Il libro più recente che ho fra le mani di Nanni Cagnone s’intitola “Tacere fra gli alberi“ (Coupe d’idée, Edizioni d’arte di Enrica D’Orna, 2014). E’ certamente uno degli ultimi testi pubblicati da questo eccellente e appartato poeta nato in Liguria nel 1939 che ha alle spalle una copiosa bibliografia con più di una trentina d’opere di poesia uscite in Italia e all’estero.
Su “Tacere fra gli alberi”
di Antonio Devicienti
Tacere fra gli alberi di Nanni Cagnone (Coup d’Idée, Torino 2014) sembra possedere una struttura che, aperta dal titolo, viene chiusa con un icastico verso che è identico al titolo stesso, riaffermandolo: Sí, tacere fra gli alberi (p. 61); questo fatto esplicita l’idea che Cagnone ha della poesia, la quale può manifestarsi proprio in dialogo con il silenzio o, meglio, con lo scegliere il silenzio quale argine fecondo per la parola poetica, quale suo inveramento e punto d’arrivo, ma non annullamento, come si potrebbe semplicisticamente ritenere, né come ingenuo e sterile guardare alla cosiddetta ineffabilità che genererebbe il silenzio: il silenzio esiste invece come necessario polo del dire e viene espresso con un verbo (tacere) che implica un’azione e una scelta. Proprio “Il silenzio, soggetto del dire” di Discorde (La Finestra Editrice, Lavis 2015, p. 25) viene definito “un dono” a pagina 39 dello stesso volume. O si potrebbe anche affermare che la lettura, inaugurata dal titolo, porta, col suo procedere, a quell’accettazione finale, adulta e consapevole, del tacere fra gli alberi, ma promettendo, comunque, una nuova tappa futura del discorso poetico. “Guardo la foresta miniaturizzata d’un capitello corinzio, che non cresce né diminuisce. Poi mi rivedo, irragionevolmente felice, tra gli alberi” (ibidem, p. 34) è dato leggere in un testo collocabile tra il 1965 e il 1977, ritrovandovi così una continuità dell’idea che gli alberi costituiscano luogo accogliente e di alto magistero, ché Nanni Cagnone è persuaso del fatto che, dovendo la poesia essere “una distratta conseguenza” del vivere, essa non debba occupare, ossessiva, l’intero orizzonte intellettuale e psicologico di un essere umano, ma venir nutrita dall’esistere, non come un parassita che succhia e annulla la vita , bensì come un momento nel quale la bellezza dell’essere vivi viene confermata ed espressa.
L’andamento poematico del libro, che può essere letto sia come testo strutturato in strofe ognuna di differente durata, sia (anche tenendo conto del fatto che ogni strofe è numerata) come una raccolta di testi poetici relativamente brevi senza titolo, rafforza questa mia convinzione di lettore, per cui, come già due capolavori quali The Book of Giving Back (Edgewise Press, New York 1998) e Il popolo delle cose (Jaca Book, Milano 1999), le risultanze della poesia di Cagnone sembrano essere dei poemi (insieme con quelle opere che sarebbe limitante chiamare traduzioni) capaci di affiorare dall’inesausta ricerca condotta dall’autore, alimentandola, proprio nei momenti di apparente silenzio poetico, delle sue letture e dei suoi studi che investono vari ambiti della conoscenza. Anche Tacere fra gli alberi è infatti il limpido risultato di un lavorio intellettuale instancabile e instancato.
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Da: Tacere fra gli alberi
La devozione
con cui coltivi il vuoto
è inerme come il sonno.
Di quanti versi hai bisogno
per non muovere un passo?
Prodiga tua malinconia
e sgretolata arguzia
del pensare, sillabe contuse
indolenziti accenti,
mentre dilegua una volpe
immiserisce il prato.
Non si passa senza pena
dal tuo mondo al suo —
più dell’amicizia
ha gravità la Storia.
*
Ecco dove ti stanchi
non somigli: le folle
ti fanno barcollare,
ogni festa indica già
l’uscita. Via, verso
la silenziosa proporzione
dei viottoli.
*
Disperazione
non sono le sventure,
ma la recente
loro arroganza.
Giungessero
in punta di piedi,
con l’aria di scusarsi,
noi che solo nel morire
disertiamo,
saremmo ospitatori,
come di siccità, gelate
o grandine. Tirannia
di nostra debolezza,
veritieri presentimenti,
profusione di malinconia,
calici di vino rosso
che non possono,
non fermano l’esodo
da cui sbriciolati
i pensieri, incalzate le vie.
Scavano un vuoto
accanto, i nostri ricordi.
…e’ nel silenzioso silenzio e dal silenzio che la meditazione permette l’emergere della poesia e del talento artistico…
Elegia del silenzio, non silenzio come assenza di suono, ma silenzio come linguaggio puro, somma algebrica di tutti i suoni. In Cagnone il silenzio deve essere rotto, inter-rotto, soltanto se l’uomo-poeta è in grado di aggiungere parole più dense, più vere del silenzio stesso. Questo poeta fa della poesia, come sa dirci Eeva Liisa Manner dalla sua Finlandia, una “maniera di vivere/ e l’unica maniera di morire…”. Appassionatamente indifferenti.
Certo, gli esiti estetici finali nei versi di Cagnone sarebbero, secondo il gusto di una Nuova Ontologia Estetica, più pieni se questo poeta avesse il coraggio di osare un pò di più sul piano linguistico, per esempio gettando alle ortiche aggettivi e significanti… La nota critica che accompagna i versi di Cagnone è dotta e competente.
Gino Rago