IN COPERTINA Zbigniew Herbert ritratto nel 1984 da Anna Beata Bohdziewicz
Ho dato la mia parola
ero molto giovane
e il buon senso consigliava
di non dare la mia parola
potevo dire apertamente
ci penserò ancora
non c’è fretta
non è l’orario dei treni
darò la mia parola dopo la maturità
dopo il servizio militare
quando avrò messo su casa
ma il tempo esplodeva
non c’era più un prima
non c’era più un dopo
nell’accecante presente
toccava scegliere
e così diedi la mia parola
la parola –
un cappio al collo
l’ultima parola
nei rari momenti
in cui tutto diventa leggero
acquista trasparenza
io penso
«do la mia parola
volentieri
ritirerei la parola data»
ma dura poco
perché ecco – cigola l’asse del mondo
passano le persone
i paesaggi
i cerchi colorati del tempo
e la parola data
mi fa un groppo in gola
Credits ph. Luigia Sorrentino
RISVOLTO
«Scrivevo poesie serie, tragiche» ha detto nel 1991 Zbigniew Herbert in un’intervista, paradossalmente deplorando l’abolizione della censura seguita alla caduta del Muro. «Adesso scrivo sul mio corpo, sulla malattia, sulla perdita del pudore». In questa nuova atmosfera lirica, infatti, il poeta i cui versi Iosif Brodskij aveva definito come «una nitida figura geometrica … incuneata a forza nella gelatina della mia materia cerebrale» (versi, aggiungeva, che il lettore si ritrova «marchiati a fuoco nella mente con la loro glaciale lucidità») – ebbene, quello stesso poeta che era stato così discreto, così poco incline a parlare di sé, lascia spazio alle confessioni intime di un io che abita ormai «sull’orlo del nulla» e ci consegna una sorta di testamento spirituale. Rimane, certo, il suo tono, quella «miscela di ironia, disperazione ed equilibrio» che già incantava Brodskij; e rimangono i temi che sempre sono stati al centro della sua ricerca espressiva: la memoria come vicinanza al passato e alla tradizione, l’azione corrosiva del tempo, il viaggio come fonte di ispirazione: ma accanto a questi c’è ora la stoica accettazione della sofferenza fisica e psicologica, accompagnata dalla gratitudine (così si legge nelle estreme composizioni di Breviario) per tutta «questa cianfrusaglia della vita» (e soprattutto, scrive, «per le pasticche di sonnifero dai melodiosi nomi di ninfe romane») – una vita che si lascia, tuttavia, con il «cuore pieno di rimpianto».
Zbigniew Herbert
L’epilogo della tempesta
Poesie 1990-1998 e altri versi inediti, a cura di Francesca Fornari, Biblioteca Adelphi 2016.