di Fabio Izzo
“Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sotto terra.
Era mancato nella notte di giovedì l’altro e lo seppellimmo domenica, tra le due messe. Fortuna che il mio padrone m’aveva anticipato tre marenghi, altrimenti in tutta la casa nostra non c’era di che pagare i preti e la cassa e il pranzo ai parenti. La pietra gliel’avremmo messa più avanti, quando avessimo potuto tirare un po’ su la testa.”
Incipt de La Malora
Beppe Fenoglio è stato un vero uomo di Langa (in piemontese). L’incipit de “ La Malora”, a mio modesto parere è uno degli inizi maggiormente riusciti della nostra letteratura. Questo estratto infatti rende al meglio l’idea dell’intensità del rapporto tra lo scrittore e la sua terra, ufficialmente inclusa, insieme al Roero Monferrato, nella lista dei beni del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Fenoglio ne ha raccontato la storia e le vicissitudine nelle pagine dei suoi romanzi “I ventitré giorni della città di Alba”, “La malora”, “Una questione privata”, “Il partigiano Johnny” e “La paga del sabato”.
C’è però un particolare aspetto della sua produzione letteraria, su cui mi voglio soffermare qui, che non va assolutamente sottovalutato. Infatti gli stessi romanzi dello scrittore piemontese, come ben sanno i suoi numerosi e appassionati lettori, sono ricchi di influenze letterarie angloamericane e di anglicismi nel loro vivo linguaggio. Questo perché Fenoglio è stato un traduttore attento e sensibile. Amava tradurre poesia e teatro con passione, rispettando a dovere gli autori a cui si accingeva a prestare la sua “voce scritta”. La traduzione di poesia è stata per lui una vera e propria fucina letteraria, una fòrgia ardente, dove gli è stato possibile creare il suo personalissimo linguaggio.
Lo scrittore è stato anche “plasmato” dalle Langhe, luogo da lui amato, che però, in qualche modo, è stato anche materia di cattività. Impiegato presso una famosa ditta di vini locali, si è spesso rifugiato, sentendosi culturalmente “libero” nella traduzione della poesia di lingua inglese. Fenoglio scelse l’Inghilterra e la sua cultura come degna rappresentante della sua “own” rivoluzione culturale, come massima espressione dei suoi ideali, in aperta e dichiarata contrapposizione al clima culturale presente nell’Italia provinciale degli anni ’20 e ’30. Così la tumultuosa Inghilterra del diciassettesimo secolo divenne l’immediata reazione dello scrittore all’Italia fascista.
Fenoglio di fatto era un esperto conoscitore e un appassionato di poesia britannica ( e non solo). Da Eliot a Coleridge, da Masters a Browning, gli autori tradotti sono accomunati da una lingua poetica vicina alla prosa, una lingua cui il padre letterario del partigiano Johnny ha dato vivacità e una notevole forza di rottura.
In una lettera inviata a Italo Calvino, datata 8 settembre 1951, abbiamo un Fenoglio rivelatore, mai così aperto, ammette qui la sua grande passione per la letteratura inglese. L’intellettuale albese cerca in questa missiva quasi di auto-promuovere il suo lavoro di traduzione. Lui che precedentemente si era ufficialmente descritto biograficamente come “studente, partigiano e impiegato presso una ditta di vini”. In questa, per noi, importante lettera l’autore chiede a Calvino di comparare la sua traduzione di “Murder in the Cathedral” di Eliot con quella precedentemente fatta da Ludovici. Richiesta questa che mostra un grande rispetto per il lavoro di traduzione della poesia.
Si è scelto di presentare invece una traduzione di una poesia di Hopkins, “Bellezza cangiante”, originariamente intitolata Pied Beauty, per un semplice motivo. Una comunanza d’anima poetica che coinvolge l’autore e il traduttore.
Scrivere poesia per Hopkins, ha commentato Fenoglio, è un modo di pregare, l’unico mezzo di espressione possibile nel suo dialogo con Dio, uno strumento intimo per vivere meglio e soffrire. Grande è la sua fede. Situazione e sentimenti comuni tra i due, tanto che l’uomo di Langa, come testimoniato nelle sue pagine, ammette di scrivere con una fede profonda (DIARIO XXVIII vol 2 pag.210).
Sia gloria a Dio per le cose variopinte–
Per i cieli pezzati come vacca macchiata;
Per i nei di rosa che picchettano la trota nuotatrice;
Per le castagne crollate dai rami su rossi tizzoni;
per l’ale del fringuello;
Per paesaggio ordito a frammento– stazzo, maggese ed arativo;
E per tutti i mestieri, e lor ferri e strumenti m
Tutte le cose, le contrarie, le primordiali, le superflue e strane;
Tutto che è mutevole, screziato ( chi sa come?)
Col veloce, il lento; dolce, acido; fulgido,opaco;
Quegli le procrea la cui bellezza è oltre mutamento.
Lodate lui
traduzione di Beppe Fenoglio