di Luigia Sorrentino
Quando uno scrittore osserva un poeta succede che lo vede. E’ accaduto a Franco Arminio, posto sotto la lente d’ingrandimento da Roberto Saviano che sul quotidiano Repubblica ha scritto: “E’ uno dei poeti più importanti del nostro paese.”
“Cedi la strada agli alberi” è il titolo che Arminio dà alla sua nuova raccolta di versi, (Chiarelettere, 2017), sottotitolo: “Poesie d’amore e di terra“. E il titolo è un’esortazione rivolta agli uomini e alle donne di oggi, che hanno dimenticato chi sono, qual è il loro posto nel mondo, quale funzione devono svolgere nel luogo in cui si trovano, il luogo che, come scrive Martin Buber è stato loro affidato. Quando uno scrittore legge un poeta e ne scrive, accade qualcosa di straordinario, perché sembra riabilitare la funzione stessa della poesia, che da sempre, fin dai tempi più remoti, scruta la condizione umana, gli dà un senso, anche là dove qualsiasi senso sembra perduto: “Abbiamo bisogno di contadini,/ di poeti, di gente che sa fare il pane,/ che ama gli alberi e riconosce il vento” scrive Arminio in uno dei suoi testi più riuscito. Il poeta sa che prima di morire tutti hanno diritto a un attimo di bene, ma che il bene va conquistato anche a rischio di annegare.
Concedetevi una vacanza
intorno a un filo d’erba,
concedetevi al silenzio e alla luce,
alla muta lussuria di una rosa.
“L’entroterra degli occhi” è il titolo della prima sezione dalla quale è tratta questa poesia. Ma cos’è l’entroterra degli occhi? E’ un titolo che rinvia a Bonnefoy, certo, e non so se questo Roberto Saviano lo sa, ma non ha importanza. Ciò che è importante è che lo scrittore abbia guardato il poeta, abbia colto il senso e la vertigine delle sue parole, perché ha compreso che se si vuole ridare significato alla nostra esistenza, è necessario affidarsi alle parole, al dialogo e questo solo la poesia può farlo.
L’entroterra degli occhi rimanda a ciò che non guardiamo più, a ciò che non riusciamo più a vedere, presi dalla fretta del nostro vivere quotidiano, la fretta, una parola che ferisce, che ci attraversa e ci ruba il fiato. Non ci sta più a cuore la sorte di un platano, anche se il suo tronco è secolare, se le sue braccia lunghe ci hanno ristorato nell’afa, se le sue foglie ci hanno dato più ossigeno. Ciò che attraversa la scena è il morire, la fatica dentro le ore, senza saltarne nemmeno una. L’entroterra degli occhi è un paese che torna a vivere, dopo essere stato sepolto dalle sue stesse macerie, è un paese che risorge, da mani degne di questo nome, mani di uomini e donne che hanno attivato gli occhi, l’attenzione, che sentono l’abbraccio muto della speranza.
La prima volta non fu quando ci spogliammo
ma qualche giorno prima,
mentre parlavi sotto un albero.
Sentivo zone lontane dal mio corpo
che tornavano a casa.
Dalla seconda sezione del libro “La brevità dell’amore“, è tratto il componimento che abbiamo appena letto, il primo della seconda parte. L’amore qui è vissuto in una dimensione spirituale che viene dal dialogo e dall’ascolto, non dall’avvinghiarsi dei nudi corpi, dal sottomettersi al rituale del piacere. L’amore è dunque in una zona lontana dal corpo, è in uno spazio dentro il quale ci siamo sentiti a casa, in un luogo protetto al quale ci siamo affidati. Sempre l’amore crea una casa, un focolare domestico, uno spazio intimo e profondo dove tornare. E tutto questo comprendere è breve, sembra dirci il poeta, perché breve è lo spazio che ci illumina, che arricchisce la nostra consapevolezza, è un lampo, una venuta di braccia lunghe come le navate di una cattedrale.
E’ il pensiero della fine
che m’ispira.
Nella testa
ho un cecchino
che non spara,
prende solo la mira.
Siamo, con questo componimento, alla terza sezione del libro dal titolo: “Poeta con famiglia“. Qui Arminio ci porta nella sua condizione che però non è sua soltanto, appartiene a tutti – o quasi – ci porta cioè nel “delirio della famiglia”, nel disagio del padre non più padre, del padre che non può – o non vuole più – garantire il futuro a chi dovrebbe stargli a cuore. La famiglia, composta di un amore scandaloso a se stessa, un amore che è della stessa sostanza del pane,/ del respiro. Sì, la famiglia è in pericolo, e il padre lo sa, conosce il vento dell’amarezza, ma anche quello dell’indifferenza.
Il libro si chiude con una sezione che ha per titolo: “La poesia al tempo della rete“. Siamo di fronte a un’analisi breve della realtà dei social, che si perde nei frammenti delle parole e nelle immagini dei nostri falsi idoli, nell’apparenza. In una delle prose della parte finale del libro, Arminio scrive: “Abbiamo bisogno di compassione. Abbiamo bisogno di consolazione e di amore.” E’ forse questo che cerchiamo nel mondo virtuale? E’ qualcosa che ci manca terribilmente che viviamo fuori dalla realtà? E’ possibile. Nell’era di Facebook sembriamo tutti irraggiungibili e distanti, chiusi nella nostra più estrema solitudine. Qui Arminio poi, scrive una frase che mi tocca, in modo particolare. Mi ricorda una volta di più cosa significa scrivere per un poeta: “Scrivere è un martirio oppure non è niente.”
Bellissima presentazione per un bellissimo libro di Poesia
Angelo, grazie.
Spero di leggerlo al più presto, perché mi sembra di sentirlo mio… Seguo Arminio da tempo e lo apprezzo molto poiché mi sento a lui molto vicino. Bella l’analisi che ne fa Saviano. Grazie.
spero sia accettabile anche la mia!
Scusami, Luigia, avevo letto il “tuo” articolo come quello scritto da Saviano su Repubblica.. ( che non ho letto!). Perdonami. Allora: complimenti a te! Pensa che l’articolo l’ho condiviso (copia-incolla) per poi rileggerlo con calma con le poesie… Poesie che sto leggendo, e confermo il grande apprezzamento. Grazie, e un caro saluto. Giovanni
Ma è un poeta arminio? Poesie semplici e banali, banalissime. Se si va avanti così…