Vento di novembre, vento che porti
tra le braccia verdi dei cipressi
le voci dei miei morti, dei miei vivi,
di chi dorme o in silenziosa attesa
veglia dietro la crosta appena arata
di questo corpo sconfinato.
Chiedono di me nel vento, chiedono
notizie dei miei trent’anni appesi
a un filo di sole, ad una gioia inseguita
come vento che rade ed illumina
d’inverno i tunnel delle autostrade.
Ascolto i suoi respiri ritmare
il tempo nella stanza e penso
alla forza azzurra delle maree,
ai suoi due occhi da custodire
per millenni e millenni ancora.
Nota di Giancarlo Pontiggia
Tutto, in questa nuova raccolta di Massimiliano Mandorlo, sembra fondato sul principio dell’omologia tra organismi diversi, tra il mondo dell’animato e dell’inanimato: miriadi di grattacieli ‘bucano / il costato aperto’ di New York, che appare al poeta come ‘crocifissa / nel nero bitume’; la stazione Centrale di Milano è come il ‘ventre oscuro’ di un’immensa balena; ‘arterie grandiose’ pulsano ‘nella dura scorza minerale’. Ma il poeta non si ferma qui: le sue immagini sono figure, portano in sé la fede di un fuoco rigeneratore che brucia, di una luce prodigiosa che redime: sul ‘ventre d’acciaio’ delle viscere della metropolitana si abbatte, all’improvviso, ‘il presente / con la sua forza azzurra / di fiume imprevedibile’; uno stesso abbraccio ‘dà forza’ all’acqua, ‘muove’ la pietra; i migranti colano a picco ‘piantando le braccia / la croce / nei bianchi abissi del mare’. In questo libro tutto impregnato dei simboli della resurrezione, anche le rocce ‘sepolte in montagne di buio e gravità’ sono destinate a riemergere in ‘pareti di luce’. Con una lingua che ha in sé gli accenti visionari della tradizione mistica e scritturale, il poeta vede ‘la pietra liberata, / la terra esplodere / dalle sue crepe ferite / come un canto’. Tra stasi e divenire, buio e luce (parola-chiave, insieme a ‘pietra’, del libro, con la quale condivide il maggior numero di occorrenze), la città dell’uomo di agostiniana memoria pare sprofondare ‘nell’eterna / battaglia del presente’, riemergendone solo nella comunione con i morti-dormienti, e nel nome di Colui che da sempre conosce ‘gli altipiani ventosi’ del cuore. Perché anche il cuore è pietra, e come la pietra conosce ‘la doppia ricchezza / di gloria / di gloria / ed erosione’. Nel segno di una poesia di forme essenziali e di apocalittica tensione, Massimiliano Mandorlo sa rielaborare nella sua lingua scheggiata e sofferente la grande lezione dell’ultimo Luzi: nel ‘viaggio / terrestre’ evocato esplicitamente verso la conclusione del libro, è già compendiata una metafora di vita, e una idea di poesia come forza rigeneratrice e trasformatrice del cuore umano.
Da “Nella pietra” di Massimiliano Mandorlo, Postfazione di Pietro Montorfani, Moretti & Vitali, 2017
Isola
E tutta questa gratitudine.
Incisa nelle rocce. Sulle vette.
Dentro il volto silenzioso dei torrenti.
Vento di quaresima che scendi
a liberare le gemme, che sveli
e illumini il cuore delle cose.
Brucia Milano nel fuoco sottile
di luce e materia, da oceani nascosti
mi chiama
per una nuova era.
***
chi sono io
uomo
attraversato dalla luce
oceani di colore nelle mie vene
canto la vita
in ogni pietra, pupilla
o minimo segno umano
canto il verde che rinasce
nel villaggio abbandonato
ci sono io
è un vento
che mi strazia
e mi trattiene
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Massimiliano Mandorlo è nato a Cattolica (RImini) nel 1983. Laureato in Lettere Moderne a Bologna e Milano, si è occupato soprattutto di Luzi e Zanzotto, pubblicando parte del carteggio inedito tra i due autori. È attualmente subject e reference librarian per la Biblioteca di Ateneo dell’Università Cattolica di Milano. Ha pubblicato per le edizioni “Alla chiara fonte”: Mareoltre (2009) e Cascina con nebbia con quattro disegni di William Congdon (2011) e per Raffaelli editore Luce evento (2012), con la prefazione di Umberto Motta, attualmente professore di Letteratura Italiana a Friburgo.