di Alberto Bramati
Nella sua prima raccolta di saggi scritta in francese, “L’arte del romanzo”(Gallimard 1986, tr. it. Adelphi 1988), Milan Kundera presenta nel capitolo intitolato “Sessantasei parole” il suo dizionario personale, le sue «parole-chiave», «parole-problema», «parole-amore» (p. 172). Alla voce “Eccitazione”, si legge:
ECCITAZIONE. E non piacere, godimento, sentimento, passione. L’eccitazione è il fondamento dell’erotismo, il suo enigma più profondo, la sua parola-chiave. (p. 180)
Ho riflettuto spesso su questa definizione e credo di non essere d’accordo con Kundera. Ciò che rappresenta il mistero delle relazioni umane non è per me l’eccitazione ma l’attrazione, un fenomeno psichico che non riguarda solo la dimensione dell’erotismo ma l’intero campo delle relazioni affettive.
Quando l’attrazione è reciproca, ciò che nasce e si sviluppa è un attaccamento che coinvolge due esseri fino ad allora estranei. La nascita e lo sviluppo di un legame affettivo – come da una totale estraneità si passi per slittamenti impercettibili a una più o meno profonda intimità – sono sempre stati per me un mistero impossibile da ricostruire e da spiegare. Ogni volta che ripenso a come sono nati i legami che hanno contato nella mia vita, la mia memoria si blocca, divento incapace di ricostruire in modo ordinato le tappe che dall’iniziale estraneità hanno portato all’esistenza del legame affettivo. E questo mi succede anche ora, ripensando alla mia amicizia con Joëlle.
La conobbi nel 2003, durante il mio dottorato in linguistica all’Université de Provence. Non era la mia direttrice di tesi, ne seguivo i corsi solo per interesse personale. Quando mi fu chiesto di fare un esame in più per la convalida della mia attività annuale, mi rivolsi a lei. Ricordo che mi chiese che cosa mi interessasse. Le risposi che mi sarebbe piaciuto studiare la concezione del linguaggio di Gorgia. «Interessa anche a me», mi disse. Fui colpito dalla sua volontà di trasformare un obbligo burocratico in un’occasione di ricerca e di arricchimento reciproco. Quando finii il dottorato, si era trasferita a Parigi alla Sorbona. La contattai per un eventuale scambio docenti nel quadro delle borse Erasmus. Fu subito d’accordo. Per tre anni ebbi così l’occasione di intervenire nei suoi corsi. Poi vennero i convegni, le conferenze, le pubblicazioni, e negli ultimi anni, dopo che aveva lasciato l’università, le visite di piacere, io a casa sua, ogni volta che andavo a Aix, e lei a casa mia, quando veniva a trovare i suoi amici milanesi. Cercando nei miei archivi, riuscirei probabilmente a mettere un po’ di ordine negli eventi: in quale anno si tenne il convegno di Torino su sinonimia e traduzione? Era il 2008 o il 2009? E perché mi aveva invitato? Com’erano allora le nostre relazioni? Mi invitò anche a Parigi, nel 2012, al suo ultimo convegno prima di lasciare l’università. Mancando una camera, mi chiese se sarei stato disposto a condividere quella di un collega. Il nostro rapporto era già molto più intimo. Io ero arrivato direttamente da Bruxelles, dove stavo vivendo una storia molto complicata. Joëlle ne era al corrente: l’avevo vista in un caffè di Milano due mesi prima e sulla mia faccia si leggeva tutto il tormento della situazione. Così al convegno di Parigi, accettò senza problemi che mi assentassi più volte per telefonare. In quel maggio piovoso del 2012, ero già stato a casa sua? Era già venuta lei a casa mia? In che occasione glielo proposi per la prima volta? Joëlle non amava l’impersonalità degli alberghi. Preferiva il calore di una casa. Quando le proposi di stare da me, accettò subito e negli ultimi anni venne più volte. L’ultima fu un anno fa. Era un po’ stanca. Un pomeriggio preferì restare a casa mentre io andavo a far lezione. Quando tornai, aveva quasi finito di leggere un libro che le avevo consigliato prima di uscire: “De purs désastres” di François Salvaing. Lo trovò tanto interessante quanto inclassificabile, il che spiegava, a suo dire, la mia difficoltà a trovare un editore disposto a tradurlo. Mi incoraggiò a non desistere. Sarebbe dovuta tornare la prossima primavera, una volta finite le cure e recuperate le forze – così ci eravamo detti a metà luglio. Sapevo della sua malattia e ci sentivamo spesso.
A metà agosto mi scrisse per chiedermi se potevo aiutarla a tradurre una poesia di Julien Blaine che voleva far conoscere al pubblico italiano attraverso il blog di Luigia Sorrentino. Abbiamo lavorato insieme fino all’inizio di settembre. L’ultima telefonata è stata due giorni prima della crisi. Un’ora al telefono a discutere di dettagli linguistici: come possiamo tradurre il verso dell’allodola in italiano? Perché uit in francese suona come huit, il numero otto, e poi fa pensare a aujourd’hui, all’oggi. Come possiamo fare? Perché il linguaggio, come oggetto di studio e come strumento di creazione, era il luogo privilegiato in cui Joëlle esprimeva se stessa, comunicando agli altri non solo i risultati dei suoi studi ma anche la sua coscienza del dolore, la sua volontà di lotta (Olympe de Gouges e Louise Colet), la sua visione lucida, laica e razionale della vita. Una vita di lavoro e di impegno etico. Così mi piace ricordarla.
24 settembre 2017
JULIEN BLAINE
di Joëlle Gardes
Julien Blaine (il suo vero nome è Christian Poitevin) è nato nel 1942 a Rognac, sulle rive dell’Étang di Berre «pozza d’acqua di mare un tempo di colore azzurro-blu, oggi color marron glacé, ed è cresciuto sulle rive dell’Arc, un tempo fiume, oggi fogna a cielo aperto», dice il testo di presentazione nel sito della casa editrice Al Dante, presso cui ha pubblicato molte delle sue opere (Poëmes vulgos, 2007, Bimot, 2011, Carnet de voyage, 2013…). Julien Blaine vive tra Ventabren e Marsiglia, ma percorre il più possibile le strade del mondo.
Sarebbe troppo lungo enumerare qui tutto ciò che ha realizzato in materia di libri, cataloghi, mostre, performance… Ci si accontenterà di citare ciò che lui stesso ha dichiarato a più riprese:
EDITORE di Doc(k)s e di una sfilza di altri periodici.
AUTORE di 13427 poesie metafisiche e di una sfilza di altri libri e cataloghi.
ESPOSITORE in Du sorcier de V. au magicien de M. e in una sfilza di altre mostre, nel 2009 ha presentato un’importante retrospettiva – Un tri – al MAC [Museo di Arte Contemporanea] di Marsiglia.
ORGANIZZATORE dei Rencontres Internationales de Poésie di Tarascona e di una sfilza di altre manifestazioni.
FONDATORE del Centre International de Poésie di Marsiglia (C.I.P.M.) e di una sfilza di altri spazi culturali.
CANTIERI IN CORSO: Les cahiers de la 5ème feuille ou l’écriture originelle, Verssicône, Chom’art, Confidences d’Églantin, Text’art, Ihali, ecc.
Fin dall’inizio degli anni Sessanta, Julien Blaine propone una poesia che usa segni di varia natura, grafici, visivi, oggetti…
Blaine considera che la poesia fa parte integrante della vita e deve essere provata nel corpo. La poesia è fondamentalmente performativa e si sperimenta fisicamente, anche a rischio di farsi male. La «chute-chut» per le scale della Stazione Saint-Charles nel 1982 ne è la prova, come si può vedere nel film particolarmente illuminante realizzato dalla figlia, Marie Poitevin, L’Éléphant et la chute, che ricorda anche la prima performance con l’elefante del Palais Longchamps, nel 1962, a Marsiglia. Il Cours minimal sur la poésie contemporaine è una sorta di arte poetica i cui sottotitoli sono di per sé rivelatori: Poésie visuelle, poésie sonore, poésie-action & autres performances.
In questo corso, Blaine definisce così la performance:
C’est un corps
dans un espace
et c‘est un sone
dans un corps
puis c’est un geste
de un corps
est la rencontre
sera
ou s’évaporera
*
È un corpo
in uno spazio
un suono
in un corpo
poi è un gesto
del corpo
e l’incontro
sarà
o svaporerà
L’incontro è a volte difficile, spesso la messa in scena e gli strumenti usati oltrepassano, volontariamente, i limiti del ridicolo, ma se si accetta di andare oltre, ciò che si manifesta è una forma di gravità. Julien Blaine, come ha detto nel suo Hommage à Ghérasim Luca, non è, e insieme è, un archivista, un oratore, un giardiniere, un musicista, uno scrittore… ma anche un filosofo e prima di tutto, ovviamente, un POETA, il che equivale a dire un uomo «perfettamente inutile». E anche «perfettamente ridicolo». Nessuna illusione in lui sullo statuto del poeta nella società né sulla società stessa. Dietro i travestimenti, da imbrattatele, da sciam-asino, il performer, come i clown, è un uomo serio, forse anche triste: «la performance è disperata», dice in una delle sue creazioni.
Se nel 2006 ha detto Bye-bye la perf (Al Dante, 2006), Blaine continua a mostrarsi in « démonstr’actions », in mostre e manifestazioni dove il lavoro sulla lingua è fondamentale e la ricerca sempre in atto Da qualche anno, porta avanti questa esplorazione, pubblicata con il titolo Les Cahiers de la 5e feuille. Il fatto è che la poesia non è mai compiuta, è frammento di un lavoro in corso, un lavoro aperto che prende forme diverse. È stato lui a fondare nel 1976 la rivista Doc(k)s, che diresse fino al 1990 quando divenne assessore alla cultura nel comune di Marsiglia. Di fatto uomo d’azione, Blaine non lo è solo con la poesia, lo è anche nella vita civile. Fu così che, durante il periodo del suo assessorato, creò il Centre international de poésie de Marseille (cipM) ed ebbe un ruolo di rilievo nel festival Voix de la Méditerranée a Lodève. In fin dei conti, ciò che importa, come dichiarò in un’intervista, è «non essere traditore, non essere vecchio». La poesia e la vita esigono lo stesso impegno, la stessa etica.
POESIA DI JULIEN BLAINE
Parlo nel buio.
Nel nero quello che avevo scritto alla luce…
Parlare nel nero
perché nessuno intenda mentre tutti ascoltano…
Il nero lo permette:
L’ascolto e il malinteso
sono come le cose invisibili sotto la superficie, sotto le ondulazioni, sotto le graffiature,
sotto le rigature…
Nel nero: vedere l’invisibile
L’ascolto e il malinteso
Idem
Lo sguardo e il malvisto
Il nero lo permette: il malinteso e il malvisto,
un vero ascolto e uno sguardo giusto.
Gli aurignaziani l’avevano capito quasi 35000 anni fa
Poi È l’età ce lo ricorda continuamente!
Lui dice.
Dice il nero.
Come lo diceva la specie umana quasi o più di trenta millenni fa:
il motivo della scrittura, la scrittura originale,
la prima lettera, il soggetto:
Ooooooooooooo Ô oooooooooooooooo
(piano – crescendo – diminuendo)
su quello che ormai dico, chi potrà contra
dirmi?
La domanda non è più: che fare?
Non fatto, mal fatto, ben fatto!
Ma: che dire?
Non detto, mal detto, ben detto!
Dimenticato
Irrimediabilmente dimenticato,
soffocato e sotterrato…
È da reinventare (ritrovare) quello che era stato dimenticato, Soffocato e sotterrato:
Distrutto?
È?
Non è più di chi è detto Ma con cosa lo si dice Detto e scritto
Dipinto e inciso, quale segno
O (sfolgorante)
Quale lettera antica (noon) & (alpha) o contemporanea (Q), (x), (œ), (æ)
(q – ics – o & e intrecciate – a & e intrecciate). Con cosa era detto
da questa parte delle terre
dei mari
e del cielo.
Con cosa lo dicono dall’altra parte dei mari, delle terre
e del cielo?
C’è un legame?
C’è un luogo?
Qui (:) (2 punti tra parentesi)
Una stirpe di salvatori,
di custodi di segreti
fuggitivi sfuggiti alle inquisizioni?
Ancora oggi, non so,
non sono che – per fortuna e per ricerca – un fabbricante intem-pestivo di coincidenze
(se mai lo sono! Le coincidenze non forse hanno bisogno di me.)
Non sono che un apprendista – senza padrone –
Bisognerà recensire gli accenti degli alfabeti distribuiti intorno ai mari
e nelle nostre terre
e sul cielo:
punti unici o molteplici di ogni tipo, cediglie nomadi, barre oblique, orizzontali o
verticali che attraversano o forano la lettera; La lettera e i suoi attributi (gravi, acuti o flessibili)
La lettera e i suoi qualificativi (flessibili:
tra la cresta delle montagne e l’ondulazione degli oceani)
Ci sono qui cose da leggere, da scoprire, da capire. Come costruire, tracciare, scrivere, incidere,
dipingere un linguaggio originale che cambia la vita, modifica la morte
E trova il luogo [c (sfolgorante) = esser-c (i aspirata-interiorizzata), viver-c (i aspirata-interiorizzata), morir-c (i aspirata-interiorizzata)] di tutto questo.
La vista ella vuole
la vistelvuol
La vulva
I segreti si creano poi si decretano…
ZOZ
NON
Z N
OZ
N Z
(canto in cerchio e a spirale)
I
Mentre uomini e donne
Cercano di decriptare il testo
Noi cerchiamo solo di cancellarlo
o
La parabola della trottola
II
Mentre uomini e donne
Cercano di decriptare il testo
Noi cerchiamo solo di cancellarlo
o
La circonvoluzione della terra
III
Mentre uomini e donne
Cercano di decriptare il testo
Noi cerchiamo solo di cancellarlo
o
L’itinerario degli altri pianeti e degli altri soli
IV
Mentre uomini e donne
Cercano di decriptare il testo
Noi cerchiamo solo di cancellarlo
o
Il turbinio del cerchio nell’infinito.
Ma la traiettoria nell’infinito ha ancora una figura, anche solo geometrica ? Chi, hoc die, parla
d’interruzione o di caduta nel valzer dei pianeti, dei soli e dei loro satelliti?
Laggiù: le circostanze attenuanti
Qui: le eclissi attenuate.
Libero il libro: è la mia pelle. Scrivere
Sostenere lo scrivere
Copiare lo scrivere
Dipingere & incidere
La pelle, la pelle, è meglio della carne e del sangue : la pelle!
La pelle è la pergamena
La pelle è la tela
La pelle per proteggere la carne e il sangue
Æ æ (A-e a & e intrecciate)
Œ œ (O-e o & e intrecciate)
X x (ics)
Queste lettere annunciarono e conversarono
illu
illu
auricolare – anulare – medio – indice – pollice (illuminazione della mia mano con improvvisazione coreografica delle mie dita)
Amputazione reale, amputazione simulata grazie a un’abilità manuale: atto rituale in ogni caso.
Allora, quelle dita, ormai sacre non sarebbero mai più rappresentate sulle falesie
Interne o esterne
Né in modo negativo né in modo positivo
sarebbero ormai trasparenti, invisibili: fantasmi di dita, spiriti di dita…
illu
Ce ne sono altre che riescono la giunzione del medio e dell’indice per fabbricare una vulva
digitale: “Benedizione”
ll
illu
È l’inizio dell’illu minazione.
Per essere completamente illu minata bisogna cambiare calligrafia o tipografia?
Il fuoco e l’acqua si rispondono, Si rispondono attraverso il suono: Un suono identico,
della stessa natura
dello stesso carattere,
un suono tumulto simile
tra il mareggio dell’oceano venuto dall’estremità della terra e la lava del vulcano
venuta dal fondo della terra
( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )
(Aprite e poi chiudete le parentesi) (rumori di tosse : (piano – crescendo)
Sia detto tra parentesi
[(y)(sfolgorante poi i aspirata-interiorizzata) = lei : y tra parentesi uguale
lei = O/∞)(o su infinito) = lui : i/∞ (i su infinito)] tra parentesi uguale lui
lo, hoc die:
hoc die
otto
8tto (chioccolìo del merlo Otto) chiò chiò (come il canto del merlo poi soffiare).
La potenza :
Sono nove persone e sono i nove orifizi dell’uomo:
Le narici, il potere;
Le orecchie, la preveggenza;
Gli occhi, la sicurezza;
La bocca, la relazione;
Il sesso, il rendimento;
l’ano, il servizio.
La divinità
7 è infinito
7 è l’infinito:
2, le gambe;
1, il bacino;
1, l’addome;
2, le braccia;
1, la testa e il collo.
Scrivere significa rialzare (da riprendere 5 volte:
Rimettere in piedi ciò che era caduto,
Ricostruire ciò che era in rovina,
Rimettere in acqua ciò che si era arenato, *(rialzare 1 volta)
Rimboccare ciò che mascherava le forme
Raddrizzare ciò che era inclinato,
Ristabilire ciò che era mancato, *(rialzare 2 volte)
Rendere degno ciò che era disprezzato,
Rimpiazzare ciò che era andato via,
Rimarcare ciò che era l’errore *(rialzare « volte)
Revocare ciò che era nefasto,
Sciogliere ciò che era promesso,
Dare gusto a ciò che era insipido, *(rialzare 4 volte)
Guarire ciò che era malato,
Far valere ciò che non era rimarcato
Determinare la posizione di un oggetto, di un soggetto, *(rialzare 5 volte)
Determinate la posizione…
Un già fatto naturale a cui si è aggiunto un rifatto artificiale a inchiostro, a pittura?
Così facendo un’ellisse, dalla scrittura aurignaziana
Alla macchia scritta contemporanea
Scrivere subito
Lei & lui: ipso facto.
L’impronta contro la prova di stampa
La stampa come la prova
Foglio – inchiostro – foglio fino all’∞ (infinito)
Tela – pittura – tela fino all’∞ (infinito)
Prova: la soluzione è nel riflesso
Prova: il verso del foglio eguaglia il riflesso
Il riflesso vale il verso
Il verso rivolto alla luce vale l’inverso nello specchio.
Il riflesso di un verso resta utopico o diventa realtà? Tutto deve essere incompiut/. (cut)
Diventato nuvola bianca
Ridiventato nuvola nera
Dominando l’opera diventa talora crepuscolare talora aurora. Lei si siede sulle sue labbra, allora lui mormora,
mormora le sue labbra sulle sue labbra
Lui le parla,
labbra/labbra (labbra su labbra) labbra contro labbra
lui mormora: (-)
parla : (o)
lei urla: (O)
lui urla: (O)
insieme urlano: (O)
fasciare
(con una a)
pensare
(con una e)
pensciare insomma
(con le a & le e intrecciate) l’amante sogna
la man sogna
la menzogna
Tra qualche tempo (non ne conosco il tipo…)?
Tra quanto tempo sarà mezzanotte?
Allora comincia la grande notte degli sciamani
I periodi precedenti avevano sviluppato una scrittura manuale piatta che si ritrova in quasi tutte le caverne, le grotte profonde
E sulle pareti dei rifugi sotto le rocce.
L’aziliano ha sviluppato una scrittura in rilievo su sassi.
Una sola scrittura piatta su una superficie o avvolta intorno a un sasso, una scrittura concreta
rinnovata da ritrovare e da rileggere dall’aurignaziano all’aziliano…
Il sasso rappresenta l’uscita dalla caverna, il fondo della caverna. Noi siamo al buio nel vuoto della grotta profonda
e guardiamo verso la luce, là è l’ovale naturale della luce lapidaria.
La rappresentazione spaziale del sasso.
Siamo nel fondo del nero e riconosciamo la luce: la nostra uscita.
La natura, hoc die, oc, oïl, sì, ha ripreso i colori.
che gli azaliani usavano per dipingere i loro sassi.
I sassi sono scritti, è il supporto della loro scrittura,
talora scrittura verticale,
talora scrittura orizzontale a volte punteggiata, a volte sottolineata, a volte rigata,
a volte contornata…
Il colore aziliano per arrivare alla sua pienezza
(una composizione di un antico rosso e di un antico giallo,
più difficile di un semplice miscuglio)
il colore
f a c o n c a l m a…… > (lentezza) Poi «la pienezza del colore aziliano nella mia respirazione.»
Ed ora che il sasso è dipinto, è scritto: chi rischia di parlare?
Il giallo?
Il rosso?
Il tratto o i tratti?
Il punto o i punti?
La grana del sasso?
Il bordo del sasso?
Il pieno del sasso?
Si parla o si conta?
Si gioca o si misura?
Si traduce o si è rimasti in silenzio?
Così noi conosciamo, riconosciamo
sappiamo il colore nel nero!
Una sola scrittura piatta su una superficie
o avvolta sul modellino della terra.
Poi È l’età ha…!
illu
Fu una prima parola, un primo nome, un primo marchio Vol’
È una seconda parola, un secondo nome, una secondo sigla Questa storia è
illuvol’
È una sigla: 4 dita + 3 dita = 7 dita:
illu Vol.
(Il finale è dopo la foto)
Mano
Che tiene
Riconsti
tuito
Sup
Porto
Scrittura
Sgridura
In
Vita a Scrivere
Mano che tiene Ucciso Porto Gridura In Vita Grido
Silenzio…>
Poi nero riconstituito, restaurato, rivisto &… […]
Traduzione dal francese
di Joëlle Gardes e Alberto Bramati
UNA POESIA di Joëlle Gardes
Dans le silence des mots
(Éditions de l’Amandier, Paris, 2008, p. 27)
La vie hésite entre la veille et le sommeil
la fluidité de l’eau et la dureté du roc
Elle oscille du rêve qui monte des grottes souterraines à
l’éclat de la conscience
de la glace de l’oubli au flamboiement de l’instant
De moi je ne connais ni mon dos ni ma nuque mais
seulement le reflet de mon visage
et des fragments pieds mains genoux cuisses
mots qui m’échappent larmes qui coulent
De moi je ne connais que ce qu’en disent les autres
observateurs non fiables témoins partiaux qui me défor-
ment au gré de leur amour ou de leur haine
Je tente de dévider le fil des rêves
je contemple les actes venus de l’obscurité et cherche à
démêler le faisceau des causes et des effets
je les analyse et les nommes pour me rassurer
mais de moi si j’existe
si j’existe autrement que comme projection des autres
bribe fragment lambeau d’un tissu troué mal ravaudé
de moi
je ne saisis rien
*
Esita la vita tra il sonno e la veglia
il fluido dell’acqua e il duro della roccia
Oscilla tra il sogno che sale da grotte sotterranee e il
balenio della coscienza
tra il ghiaccio dell’oblio e il bagliore dell’istante
Di me non conosco né la schiena né la nuca
solo il riflesso del mio volto
e pochi frammenti mani piedi ginocchia cosce
parole che mi sfuggono lacrime che scorrono
Di me non conosco se non ciò che dicono gli altri
osservatori inaffidabili testimoni parziali che mi defor-
mano sull’onda dell’odio o dell’amore
Tento di dipanare il filo dei sogni
contemplo le azioni venute dall’oscurità e cerco di
sciogliere il nodo delle cause e degli effetti
lo analizzo e per rassicurarmi gli do un nome
ma di me se mai esisto
se esisto altro che come proiezione degli altri
frammento lembo brandello di un tessuto strappato e mal ricucito
di me
non so nulla
Traduzione di Alberto Bramati
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Alberto Bramati è professore associato di Lingua e traduzione francese all’Università degli Studi di Milano. Le sue ricerche vertono sui problemi linguistici della traduzione dal francese all’italiano, e più in particolare su problemi di grammatica contrastiva. Ha tradotto romanzi e saggi per vari editori italiani.