Un respiro ampio in profondità ed estensione anima questa raccolta poetica di Federica Giordano. Si può, anzi, parlare di una pluralità di respiri diversamente modulati, i quali producono interferenze e rivelano nessi, diventando sonde per scandagliare l’universo emotivo e conoscitivo dell’autrice, e fanno di questo lavoro un’opera articolata e complessa che sa guardare lontano nello spazio e nel tempo, mantenendo tuttavia una profonda unità.
I testi nascono da abissi puntuali che hanno lasciato il segno, da legami forti che persistono anche nell’assenza, e da irripetibili gioie dell’infanzia: questi insiemi di esperienze, intensamente e consapevolmente vissute e accennate sempre con delicatezza, non si rinchiudono in un recinto minimalistico, non si limitano ad una comunicazione intimistica del quotidiano e dell’interiorità, ma si proiettano verso ampi spazi, grandi aspirazioni e grandi interrogativi, come in un potente rito di passaggio.
Federica Giordano è persona di cultura solida e indirizzata in molteplici direzioni, imperniata in maniera significativa nella letteratura, in particolar modo quella tedesca moderna e contemporanea: si è laureata in germanistica con una tesi sull’opera del tedesco Durs Grünbein (anche lui poeta che trae ispirazione da una molteplicità di stimoli eterogenei) ed è raffinata traduttrice di testi poetici dal tedesco. A questo nucleo forte si aggiunge in lei la passione per il mondo classico, per le arti figurative, per la musica, il cinema: una sorta di stupore onnivoro, una continua ricerca del bello e una tensione verso una sintesi superiore, che la portano a scandagliare ed estrarre elementi eterogenei i quali vengono immagazzinati in un complesso e fertile laboratorio interiore.
I punti di partenza del suo percorso creativo sono momenti spogli nella loro essenzialità, momenti di vuoto e di silenzio ma anche spazi noti di amore e di conforto; e da questi punti-leva l’esplorazione si dirama e si espande verso una pluralità di rapporti umani e luoghi impervi ed eterogenei. Il rapporto umano, se nutrito di intensità, è spazio in cui ci si ripulisce, e d’altra parte l’esplorazione di luoghi è filtro della coscienza, in quanto essi sono strumenti per comprendere la realtà umana; questa trama fitta e complessa si cala in un viaggio che va affrontato con fiducia ma anche con rigore e con attrezzi a difesa della propria integrità.
La poetessa asseconda la corrente della storia culturale e del destino, guardandosi intorno alla ricerca di attracchi e di punti di sutura per ricostruire una realtà che è originaria e ancestrale, ma che va in ogni istante riscoperta e disvelata. Un percorso teso ed estremamente dinamico, che mette in gioco una spinta interiore assoluta e una forte responsabilità individuale (“Ricordate voi il valore estremo della scelta”). L’universo fisico e culturale va a depositarsi nell’ “occhio bianco” dell’io poetico, che non è affatto un occhio cieco, ma, con felice capovolgimento, un occhio “in pace”, pronto ad accogliere , pronto ad amalgamare le immagini entranti con il ricco movimento interiore dell’autrice che non subisce né prevarica, ma procede ad assimilazione problematica. E la fiducia è spinta costruttiva da ridefinire e riconquistare ad ogni istante.
La raccolta si muove dunque lungo un interrogarsi continuo su questa tensione profonda, mette in campo la battaglia tra la gioia in agguato e il sempre incombente dolore individuale e collettivo, l’inevitabile della malattia e l’evitabile della volgarità e delle brutture.
Ecco quindi apparire il tema portante della raccolta: quell’Utopia che opportunamente compare del titolo, e vi appare come “fuggiasca” in quanto ardua da afferrare, ma anche in quanto dotata di energia e dinamismo, che la portano ad assumere sempre nuove forme, che spostano continuamente più in là il fronte della sfida e ne mutano di continuo il profilo all’orizzonte. In un quadro che è di scommessa e di azzardo “perché avremo in dono una fame che vola”.
Un’utopia che viene vista in una posizione di equilibrio da calibrare con cura, che affinchè abbia sbocchi positivi concreti ha bisogno di radicamenti (anche culturali), che affinchè si levi in alto deve ancorarsi saldamente a polarità terrene. Un’alchimia rischiosa di interazione astratto-concreto, una ricerca di armonia architetturale: l’altezza può essere raggiunta solo su una base solida, le incursioni in regioni elevate deve avere contrappesi che assicurino la corretta statica dell’insieme e l’afflusso di linfa ai rami; un’idea di fondo che trova espressione in forma di immagine nell’appropriato disegno di copertina di Varini.
E al tema dell’utopia è strettamente correlato quello dell’aspirazione alla bellezza. Davanti agli occhi del lettore sfila l’antico che si rianima ed il contemporaneo visto da una distanza atta a potenziarlo: immagini classiche, reperti pompeiani, statue greche, bellezze dal Bosforo, icone egizie, inquietudini e risorgenze tedesche. La terra d’origine non viene dimenticata, ma non viene costretta in un quadro particolaristico e provinciale, è anch’essa filtrata dalle eredità storiche, attraverso respiri secolari che la pongono in comunicazione con culture diverse e le consentono di fornire il proprio contributo al grande quadro del desiderio.
Dal punto di vista formale l’insieme dei testi appare caratterizzato da un ben calibrato equilibrio complessivo: è poesia restia ad abbellimenti superflui, si muove sul filo di una tagliente essenzialità per una esigenza etica di responsabilità della parola poetica e di ascolto del respiro profondo e ciclico della vita; vi prevale calma e lucentezza, la concretezza e la nettezza delle immagini, e gli elementi ritmico-sonori costituiscono parte non secondaria nella costruzione dell’armonia del tutto così come lo sono l’armonia compositiva delle immagini e il senso della combinazione in uno spazio-volume.
La Giordano conosce il peso della parola e del silenzio, la necessità preziosa di entrambe, in questo le è maestro Celan, la cui “Grata di parole” (dove uno dei testi inizia proprio da un “occhio tondo”) segna un confine e un impedimento al passaggio fisico, ma nello stesso tempo è l’elemento che permette il contatto con il mondo esterno. Lo strumento della traversata è quindi la potenza della lingua-griglia che diventa luminosa.
Il passo celaniano diventa più stringente nell’ultima parte “Utopie”, dove si avverte più forte la necessità stilistica di asciuttezza del dire e si vive la spinta ad incursioni verso regioni di maggiore astrazione. Ma qui, a differenza di Celan, non ci si scontra con il muro dell’impossibilità del dire, viceversa l’essenzialità mira ad esprimere il reale in forme più geometrizzate, accogliendo peraltro, in maniera sorprendente, gli addolcimenti (intensi ma controllatissimi) delle poesie ispirate al tema della maternità.
La misura metrica è variabile e vanta una duttilità in grado di adeguarsi a esigenze espressive diverse: si va da testi dal verso breve, spezzato e tagliente (con frequenti creazioni di parole composte, alla tedesca), una sorta di singhiozzo a stento addomesticato (anche qui echi di Celan), fino, all’estremo opposto, all’inclusione di versi lunghissimi, nei quali l’urgenza del narrare sembra una rincorsa verso un traguardo decisivo, talmente forte dal non potersi consentire, o da voler rimandare il più possibile, la pausa di un “a capo”. Ma essendo tali versi ariosi dotati di una musica interna, nascondendo essi sottoinsiemi ritmici, il dettato complessivo non rischia di apparire come prosa. Il tutto viene amalgamato con estrema eleganza e cura del dettaglio fonico, e qui tornano in campo, come prezioso bagaglio, l’amore per i classici e l’amore per la musica.
Il lettore termina la raccolta con la sensazione di aver compiuto un proprio viaggio iniziatico, di aver tratto una sfida a “costruire sulla carogna del caso”, ma soprattutto di avere acquisito strumenti da utilizzare poi, a libro chiuso, perché la buona poesia ha lo scopo di portare alla luce il substrato comune a ciascuno di noi.
ESTRATTI
Da Utopia fuggiasca , (Marco Saya Edizioni, 2016)
Luoghi bianchi
Pochi i luoghi dove non nidifica il ribrezzo:
gli occhi del cavallo – ossi di nespola
il pianoforte e la scordatura avorio,
il sorriso alla sconosciuta.
Il volo del nibbio sulle case,
la giornata lenta di Morano.
Pancia-Pancia
Il suo braccio azzurro come il sorso della capra.
Il suo verso che suona di ventre,
pancia-pancia, mi scavava.
Era il bacio primo
che mi bagnava di altezze
e di futuri.
Era la maschera
bianca che si lascia.
Il bozzolo del baco.
Nefertiti
Restare davanti ad un busto
dove il tempo è vigilia.
Dorme la bocca egizia.
Alta e dorata,
la sua sola musica.
La pace dell’occhio bianco.
Equilibri
E si resta antichi nella migrazione, la caparbia linea orizzontale.
Solo nell’essere colonna
non si teme il fardello della struttura.
La Lucciola
La lucciola gonfia il ventre e inventa il respiro.
Mentre se ne dimentica,
qualcosa esiste già in un punto vertiginoso del suo bacio
e l´uomo attorno cede all´istinto bello e antico.
Un attimo. Poi si ritorna dove si era.
La luce invece precipita in una cellula minuscola e buia
e si nasconde per lungo tempo,
in modo che la sua vittoria
abbia il tempo di esser compresa.
“l´utopia non fa se non rendere concreto e plastico l´anelito
antichissimo e diffuso a una vita migliore”
Alberto Savinio
L’utopia
Sotto le ali delle aquile
si nasconde fuggiasca l´utopia.
Lei sorvola e non si sporca.
Eppure é rapace,
sa uccidere e badare alle sue uova.
Scoprire la tabula rasa più vasta
che il ghiaccio abbia creato
e costruire case, costruire destini,
costruire sulla carogna del caso.
Federica Giordano si laurea in Lingue e culture moderne con una tesi in traduzione letteraria dal tedesco dal titolo “Traduzione e traducibilità della poesia- Porcellana di Durs Grünbein”. Nel 2008 pubblica la raccolta poetica “Nomadismi”. Nel 2011 pubblica “La parte che ti ho affidato”. Nel 2014 cura la sottotitolazione dei film “Cycling the frame” e “The invisible frame” di Cynthia Baett per il programma culturale del Goethe-Institut di Napoli. Sono state pubblicate sue poesie su riviste specialistiche tra le quali Gradiva, La clessidra, Poesia e siti letterari. Si occupa di critica letteraria per varie riviste tra cui Officina Poesia – Nuovi Argomenti e Poesia di Crocetti.