Dalla Prefazione di Marco Sonzogni
Ogni passaggio in questo libro lascia effettivamente la sensazione che si sia compiuto uno strappo e che altri strappi possano presto compiersi: cerchi concentrici innescati dalla pietra di un’anima sensibile, attenta e reattiva che non si accontenta della superficie delle cose. L’autrice impugna la parola e agisce con la forza e la precisione di un micidiale scalpello: rimosso il silicone della superficialità (“attenta a non concentrare/ il contenuto in superficie”) e dispersa la nebbia della banalità (“Amo tutte/ le cose brutte, che hanno sopportato,/ che hanno imparato a reggere/ l’imbarazzo del mezzo, circondate”), è possibile pensare di cercare l’essenza delle cose. A piccole dosi. A sprazzi. Anche alle cieca. Anche senza ricompense. Mettendo sotto scrutinio lo strumento stesso che documenta questa ricerca: la lingua.
Animali status
In quella casa ci sono i fenicotteri – mi dicevi.
Non ti ho creduto, ma c’erano.
Come una volta i pavoni, oltre le siepi
oltre la curva di via Piave,
dai cavalli, oltre il filo elettrificato
dei recinti. Rosa e bianchi,
rosa e rossi, agganciati
ai cancelli verdi. I fenicotteri
sono rimasti fermi, come noi
che ce li guardavamo, fermi,
assaporando la tua ragione
e il mio stupore.
Poi ce ne siamo andati
sulla scia di un’altra coppia,
invidiando i palazzi della zona.
L’amore: una volta sapevi cosa fosse.
Ai tempi dei problemi semplici e non
delle tratte complesse, tra Necci e Pavè,
i paesi del nord e gli Appennini
silenziosi sotto neve, coperti da Google Maps.
Col forno non hai mai avuto
un buon rapporto, come con gli altri
elettrodomestici del resto, paralizzata
dal pudore ispirato dalle cucine degli altri,
regolate da un ordine intimo, a te sconosciuto.
In una casa piena di Monet, Kandinskij e Chagall
il tuo corpo nudo attira l’attenzione
quasi come una corrente classica,
una stagione intera, attraversa
le ante degli specchi fino a me.
Una morte distratta
Hai sognato di essere la morte
di abitare in una torre col telefono,
con una sola scala sospesa
il freddo esalato dai mattoni.
Il carnevale si avvicinava
coperto di risate e cerone
come ogni carnevale che si rispetti,
e come a ogni carnevale
io piangevo, nel mio vestito di tulle, vestito da fata.
C’erano volute ore per quel trucco, che ora si scioglieva
lentamente, lungo il collo.
C’erano volute ore,
e una bacchetta.
Hai sognato di essere la morte
o di vivere nel suo costume
una morte silenziosa,
una morte distratta,
con gli occhi scavati di delusione
per un ingaggio perso.
Alla parata c’erano volute ore
per arrivare, e lentamente superare
la tua torre. Ma tu non eri sceso.
Non te ne sei accorto.
Così hanno proseguito, i pagliacci, le fate,
i trans e i giocolieri, voltandosi di tanto in tanto,
ma nemmeno troppo.
Il carnevale non si preoccupa, né pensa.
E di tempo, in fondo, ce n’era stato,
abituati com’erano al tempo perso,
tu avevi atteso, vestito, non avevi ascoltato.
Tre messaggi in segreteria:
avevano tanto bisogno di una morte,
ma tu non rispondevi.
Apparizioni
La madonna è sempre una bella cosa,
quando ci si presenta. Di solito accade
ai viaggiatori sui treni, agli abitanti
delle stazioni. Allevo
una piccola anomalia,
con tutta la cura
della delusione, con l’attenzione dei vinti
al dettaglio, dispersi sulle strade
parallele al centro, sui circuiti
dei fiumi. Dei letti vuoti
passata la tempesta, dei pavimenti
dopo lo sforzo
della vita, che hanno visto
i piedi e la voglia, le caviglie di tutti
gli oggetti, che ci hanno osservato al buio
di case improvvisamente più nostre.
Lucia Brandoli (Modena, 1989) è autrice del reportage narrativo Exit (Hacca, 2015; prefazione di Andrea Bajani). I suoi racconti sono apparsi su Inutile, Abbiamo le prove, Cadillac e Flash Fiction. Ha scritto per Rivista Studio, Doppiozero, minima&moralia, Prismo, Artribune, Flash Art Italia e Filmidee. Ha studiato architettura a Porto, Berlino, Ferrara e Jodhpur. Anello di prova è la sua prima raccolta di poesie. Vive soprattutto a Milano.