di Fabio Izzo
Motivazione del Premio Nobel alla poetessa polacca
“Per la poesia che con ironica precisione permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti di realtà umana”.
Era il lontano 1996 quando fu assegnato il Premio Nobel per la Letteratura a Wisława Szymborska. Da quel giorno la dura ortografia del suo nome e del suo cognome ci è diventata decisamente familiare. Per la poesia è stata, ed è importante, in tutte le lingue. Unica come Maradona lo è per il calcio, potente come Eddie Merckx per il ciclismo (giusto per restare in tema di ortografia cannibale), sublime come Mozart per la musica e fondamentale come Marie Curie Skłodowska lo è stata per la chimica e per la fisica. Sempre senza dimenticare che ha rappresentato lo “spirito guardiano” della nazione polacca, come la definì Bronislaw Komorowski, ex presidente della Polonia. Infatti La Szymborka è stata il quinto Nobel polacco per la letteratura e ha seguito Henryk Sienkiewicz, autore di Quo Vadis (1905), Wladyslaw Reymont, autore de “ I contadini” (1924) , mentre nel 1980 il premio andò ad un altro grande poeta polacco, cioè Czesław Miłosz. A tutti loro si può e si deve aggiungere Isaac Bashevis Singer che ha vinto il suo Nobel nel 1978 e si è profondamente occupato di tematiche polacco- ebraiche nelle sue opere.
Nata a Bnin per la burocrazia, forse a Kórnik come una volta lei stesso ha detto, è capace, con i suoi versi, di sfumare le distanze tra i luoghi, Il tentativo di far fronte a una disgregazione della realtà è il punto di partenza della sua poesia e il fondamento della sua ricerche successive. Ma è anche vero che Wisława Szymborska era in qualche modo riluttante al fascino della scrittura, poco più di 400 sono le sue sue poesie, cesellate, parola per parola, fino a diventare capolavori singoli. A chi le chiedeva perché ha pubblicato così poco, ha sempre risposto, con quel suo tipico e unico umorismo gentile, che la risposta era nel possedere un cestino per la carta.
Come molti polacchi della sua generazione è sopravvissuta alla guerra e ha poi abbracciato il comunismo, vedendolo come un’ancora di salvezza in mezzo alle rovine ancora fumanti del mondo precedenti. Le sue prime poesie tessono le lodi di Lenin e dei giovani comunisti pronti a costruire un mondo di acciaio. Più tardi si distaccherà da quel mondo, ma queste sue scelte giovanili non le sono ancora state perdonate del tutto in patria.. Secondo la Szymborska ha vissuto diverse fasi poetiche, evolvendosi. Lui non ha apprezzato i primi lavori di lei, quelli della fase Stanilista, ma poi, a parere di Miłosz , è andata migliorando di volume in volume, arrivando a scrivere qualcosa di davvero inusuale per il 20esimo secolo. Secondo Hirsch, critico del New Yorker, riallacciandosi sempre alle poesie degli esordi e per la precisione alla raccolta “Appello allo Yeti”, per lei credere nel comunismo era come credere nell’abominevole uomo dello nevi, incapace di offrire calore umano o conforto artistico.
La Szymborska ama l’umanità in contrapposizione al sistema anti individualista in cui ha vissuto per anni. La poetessa capì, ad un certo punto, che bisognava, che si doveva amare l’individuo. Dove amare significa prima di tutto notare, sentire insieme, creare e conservare empatia con l’altra persona. Questo punto di vista deve provocare un rifiuto dell’ abuso che è stato lo sforzo a tutti i costi per adattare gli individui nella nozione astratta di umanità. I coinvolgimenti di persone nella storia; l’apparente ordinarietà del mondo, che si rivela essere il più grande dei puzzle; la sofferenza che toglie le ricette pronte per la vita, ma che apre anche alla sua estraneità; la convinzione che la conoscenza dipende soprattutto dal rendersi consapevoli della propria ignoranza; il desiderio e l’impossibilità di abbracciare i paradossi dell’esistenza – questi sono motivi, arricchiti e trasformati, che assorbono la Szymborska nella pubblicazione di Appello allo Yeti. In questo volume si distaccò dalla poesia impegnata, per schierarsi a favore della poesia con distanza filosofica, cominciando a chiedere incessantemente al mondo,sospettando di dottrine e di sistemi.
La poesia della Szymborska arriva a donare nuovi significati ai dettagli della vita quotidiana, è un fenomeno complesso di mosaici semplici, sempre capace di elettrizzare il suo lettore. Modesta nella vita quanto nello stile, tanto da esser riuscita a caratterizzare la personalità dei suoi versi al limite della discrezione e dell’introversione. La semplicità della sua poesia è una sfida alla teorizzazione tanto amata da diversi studiosi, le sue parole sono arrivate ai lettori senza l’appoggio del mondo critico intellettuale e dei mass media. Uno stile individuale il suo, un’alterità ed esclusività intesa come una condizione creativa e una autonomia esistenziale. Non si è mai associata a nessuna scuola poetica, ha creato un proprio originalissimo percorso, forgiando un linguaggio poetico capace di coprire la distanza siderale dal minuscolo quotidiano all’evento storico di grande importanza. Ha descritto i condizionamenti biologici dell’esistenza umana, il ruolo del poeta nella società, ma anche i sistemi filosofici, le ideologie, le verità nascoste nelle fedi, le abitudini, gli stereotipi e le inibizioni, tutto è passato sotto il suo sguardo attento e tagliente. La sua è anche una lingua di amore, un amore che sfocia nel perdono e nella compassione per tutti quelli che hanno sbagliato, una lingua che si delizia nella bellezza unica della vita umana, così illogica e tragica. Una lingua di giudizi ponderati e di emozioni soffocate, un linguaggio di lirismo controllato dal freddo intelletto soggetto ad un rigore intellettuale che però non ha mai perso il calore della sensibilità umana.
La poetessa polacca vede l’esistenza, comunque, come uno stato temporaneo “al di fuori dell’eternità”, come “”un fiume scintillante che scorre fuori dalle tenebre e nel buio scompare”. Dai suoi versi apprendiamo che un essere umano ha troppo poco tempo per abbracciare i fenomeni di massa, schiacciato dall’eccedenza del mondo, spaventato dal vuoto. In una delle sue liriche più famose ha scritto “La gioia di scrivere./Il potere di perpetuare./La vendetta d’una mano mortale. Una lode simile dell’arte può essere trovata anche in “Gente sul Ponte” dove “il tempo è inciampato e caduto” al cospetto del quadretto iniziale. Ma non tutto, per lei, può essere preservato. I dubbi appaiono nei versi di “Autonomia”, una poesia dedicata alla memoria della poetessa polacca Halina Poświatowska, scomparsa in giovane età per complicazioni chirurgiche in seguito ad un’operazione al cuore:
“In caso di pericolo, l’oloturia si divide in due:
dà un sé in pasto al mondo,
e con l’altro fugge.
Si scinde d’un colpo in rovina e salvezza,
in ammenda e premio, in ciò che è stato
e ciò che sarà.
(…)
Già, anche noi sappiamo dividerci in due.
Ma solo in corpo e sussurro interrotto.
In corpo e poesia.
Da un lato la gola, il riso dell’altro,
un riso leggero, di già soffocato”.
Secondo Czesław Miłosz, in Autonomia si rientra nella locuzione latina “ars longa, vita brevis”, nella convinzione della longevità dell’arte. Infatti al riguardo l’autore della “Terra di Ulro” ha scritto in “Świadectwo poezji”(La testimonianza della poesia”) testo del 1990: “Nella poesia della Szymborksa, dividiamo noi stessi non in corpi sopravvissuti ma in corpi non finiti, sussurrati, il poeta non è nient’altro che un sussurro incompleto, un riso leggero, già soffocato”, riportando gli esatti versi della Szymborska sopra riprodotti nella traduzione di Pietro Marchesani.
Nonostante tutto il poeta sembra ancora credere nella forza di questo sussurro, paradossalmente, proprio in questa forma d’arte che ha la forza e la capacità di perdurare nel tempo.In “A qualcuno piace la poesia”, alla domanda su cosa sia l’arte (“Cosa è la poesia?”) la Szymborska ha così risposto: “ Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo/ Come alla salvezza di un corrimano”.
Una salvezza quindi che è fonte di creatività inquieta ma che è anche difesa dalla disperazione”.
In tutte le sue poesie l’umorismo allevia le sofferenze, anche in faccia alla morte” che non sa scherzare molto, vedi “O śmierci bez przesady” / “Sulla morte, senza esagerare”, 1986). Ma è altrettanto abile a smascherare l’assurdità del terrore ne “La Prima fotografia di Hitler” dove Adolf è un bambino, un frugoletto come tanto tutti versi e filastrocche, e nessuno sa o può immaginare dove lo porteranno le sue piccole gambette. Il suo è un umorismo contrastante, che passa fugacemente da un punto di vista all’altro, mantenendo sempre i suoi valori, in un dinamismo interno sconvolgente. L’azione delle sue poesie si svolge al confine – tra lo sguardo dell’autore e il mondo al di là di quello sguardo; la realtà è sempre fuggendo di nuovo nella poesia dallo sguardo penetrante, essa è l’obiettivo verso il quale siamo costantemente raggiungendo di nuovo.
In un intervista del 1994 la Szymborska ha commentato a modo suo l’idea di una poesia al femminile. “ Penso che dividere la letteratura o la poesia in poesia degli uomini o poesia delle donne cominci a suonare assurdo. Forse c’è stato un tempo dove il mondo delle donne è esistito, separato da determinati problemi, ma nel presente non ci sono cose che non riguardino allo stesso tempo gli uomini e le donne. Non viviamo più nel boudoir.”
Il poeta Irlandese, Seamus Heaney, anche lui insignito del Nobel per la letteratura, in occasione della consegna del Premio alla Szymborska, scrisse “…mi sembra che la voce più autentica che parla nelle sue poesie sia quella di un oracolo, la voce si una Sibilla, che esprime la sua personalità non comune, anche se la Szymborska non ha nulla della Sibilla in sé. Quello che voglio dire è che si tratta di una poetessa che parla con una voce che è allo stesso tempo autorevole e assolutamente credibile’.