Dalla Prefazione di Elio Grasso
[…] la poesia di Per distratta sottrazione addita la realtà della carne che va nel vuoto, con tutta la fine del ’900 messa lì come fosse semplice addentrarsi in questa investitura. Non lo è, l’autrice lo sa, e […] non ci pensa due volte a decretare, ben dentro la struttura del verso, un’epica fin viscerale, domestica e altresì pubblica, un’epica che non si conforma alla fine degli scrittori, quelli che mettevano in chiaro ostilità verso i poteri biblici o riscaldati come brodo politico. Fenoglio, Vittorini qui non sono francobolli commemorativi ma incagliamenti che mirano a far fuori lo sporco corrente. […] Scrive, e non lo istruisce, che la luce, lux, sta sopra la terra, e gli esseri soprastanti muoiono. Come in un libro di lettura diventa facile capire in che modo lux serva a mostrare l’evento-morte. Nasce qui una prospettiva del verso che non è cupezza, né tattica il cui scopo sia far finta di nulla, anzi si avverte un piazzamento stabile contro la famosa nebbia “iniqua”, stabile nei territori abitati dalla poetessa.
[…] Resta il fatto che nel libro le specie animali e vegetali sulla terra la fanno da padrone, non vengono rievocate, saltellano propriamente sopra e sotto le pagine. Il senso del vero ha dalla sua parte fame e suoni, perfino fatiche e botte, tutto legato alla luce in tempo di assalti e stagnazioni, appena sotto la nebbia, tanto per salvare in qualche balenio la sorte della novità.
[…] Leggendo la poesia centrale di questo libro, “All’imbrunire s’alzano torpide…”, non per posizione ma per concrezione poetica, ci si ritrova in piena confidenza con una gnomica del territorio (potendo dire): qui c’è una possibilità: il passeggio di Montale con Fenoglio, non una visione concessa da eventuali droghe e affini, ma per un effettivo dettato poetico, là dove il pedale è premuto per tutto lo sviluppo del testo. Odio e furore dentro la terra, di tutti gli esseri viventi, placati soltanto dal giungere della condensa, che tutto raggruma in un’onda serena di bruma. E’ lì dentro che la voce umana si incrocia e confonde con ogni tipo (e scopo) di vita, soprattutto vegetale. […] Appare corretto e stabilizzante che Per distratta sottrazione si chiuda con una domanda: “… ora che ogni voce tace, / quale rifugio darò alle mie parole?” La risposta, a seguito del discorso, sarà.
Le condense della terra rivoltata
*
All’imbrunire s’alzano torpide
le condense della terra rivoltata,
frammenti fragranti – capriole
aeree di povere avvezioni.
Dalla bruma bassa si affacciano
elianti tuberosi con corolle villane –
cicogne zafferano su steli esagerati.
Sotterraneo il topinambur
ha infestato d’estate, inestinguibile
tra i rovi del bordo strada.
Così la mia voce come l’elianto,
gira e soffre, dentro mi guasta
senza placarsi – si riversa
in nuovi campi e molesta.
Sorrido barocca fuori
dalla foschia, schiacciando
tutto sotto suolo, ondeggio
spagnoleschi capelli zafferano.
*
Il disordine composto della piana
nel mese mercedonio, i campi gonfi
d’acqua – un giurassico in ritardo –
la perfezione vibrante del vapore.
Nutrie indaffarate si levano sedute –
riflessi, acquitrini, ombre rapide
nei campi – lungo i fossi e nelle ripe
in vista i denti arancio, a contemplare
il mio profilo mentre guido.
Se volessi offrirti ancora l’infinito
io mi aprirei qui.
*
Il vuoto orripilante tra due frinire d’elitre
immerge la collina nell’ombra di un rumore
che per un solo istante sembra innaturale –
un battito di glockenspiel poi agosto muore.
*
In questa estate di sere ruderali
andiamo tu e io, che prima ristavamo
come muschio al nord delle cascine –
l’acre e il marcio nel sospiro. Diciamo
della vita destituita, e la trifola
e la fine percussione della m’bira.
Sulle anime s’allungano ricordanze
anche nel mezzo di un giugno che respira.
“Non è per niente questo che volevo dire.”
*
Il camposanto sul poggio
è una struttura spingente –
mille anime, una corte
di contrafforti. Misero Ganden
dove nessuno gira lento
i rulli destrorsi e i cori soli
seguono le ali dei corvi
sui posatoi più alti.
*
Occorrono il mulinello il trapano e la canna,
poi una seggiolina,
il silenzio scricchiolante, ghiaccio
che si fora, trucioli di neve –
l’occhio ai guizzi di dicembre.
Pescherò la bottatrice all’alba
carezzandole sul mento i barbigli raggelati
e a sera un lavarello – li adagerò per terra
spiando le ali dei corvi a roteare
e dalla festa nevicheranno i rami.
FOSCA MASSUCCO (1972, Cuneo) fisico acustico, sviluppa progetti di musica jazz e poesia in un personale studio di registrazione su una collina del Monferrato insieme al marito, il compositore Enrico Fazio.
Come poetessa ha pubblicato “L’OCCHIO E IL MIRINO” (Ed. L’Arcolaio, 2013), prefato da Dante Maffìa.
“PER DISTRATTA SOTTRAZIONE” (Ed. Raffaelli, 2015), con introduzione di Elio Grasso, è la sua seconda raccolta di poesie, finalista al Premio Internazionale “Gradiva” | New York State University (2015).
Collabora con la Rivista di Poesia STEVE diretta da Carlo Alberto Sitta per le Edizioni del Laboratorio di Poesia di Modena.
È stata tradotta in rumeno dalla poetessa Eliza Macadan.
Una sezione del primo libro è stata sonorizzata dai musicisti E. Fazio e G. Malfatto e presentata alla Rassegna “Precipitati e Composti” di Rovigo (2013); una sezione del secondo libro è stata sonorizzata per il Festival del Pensiero di Alessandria (2015). Una parte del secondo libro è stata musicata e inserita nel disco MOODS [CMC,2015] di C. Lodati e E. Fazio.