“perché attraverso le sue immagini condensate e traslucide, ci ha dato nuovo accesso alla realtà“.
L’ultimo poeta a ricevere il premio Nobel per la letteratura, nel 2011, dopo la Szymborska, fu lo svedese Tomas Tranströmer, tradotto in 70 lingue, universalmente acclamato come uno dei più importante poeti svedesi, scandinavi ed europei del dopo guerra. Una produzione non immensa la sua, anzi, e non sempre immediata, ma sempre pronta a sorprendere nel suo naturalismo puro e nella sua mediazione con il divino. La sua lingua è originale, intessuta dai lunghi inverni svedesi, dal ritmo incalzante delle stagioni che cambiano e dalla bellezza pura e incontaminata della natura nordica. Utilizzando queste risorse è riuscito a descrivere il piano visibile e quello invisibile.
Tomas Tranströmer (1931-2015) è considerato uno dei maggiori poeti svedesi della sua generazione anche se tutto il suo corpo poetico può essere contenuto in un unico volume di qualche centinaio di pagine. È stato insignito nel 1990 del Nordic Council Literature Prize, nel 1991 ha ricevuto lo Swedish Academy Nordic Prize, nel 2007 il Griffin Lifetime Recognition Award (Canada) e nel 2011 gli è stato conferito il premio Nobel per la letteratura.
Il suo primo libro, 17 Dikter, traducibile con 17 poesie, fu pubblicato nel 1955 quando aveva solo 23 anni ed era ancora un dottorando, sorprese piacevolmente la società delle lettere svedese. Nonostante il suo rapido e felice esordio ha poi centellinato, o per meglio dire, preservato, la sua opera da una sovraesposizione, selezionando, setacciando la parola in una sua personalissima corsa all’oro del verso svedese, mantenendo sempre uno stile semplice ma mai semplicistico, accoppiandolo ad una lingua davvero personalissima. Tranströmer si è soffermato sulla dualità del mondo, interiore ed esteriore, racchiudendo il suo percorso poetico in un viaggio lunghissimo fatto di piccoli momenti lesti ad aprirsi sulla magia della percezione. Ecco, se dovessimo descrivere tutta la sua opera con una sola parola, useremmo senza ombra di dubbio alcuno il termine percezione, perché la visione poetica di Tranströmer possiede un profondo senso della percezione, una saggezza unica e una comprensione davvero inarrivabile delle cose del mondo. Per leggere Tranströmer, il momento migliore è la notte, accompagnati dal silenzio e dalla solitudine. Solo in questa particolare condizione si può godere appieno della potenza segreta e personale del suo verso. Transtomer è uno di quei poeti che potremmo definire custodi, personale, i suoi fedeli lettori lo hanno sempre letto quasi in maniera segreta, clandestina, lontano dallo strepitio del mondo. Leggerlo, o ri-leggerlo ora, può riportare alla grande tradizione giapponese, è anche vero che in gioventù il poeta si dedico alla composizione di Haiku, ma il suo corpo poetico è davvero unico, anche se a volte sembra possedere il sapore delle parole surrealiste di Charles Simic o il gusto del verso di Gary Snyder, ma sono momenti questi, lampi paralleli di equilibrismo, subito se ne distanza e torna a livelli personali, personalissimi. Le sue parole sono, a volte, di una semplicità luminosa che si espande, fino alla verità. Nella sua opera lo spazio e le cose si deformano o trascendono, un corpo diventa un oggetto, la mente galleggia, gli oggetti prendono vita. Eppure non è un poeta religioso, non è un mistico alla William Blake, ma è lì, alla continua ricerca di un contatto con il divino. Molte sue poesie sono pervase da un senso di impotenza tipico della società contemporanea. L’uomo è messo lì, all’angolo, allontanato da una forza irresistibile e invisibile. L’opera di Tranströmer è strettamente collegata alla natura, e questo sua realtà riplasmata viene attraversa da forme e colori poetici. Il suo stile è stato spesso definito da metafore originali, da un misticismo della natura, da un’innata musicalità e da un rigore della forma.
Da Den stora gåtan (Il Grande Mistero)
È successo qualcosa. / La luna illuminava la stanza. / Dio ne era a conoscenza
Il ritmo è senza tempo indistinguibile, veloce e immobile, lento quanto immediato. La soddisfazione, il piacere, il conforto che ci arriva dalla lettura di Tranströmer è quella di avvertire, di sapere, come forse, questi versi già c’erano, esistevano prima di lui, prima di noi. Celati, nascosti, sepolti, riscoperti con un’abilità quasi magica, e nuovamente prestati alle nostre abitudini quotidiane, alla nostra cultura e al nostro linguaggio usato. Le sue poesie ci ridanno la possibilità di riscoprirci.
In una delle sue ultime apparizioni pubbliche, prima della scomparsa avvenuta nel marzo del 2015, il poeta suona il piano recitando i versi di “Allegro”. La musica ha rivestito un ruolo essenziale all’interno di tutta la sua poesia. Tomas ha iniziato a studiare piano durante la sua adolescenza, nello stesso periodo in cui ha iniziato a scrivere poesie.
Suono Haydn dopo un’intera giornata
e sento un po’ calore nelle mani
Le chiavi sono pronte. Il martello cade dolcemente.
La risonanza è vivace, verde, e piena di silenzio.
La musica dice che esiste la libertà