienza. Un fluido
raccontare che tiene l’attenzione del lettore fino in fondo.
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Una nota di poetica di Nicola Vitale
Il dodicesimo mese ha tutte le caratteristiche del romanzo di formazione, e un’apparente struttura classica, ma nasconde corde espressive più complesse.
E’ il servizio militare a fare da sfondo, con tutte le implicazioni umane, quando i giovani dovevano lasciare le consuetudini, sospendere i progetti, per immettersi in un sistema alieno di ordinamenti rigidi. Il romanzo si sviluppa da questa alienazione, da questa assenza di senso, punto di partenza psicologico dell’io narrante.
Lo stimolo espressivo, una volta allontanati dalla fiducia nel “raccontare” ciò che appare subito quale tempo morto, totale insignificanza, si pone sulla possibilità del linguaggio e della vicenda di aprirsi a una differenza. Ciò accade principalmente nella polivalenza dei piani espressivi, che progressivamente assumeranno sempre più spunti per rivelare una ricchezza del tessuto narrativo.
“Unità nella varietà” è stata in varie epoche la definizione dell’essenza estetica dell’arte. Il dodicesimo mese è costruito nell’estenuazione di quella polivalenza e unità.
Se l’aspetto più evidente della narrazione, ricca di descrizioni, richiama il romanzo picaresco o d’avventure, il costante approfondimento analitico degli stati d’animo porta il racconto alla temperatura del romanzo psicologico. Ma spesso da qui si apre verso digressioni poetiche, metafore dense di richiami immaginari e fiabeschi, che trascendono anche il piano psicologico verso l’orizzonte universale del mito. Altro piano espressivo è costituito dalle descrizioni atmosferiche e stagionali, in una sorta di cornice che scandisce il ritmo naturale della vicenda, assumendo un carattere simbolico legato alle trasformazioni del divenire. Quindi un piano filosofico di impronta saggistica, cogliendo lo spunto da certi nodi del racconto, apre parentesi riflessive; così come approfondimenti tecnici hanno la funzione di dare consistenza realistica alle vicende lavorative della narrazione, fino a sviscerare problematiche specifiche, o questioni di estetica applicata ad alcuni momenti della vicenda che si apre a una particolare percezione.
A questi livelli espressivi si aggiunge la scolpitura drammatica dei personaggi, che interagendo nelle situazioni si caratterizzano sempre più in profondità; dando vita contemporaneamente alla costruzione narrativa dei luoghi, in particolare quelli del reparto, teatro della vicenda, che grazie a continui richiami coerenti acquisterà una sempre maggiore visibilità e spessore, in una sorta di intimità che lo costituirà come microcosmo e luogo interiore.
I piani continuano a intersecarsi in combinazioni sempre diverse: da abbinamenti semplici fino alla grande complessità dove tutti i piani interagiscono, come ad esempio nel XIV capitolo dove il semplice intervento di pulizia in un laboratorio porta alla scoperta di cartine meteorologiche che evidenziano una perturbazione, descritta sia sul piano scientifico sia, per finalità propedeutiche inerenti allo svolgersi del racconto, in una metafora leggendaria (l’esercito medievale); descrizioni subito confrontate con l’esperienza diretta del cielo nuvoloso, per cui si schiude una nuova percezione che arricchisce sia la visione comune, sia quella scientifica. Ma il conflitto descritto tra conformazioni nuvolose avanza nel racconto come accompagnamento psicologico e metaforico degli accadimenti, per infine sfociare su un piano simbolico di conflitto interiore universalmente umano.
Dunque se da una parte abbiamo la massima compattezza della vicenda in una trama meticolosamente intrecciata quasi da romanzo ottocentesco, dall’altra al contrario vi è la massima labilità del registro espressivo, per cui non è più possibile riconoscere semplicemente un romanzo picaresco, di avventure o psicologico, piuttosto che una narrazione poetica o riflessiva. Lo stimolo espressivo non è più, come dicevamo, nella mera narrazione in cui non accade nulla di rilevante, ma nel preparare i momenti narrativi a quel passaggio di piano come scarto ontologico. Tuttavia, grazie all’uniformità del racconto, percepito senza soluzione di continuità, dando anche al lettore più semplice il conforto di un coerente sviluppo lineare.
E’ il tentativo di far crescere progressivamente il racconto fattuale, in una sempre maggiore intensità e ricchezza che trasfiguri gli eventi e i personaggi, rivalutando temi logori, valori narrativi desueti o stereotipati, che tornino a vitalizzarsi in una nuova polivalenza.
Anche la scrittura è condizionata da questa duplice necessità, da una parte cercando di aderire al ritmo narrativo con una musicalità piena che possa dare intensità e senso, dall’altra in un glissato ininterrotto, passando da toni asciutti, quasi nel rigore di una lingua tecnica o burocratica, a slanci lirici. Non dunque la ricerca forzata di uno “stile”, quanto la propensione a una limpidezza ed esemplarità della lingua, che aderendo ai diversi piani espressivi assume variegate caratteristiche connotative.
Il passare da un piano monologico di una comune narratività a una polivalenza che trascende ogni punto di vista ed espressività parziale, si pone come percorso di conoscenza dove il senso si sposta dal valore e dal significato degli eventi, a un’apertura simbolica più ampia in cui la vita stessa si pone in primo piano nella sua realtà ineffabile. Il carattere formativo del romanzo si colloca dunque piuttosto su un piano di potenziale “trasformazione”, vuole educare a quel passaggio di piano ontologico, in cui vere esperienze interiori emergono dal rapporto costante con la “differenza” e il mistero.
Nicola Vitale
Il dodicesimo mese
(romanzo)
Moretti e Vitali 2016
INCIPIT
I
Che per la mensa ufficiali del quartier generale non fossi la cosa migliore capitata in quegli ultimi tempi era certo; in quei giorni venne deciso il mio trasferimento. Giorni già travagliati da capovolgimenti improvvisi che avevano turbato il senso di quiete, l’illusione di ordine che l’abitudine della vita quotidiana dava all’oscuro funzionamento della vita militare, nei meandri delle gerarchie, nelle relazioni incostanti che ne erano la linfa nascosta in cui occorreva procedere con circospezione riconoscendone i pericoli e le occasioni propizie.
Il nuovo comandante della Prima Regione Aerea sarebbe giunto l’indomani tra i palazzi della sede centrale e, in un pulviscolo di premure alzato dalla delegazione addetta agli onori, avrebbe compiuto quella visita per cui da giorni il personale in forza, dagli alti ufficiali ai sottufficiali di servizio ai reparti, fino alle reclute sepolte nelle cucine e nei magazzini, si agitava rincorrendo le ultime ore già quasi trascorse nella frenetica costruzione di un’immagine splendente di efficienza e di forza.
Smorzate le note della tromba, dopo il saluto alla bandiera, ci furono fatti indossare gli scarponi e le tute da lavoro che a ogni gesto lasciavano intravedere dalle fenditure in corrispondenza delle tasche, la tela bianca e cartacea delle mutande, l’unico indumento che il caldo delle cucine in agosto ci consentiva di tenere a contatto dei corpi ancora abbronzati nelle lunghe giornate passate sotto il sole del sud, nelle caserme vicino al mare, dove si era appena concluso il nostro periodo di addestramento.
Riuniti nella parte più ampia della cucina, dove i grandi fuochi formavano geometrie concentriche, ci furono date le consegne per il giorno. Davanti a noi, sul tavolo di marmo che troneggiava al centro del locale, simile a un ammasso montuoso stava un mucchio di riso bollito di cui avremmo dovuto fare arancini che l’indomani, nel pomeriggio, avrebbero guarnito le tavolate del banchetto allestito per le famiglie degli ufficiali al Club dell’Aeronautica.
Il lavoro era semplice: chi comprimeva il riso in piccole palle, chi dopo averle intinte nell’uovo le ripassava in casseruole colme di pane grattato, chi le cospargeva di formaggio; altri infine ponevano il tutto su larghe teglie che più tardi i cuochi avrebbero infornato. Saremmo stati liberi appena finito il lavoro; dunque, senza perdere tempo ci mettemmo all’opera in silenzio, concentrati sui gesti che ognuno di noi cercava di sveltire, quasi a scioglierli in un ritmo fluido dove far scorrere quella massa candida, di cui ci appariva ora la vetta come meta indistinta. […]
Nicola Vitale, (Milano, 1956) è poeta, pittore e saggista. Dal 1987 espone i suoi dipinti in mostre personali e collettive in gallerie private e in spazi pubblici, in Italia e all’estero. Presente alla 54° edizione della Biennale di Venezia (Padiglione Italia). E’ presente nell’antologia Poeti italiani del secondo Novecento, a cura di M. Cucchi e S. Giovanardi, (Mondadori, 2004). Le sue poesie sono tradotte in albanese e in spagnolo. Ha pubblicato i volumi di Poesia: La città interna, in Primo quaderno Italiano, Poesia contemporanea (Guerini e Associati, Milano, 1991); Progresso nelle nostre voci (“Lo Specchio”, Mondadori, Segrate, 1998); La forma innocente (“La Collana”, Stampa, Varese, 2001); Condominio delle sorprese (“Lo Specchio”, Mondadori,
Segrate, 2008) Premio Reghium Julii 2009, Premio Laurentum 2009. Saggistica: Figura Solare – Un rinnovamento radicale dell’arte, Inizio di un’epoca dell’essere (Saggi d’arte, Marietti 1820, Genova-Milano, 2011), pref. M. Mazzocut-Miss; Arte come rimedio – L’armonizzazione delle facoltà umane nei principi espressivi, (Moretti e Vitali, Bergamo, 2013); La “solarità” nella pittura da Hopper alle nuove generazioni. (Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2016), pref. Elio Franzini.