Il viaggio poetico di Luigia Sorrentino verso le radici dell’umanità
di Sacha Piersanti
Ha la forza degli abissi, la voce che Luigia Sorrentino, una fra le poetesse più raffinate del panorama letterario contemporaneo, intona e ricama nel suo Olimpia (Interlinea, 2013, pp.104, € 14), opera non prima ma primordiale in cui poesia e prosa convivono all’insegna della lirica. Il viaggio fisico, in Grecia, nella città che dà titolo e ambienti (nonché, antica com’è, l’aggancio stilistico di una scrittura che raggiunge l’unicità e la compattezza grazie a un calibrato eppure potente ‘frammentismo’), è il pretesto narrativo per sostanziare il viaggio mentale, non metafisico né mistico, non spirituale ma biologico, alla ricerca di quell’origine che da sempre sfianca la scienza e la poesia.
È con una lingua al tempo stesso rarefatta e materica, una lingua che guarda a Hölderlin (il cui Iperione, oltre a essere esplicitamente citato in epigrafe, ricorre in più occasioni) e forse al primo Ungaretti (a tratti sembra di sentire l’eco ritmica di certi versi de Il porto sepolto: “lambita dalla mano / il suo essere solo la domanda / è quella la porta?”), una lingua che respira vita e rifiuta quanto più può le gerarchie della maiuscola e la violenza del punto fermo, che Sorrentino scandaglia la natura e l’antichità della Grecia e dei suoi miti per consegnarci una goccia di quanto ha sentito, cioè visto, in quel continuo ritorno senza mai andata che è l’indagine poetica. Ma dovremmo forse dire ‘indagine umana’ perché ecco: Sorrentino vibra d’umanesimo, e occhi e orecchie della sua poesia sono tesi a recuperare quel filo che unisce gli esseri umani tutti, quel filo che esiste e lo si coglie non per fede in un qualche dio, ma per fiducia nell’umanità (ché ogni “divino” lo “tesse… l’umano”).
E senza pudore, col rischio d’essere presa per anacronistica e illusa (la vediamo, oggi, quella Grecia nostra madre, e ci vediamo noi umani, evoluti sanguinari) quel filo Sorrentino ce lo lega attorno ai polsi, non importa chi siamo né dove andiamo, perché (lei lo sa) “c’è una notte arcaica in ognuno di noi / una notte dalla quale veniamo” tutti. Sì, tutti.