Senza sporgenze la tavola,
seduta muta
strofino il palmo della mano
soffio tra le convessità.
Il legno freddo della matrice
composto sotto di me, appoggiata appena
sul palmo.
Ne acceco i nodi
per imporre linee incise
verso la stampa impressa e compressa,
statica.
La punta taglia il groviglio.
Qualsiasi cosa per sciogliere
e sorvolare.
L’incisore depenna il groppo
mentre soffia via le barbe
per scavalcare ed iniziare,
dunque.
*
Dalla mia bocca, ridente taglio
trasparenze variopinte.
Ombre sigillate tra i denti
nel vuoto istante in cui
dimentico
che sono trascinata
come un corpo morto.
Come sono finita qui
non riesco a crederlo.
E lo accetto
ringraziando l’onda
in una preghiera.
*
Confonde
il rumore della parola.
Nel cellophane le
parole giuste di una volta
un attimo fa,
là fuori.
Tutto fila liscio là fuori,
come la pellicola.
Qui
una casa immobile
e muta.
Coccolata dalla fiamma
che non mi avvolge
sta lì.
Respiro un focolare
che sussurra di starlo a sentire.
Armatura goffa, una coperta.
Un suono vitreo
danza
nelle mie pupille
gesticola storie.
Mi chiama
non aspetta.
*
Morfeo gioca ridendo di te.
Festeggia
per connessioni
lanciando lacrime in aria.
Vero e falso in conflitto
e il sonno è una resa.