di Bianca Sorrentino
«Ho distolto ogni luce / sdrammatizzo la tua primavera / (…). Vedendomi scritta sui muri / varcai l’isolotto»: in questo marzo tanto luminoso da lasciar presagire stagioni nuove e senza drammi, continuano gli appuntamenti di “Credo soltanto nelle parole”, l’iniziativa che una volta al mese riempie di poesia la Libreria Zaum di Bari. Dopo i primi due eventi notevolmente partecipati, dedicati rispettivamente alle voci di Pier Paolo Pasolini e di Cristina Campo, mercoledì 15 marzo alle 18.30 sarà la volta di Amelia Rosselli e del suo inferno tessuto da mani perfette. Dal momento che la bellezza, come la Cleopatra shakespeariana, rende affamati quanto più soddisfa, il ciclo di incontri continuerà e il 12 aprile ci interrogheremo con Mario Luzi sulla verità del mondo.
Leggere a voce alta i poeti italiani del ’900 permette di assaporare la densità della parola, scoprendo di quali e quanti significati essa si carichi pur nella sua nuda vulnerabilità. E disarmati siamo anche noi, quando lasciamo che quei versi penetrino nella nostra carne, aprendo talvolta ferite profonde che sorprendentemente la poesia stessa saprà poi rimarginare, come in quei riti ancestrali che ci insegnano che solo abbracciando il proprio inferno ci si può curare. Così sfidiamo i nostri fantasmi, che chi scrive non teme di chiamare per nome; così accettiamo di attraversare visioni altrui, che potrebbero diventare un rifugio tutto nostro.
Stavolta i muri della Libreria Zaum ci faranno da specchio e con la voce rosselliana scopriremo se siamo davvero capaci di varcare il confine della nostra isola. L’approccio che scegliamo ha sempre la forma di un gioco, secondo una formula che di volta in volta si rinnova: se a gennaio abbiamo affidato a ciascuno una parola e con lo stupore dell’attenzione abbiamo ricostruito una lirica pasoliniana, a febbraio abbiamo barattato il nostro amore con le parole, ispirandoci a un verso campiano; marzo sarà il mese in cui ci vedremo scritti sui muri – gli scaffali della libreria ospiteranno infatti versi potenti e lapidari che aspettano solo di essere scelti.
Riconoscersi nella poesia oscura e visionaria di Amelia Rosselli («lenta ad aprirsi come una conchiglia»: con quest’efficacissima espressione la definisce Gabriella Sica nel meraviglioso saggio in cui la accosta alla Dickinson, cfr. G. S., Emily e le altre, Cooper 2010) sarà probabilmente una sfida, ma pagina dopo pagina scopriremo l’autenticità del suo sentire, la crudele onestà del saper strappare le maschere, la dolcezza insospettabile con cui si dona al mondo. Un’attenzione particolare sarà riservata alle poesie che l’autrice compose per Rocco Scotellaro, un gesto di gentilezza nei confronti della sacralità di quel legame indefinibile che fu il motivo primo del suo scrivere («Tu che sei addormentato / Comprendimi / Ed ora ti sollevi / lesto / e passi via sereno / fuori dalle mura della tua cittadella / Tu che chiarisci le vie»); ci libreremo in volo con La libellula per restituire levità a un’esistenza gravata da macigni («Dissipa tu se tu / vuoi questa mia debole vita che s’incanta ad / ogni passaggio di debole bellezza; dissipa tu / se tu vuoi questo mio incantarsi, – dissipa tu / se tu vuoi la mia eterna ricerca del bello e / del buono e dei parassiti. Dissipa tu se tu puoi / la mia fanciullaggine; dissipa tu se tu vuoi, / o puoi, il mio incanto di te, che non è finito: / il mio sogno di te che tu devi per forza assecondare, / per diminuire»); assisteremo inermi all’esplosività delle Variazioni belliche e ci accorgeremo che poesia è anche musica, ritmo, energia, colore («Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora / tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo / è vero se è vero che tu cammini ancora, tutto il / mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo / è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo / una lanterna per i miei occhi obliqui»); guarderemo negli occhi la malattia con Serie ospedaliera («Attorno a questo mio corpo / stretto in mille schegge, io / corro vendemmiando, sibilando / come il vento d’estate, che / si nasconde; attorno a questo / vecchio corpo che si nasconde / stendo un velo di paludi sulle / coste dirupate, per scendere / poi, a patti»); in Documento ci sforzeremo di leggere il rovescio d’un destino («C’è come un dolore nella stanza, ed / è superato in parte: ma vince il peso / degli oggetti, il loro significare / peso e perdita»); con Appunti sparsi e persi pronunceremo il miracolo del ritrovarsi («Perdonatemi perdonatemi perdonatemi / vi amo, vi avrei amato, vi amo / ho per voi l’amore più sorpreso / più sorpreso che si possa immaginare. // Vi amo vi venero e vi riverisco / vi ricerco in tutte le pinete / vi ritrovo in ogni cantuccio / ed è vostra la vita che ho perso»). «Cambiare la prosa del mondo»: è forse questo l’anelito da perseguire in quest’età di spaesamento e di esilio, in uno slancio di poetica leggerezza, nella carezza di quegli arcangioli che sanno ricomporre un fragilissimo pensare.