dalla Nota introduttiva di Milo De Angelis
Gianluca Chierici – poeta delicato, visionario e fiabesco che stringe la propria sapienza in trentadue testi ad alta densità metaforica – sigilla il suo breve viaggio con queste parole, rivolte a una altro, a una donna, a se stesso, a tutti noi:
Non perdere il poeta per trattenere l’uomo.
L’uomo è un fiore qualsiasi.
Il suo costume è buffo.
Il passo incerto barcolla tra le foglie di memoria.
Egli clona se stesso ad ogni istante,
in visi e corpi nascosti tra i rami.
Trattieni il poeta.
Il suo cuore è tutto un secolo.
“Trattieni il poeta”, non farlo scomparire, fa’ che duri per il tempo eterno del suo secolo, ossia del suo cuore. Questo suggerimento è anche un imperativo e ci costringe a ripercorrere dalla sorgente il fiume che sfocia nella sentenza finale, a redigere “un documento che sia antico nel suo mistero e nel suo ardore”, a restare nell’abbraccio strettissimo/ che sale verso l’ignoto”. Perché il senso dell’antico e del mistero, la percezione di un canto ferito e l’assedio dello sconosciuto premono potenti su queste pagine. Pagine indifese e urlanti, solcate da un grido che è anche una profezia: il nostro verso è interamente vulnerabile e solo chi è poeta può accompagnarlo in un viaggio così pieno di insidie e di rischi mortali.
Scelgo la lotta come un presagio, potente
il passo, affilato nell’occhio del gesto,
pronto a ogni tipo di irruenza.
L’altezza e il silenzio riportano alla terra
una pagana tensione, istanti-catena attaccano
la coscienza come antichi, sanguigni ricordi
deturpano il tempo dei miracoli, appiattendo
il senso del libro che ho per poco ritrovato.
Così la frase, l’ultima, si fa trasparente tra le dita,
per mostrare una pace di mitraglie e agonie, è una
speranza mostruosa, come la voce che ci chiama.
*
Abbiamo camminato tra le rovine
e i piccoli disegni. A voce bassa
abbiamo cantato lo schianto della congiura.
Tremanti, in questo suono di terremoto,
vestiti come orfani da mani e scuotimento,
siamo calce scrostata da un’antica iscrizione.
*
Posso dirtelo al telefono,
sfiorando il tuo orecchio
tra le rovine sconfinate.
Questa lingua è da salvare
perché conosce il tuo addome.
Sulla parete di carne curva
accompagno un bacio
che non urta il futuro.
Un meccanismo assoluto
uno scendere di mattino
nel senso d’ogni certezza.
Ora queste dita,
possono cominciare a cucire.
Da: “Il grido sepolto“, di Gianluca Chierici, Nota introduttiva di Milo De Angelis, Postfazione di Giulio Greco, Giuliano Ladolfi Editore, 2017
Gianluca Chierici è nato nel 1977 a Milano. Vive vicino Pavia. E’ autore dei film compleanno di Venere, (Barbieri, 2003), La crudeltà dell’angelo (2004); Dannati (2005); La chiave dei grandi misteri (2006), Hystera, PDG al Mystfest Cattolica (2008), OR, BJEM (2009), PickUp (2010), Fiaba di Daina (2012), Holy Mary (2013). HaL’ultimo
pubblicato: Il libro del mattino (Acquaviva, 2005); L’eterno ritorno (Sentieri Meridiani, 2007-Premio Castelpagano); La madre delle bambole (Tracce, 2008-Premio Fondazione Caripe); Il nome del confine (Joker, 2009); La stirpe del mare (L’arcolaio, 2010); Hanno amore (Perdisa Pop, 2010).