Figlio della generazione cresciuta intorno a “Tam Tam”, diretto discendente di Adriano Spatola e Giulia Niccolai, di Franco Beltrametti, di Corrado Costa, e di Emilio Villa, Elio Grasso ha fatto proprio, di quella scuola di poesia, soprattutto il principio del “fare”, sospeso senza mediazioni tra il gioco e la regola. Nel corso degli anni la produzione poetica di Elio Grasso, parca ma continuativa, si è sempre più assestata su una voce avulsa da quelle mai archiviate origini, una voce sensibile alle tradizioni, ma sempre capace, pur nella sua generosa e costante attenzione per la poesia contemporanea e non (si pensi alla sua collezione di poesia “sagittario”, o all’accanita attività di recensore, soprattutto, negli ultimi anni, per la rivista “PULP”), di emergere in autonomia, con la potenza di un dettato di percezione assoluta.
In perfetta linea di continuità con, E giorno si ostina, il libro di poco precedente, questa nuova raccolta, di Elio Grasso (si potrebbe quasi dire il “romanzo” che succede alla “novella”) riprende ed espande l’esplorazione di un’intimità scabrosa eppure insufficiente, di una contiguità che si spezza nelle pieghe meno esposte tra la carne e la parola, e scivola giù, lungo «il piano inclinato del tempo», fino a diventare quasi racconto. Elio afferra il ricordo e lo colloca in un paesaggio che subito diventa corpo, ne ripercorre i limiti formali, ispeziona linee di logicità appena intraviste, per poi tornare a quell’«altrove dove il sangue sibila dolce».
La tensione tra un arroccamento nella coerenza originale e quel «venir via dalle cose» di cui scriveva Corrado Costa sul numero 3/4 di “Tam Tam”, stabilisce, in questa silloge, un percorso capace di interrogare e sovvertire il senso di una vita. Poesia dopo poesia, sezione dopo sezione, nel gioco dei continui rimandi, le unghie prendono forma e diventano per un attimo figure, le ringhiere diventano case, le foglie alberi secolari o giardini e poi il mare, sempre il mare; una dinamica che restituisce ogni volta, non tanto alle singole parole, quanto al movimento che tra loro si instaura, un vincolo con la realtà.
Il tempo e la vita, si torcono in questi versi, presi in una morsa di doloroso quanto ineluttabile avanzamento. Sostenuti da un ritmo narrativo che non concede nulla a una trama, ma incalza. Tempo e vita, qui, sono vettori che non corrono mai paralleli ma s’intersecano, si frammentano, si ripercuotono sui versi richiamandosi, da una poesia all’altra, come l’eco che ripete senza completare, come l’ombra che ha poco a che fare con l’uomo.
Una scrittura «lineare di tipo modulare» quella di Elio Grasso – ha osservato Carlo Alberto Sitta citando Spatola nell’introduzione a E giorno si ostina – una scrittura spinta in avanti dalla dinamica spatoliana tra astratto e concreto.
La narrazione lirica di Elio Grasso in queste pagine non dà conto di un succedersi di avvenimenti eppure, (come scrive lo stesso Elio nell’introduzione ai sonetti d’amore di Shakespeare che ha curato per Barbès) nel succedersi di «stati poetici», secondo il tempo «mai diritto» della vita, si sviluppa – non su una linea di nostalgia o di rimpianto ma di contenuto, distaccato strazio – un racconto lirico di grande solidità.
ESTRATTI DA: VARCO DI RESPIRO, Campanotto, 2013
da La virtù animale
Settembre oggi della gran notte
illumina quel viso corrucciato
pieno di poesie seguite raschiate
settembre oggi della gran notte
stonata prende la vetta solitaria
e arsa negli scoppi delle bombe
come lampi su piante e colline
come fuochi d’ultime stelle
come splendide donne lasciate
al mese oggi della gran notte
venduto a quelle furie radenti
il muro della prima esecuzione.
**
Salgono fumi dagli uomini ubriachi
con tutta la voglia sotto la lingua
per le dorate bocche piene stupite
senza mai sollevarsi da quel letto
salgono i fumi dai soldati danzanti
con i bicchieri guidati e rispettosi
di tutte le donne perse a ogni voce
ora pronte al nuoto e prese di nuca
salgono perché non sanno decidere
la parte d’uomini simili ai giganti
la donna non conta l’uomo racconta
con l’azione di acque sprofondanti.
da La casa rottamata degli dèi
Trasalire è parte del gregge
isolato parte della sola strada
stravolta dopo il letto sfatto
colpire fremente del fucile
lucido avvolto dal bel sangue.
Volare sul dorso del cavallo
cavalcare per l’Europa come
i padri avvolti nel solo corpo
volare sul dorso delle giovani
fino alla casa rottamata degli
dèi.
**
La storia delle tempeste
chiude quel corpo splendente
senza prezzo senza cose
perdute considerando la nera
sua strada nostra conosciuta
delizia sulle cose sognanti
la storia delle tempeste
stanca il ricordo chiude
i cassetti di tutte le madri
trasognate le bianche signore
del coro latino etrusco sopra
tutto il corpo antico dei letti.
da Un dolce imbarazzo
Un dolce imbarazzo l’impegno
la sapienza al ritorno delle donne
dentro le stanze dentro le nude
pietre a difesa delle acque dei dolci
musicali quasi pagine di poesia
dovuta alla pioggia rossa dei più
sciocchi dei costretti ai fianchi bruni
delle madri coltivate come radici
acerbe dure fortezze forti durezze.
**
Un dolce imbarazzo l’impegno
della misteriosa solitaria specie
misura delle prossime macchine
sotto il bisogno del cielo stellato
agli uomini storditi ai figli rimasti
nel crogiolo dei paesi prima dei
veggenti dei lettori del passato
così sarà lo scorrere delle piante
a riprendere il respiro dal buio.
da Una seria minaccia
L’amore sta dentro gli antenati
qualcosa che sa di tempesta
ma una quiete remota viaggia
nei grassi profumi delle rampe
di lancio qualcuno è scontento
il fuoco manca su questi pontili
mancano gli uomini sorpresi
della loro sepoltura nelle capsule
gli orologi frugano sul fondo
delle gambe scoperte ma sono
le donne più scure a raccogliere
il lenzuolo intriso il nudo corpo
dell’idiota appeso chi oserebbe
passare il valico soffiare i fumi
delle rampe ma resti nei serbatoi
sono l’amore che sconfina quel
privilegio delle sane uguaglianze
a voltarsi a chinarsi a strappare
al ventre dita annodate al vanto
dell’ultimo rampollo mortale.
da Dicembre per mai venire
Mai più dicembre delle rose maschio
sopra quello specchio di leggi ferite
che nutrono al solstizio come per cenere
ultima legittima disanima delle carni
lasciate alla brama durante notti più scure
di quel sangue già denunciato alla stagione
prima di tutte le sante domeniche estive
dovendo il suo corpo essere goduto da
chi sa tenere senza tenere alla prigione.
da Rasura il tempo
La natura del nodo sonnolento
poesia compenso annuale
scomponendo i mesi dentro il piacere
digerendo i resti amorosi
ed eterni mai squillanti di cani
o donne parziali avviate ai letti notturni
questo è il sogno della digestione
spiegato al vile pelo dell’ombra
e l’insistente odio per la verità
ma quanto tempo slabbrato arriva
al riporto curato del corpo impuro.
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Poesia che apre la lingua nel solco
fecondante e lo sforzo potente
dell’uovo si annida nell’analisi del rettile
il parassita sotto una paglia da contadini
marci nel senso dei secchi listelli
legni già stati divelti ma come funziona
la legge di una bocca che solleva
materia nelle fessure spaccate
il grido del suo ultimo orgasmo
al servizio dei conti snaturando
tutta la costruzione del vero nella fine.
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Elio Grasso è nato a Genova nel 1951. Fra i suoi libri: Avvicinamenti (Ripostes, Roma-Salerno 1983), L’angelo delle distanze (Edizioni del laboratorio, Modena 1990), Nel soffio della terra (Guardamagna, Varzi 1993), La prima cenere/Conservatori del mare (Edizioni del laboratorio, Modena 1994), La soglia a te nota (Book, Castel Maggiore 1997), L’acqua del tempo (Caramanica, Marina di Minturno 2001), Tre capitoli di fedeltà (Campanotto, Pasian di Prato 2004), E giorno si ostina (puntoacapo editrice, Novi Ligure 2012), Varco di respiro (Campanotto, Pasian di Prato 2014), Il cibo dei venti (Effigie, Pavia 2015). Ha tradotto T.S. Eliot, W. Shakespeare, E. Carnevali, e curato un’antologia dallo Zibaldone di pensieri di G. Leopardi.