di Alberto Pellegatta
La Biennale di Venezia dedica un ampio spazio all’insolito artista danese Bas Ian Ader, morto prematuramente durante una performance negli anni Settanta. Davide Cortese ci consegna una monografia ricca di spunti (Fuori dalla libertà: Bas Ian Ader e i rituali dell’abbandono, Edb Milano, pp.79 euro22), che va oltre il lavoro di Ader.
Il saggio parte infatti da una definizione di libertà agganciata alla violenza, all’«affrancamento da ogni responsabilità», una libertà che pare «piuttosto una rinuncia». Se il «conglomerato ereditario» è la stratificazione culturale di una tradizione, la dissoluzione delle civiltà avviene «secondo un processo accrescitivo», per accumulazione di elementi «opposti e inconciliabili». Il libro offre una possibile soluzione: se i “detriti” culturali non vengono utilizzati da nuovi sistemi, rimangono disponibili a una riconversione personale. E quando l’arte è intasata da una «proliferazione di estetiche» che, «una volta esaurita la carica innovativa, subiscono un destino minerario» diventando «stili e soluzioni da riutilizzare all’infinito», si arriva alla «bruttezza alla seconda potenza», una disarmonia liberata del suo contrario – «liberati dal reale potete fare più del reale: ipereale. È del resto con l’iperealismo e la pop art che tutto questo è cominciato, con l’elevazione alla potenza ironica della realtà fotografica».
Attraverso la lettura di sette opere del danese, l’autore individua anche una «modalità d’impiego del rito in ambito artistico»: «gli studi concentrati sul sabotaggio del soggetto… elementi provenienti dall’ambito rurale… la dispersione della propria autonomia nei confronti di una forza impersonale». L’annientamento del soggetto è espresso nei video delle cadute, che diventano veri paradigmi verbali.
Con gli ultimi lavori l’artista si è spinto invece oltre al simbolico: «la dialettica tra la resistenza e la sparizione del soggetto non resta più sottesa». L’ultimo, One Night in Los Angeles (1973), è il video di un percorso attraverso la città e si conclude davanti all’Oceano, su un lido anonimo («è un processo di depotenziamento, l’Occidente arriva al suo confine più estremo ripulito di tutte le nozioni che costituiscono il soggetto»). Fu invece l’ultimo progetto a risultare fatale. Aveva infatti deciso di attraversare l’Atlantico su una piccola imbarcazione ma sei mesi più tardi la barca venne ritrovata sulle coste irlandesi senza di lui. A impreziosire il volume i disegni di Massimo Dagnino che descrivono senza sottrazione, con eclettica sapienza, le opere.