Nota dell’autrice
Ho scritto questo canto da recuperante.
Non come facevano gli uomini dopo la seconda guerra mondiale, sui monti dove si era tragicamente combattuto, per rivendere poi i pezzi trovati disinnescando le bombe, consapevoli di poter saltare in aria. Mi interessa il recupero come pratica esistenziale, sociale, ecologica, spirituale, politica. La mia origine culturale e il mio canto vivono due eredità: quella dei contadini di montagna e dei nomadi. In entrambe, agisce in permanenza la necessità del recupero.
Recuperare è atto anticonsumistico di responsabilità: propone assoluta attenzione alla materia, alla creatura, alla cura, alla relazione, alla memoria, seminandola nel futuro. È un verbo coniugato al femminile.
Ho incontrato l’assolo di questo diarista tra il vento degli obici, amando la cantica della sua rivoluzione: concepire l’insegnamento come incessante tensione ambulante, ovunque, comunque; in/tendere il tu sradicalizzandolo da ogni sentimentalismo distraente; consegnare al sangue dell’io l’urgenza di una cultura per la sopravvivenza dell’intera umanità, in cui spossessare privilegi, confinamenti e confini che detengono il potere e ingrassano ignoranza; ripensare alle origini della prima guerra mondiale come una delle matrici dell’attuale decadenza e deflagrazione scardinante il pensiero di una complementarietà europea; scoperchiate la casa dentro cui ha lavorato intensamente la psichiatria, non solo rileggendone gli studi e i risultati, ma anche le motivazioni. Come lo Stato interpretò allora l’accezione di recupero.
E come attualmente lo concepisce e lo gestisce, anche attraverso strutture private o cooperative convenzionate.
il fatto
Mi hanno chiamata: sono andata. A Arquata, tra le macerie, durante
le scosse del terremoto, i morti e i sassi si muovevano più dei vivi.
Ho visto ho sentito ho avuto paura.
Ho portato la mia poesia tra i bambini. Di giorno, mentre gli altri
spalavano e raccoglievano morti e feriti. Di notte, nelle loro tende,
per pacificarli al sonno.
Dentro uno stato di guerra in atto, senza nemici, senza confini da
difendere o guadagnare, tremando nel contenimento di una perdita
in corso, mi è stato prestato un diario della prima guerra mondiale.
*
sull’argine
mentre piscio nel fiume
ho la gioia della liberazione tra le gambe
una velocissima curva giallina lucente che schizza
suonando nel cerchio dell’acqua
io sono il signore della mia acqua
il signore del niente
che sperpera i suoi pesci i suoi morti i suoi maestri
mangiati e bevuti negli anni
per restituirli al fiume affinché mi concili alla foce
*
sto zitto e penso
a chi improvvisamente cade e si rompe
a chi serve un dio per paura di spaccare sé stesso conoscendosi
a chi come me apre la catena
e mette …non per cristo ma per etica
la sua vita alla mano
di quelli che gli altri definiscono ultimi
Anna Maria Farabbi è nata a Perugia il 22 luglio 1959. Poetessa, traduttrice, saggista, ha pubblicato con grandi editori nel panorama della poesia italiana contemporanea (Mondadori, Sellerio, Lietocolle, Il Ponte del Sale e altri). Dirige la collana Un’altra via di pane, vino, tavola e molto silenzio per Lietocolle e la collana Segnature per Terra d’ulivi.