di Bianca Sorrentino
Tempo, eterna ossessione dell’uomo; inafferrabile, rivelatore, impietoso per chi fa i conti con la propria caduca, mortale esistenza. «Tempo» è anche la parola con cui T.S. Eliot sceglie di aprire i suoi Quattro quartetti, dopo aver dimostrato nel suo capolavoro, The Waste Land (1922), quanto la Poesia costituisca un fluire ininterrotto, rispetto al quale le contingenze hanno ben poco potere; con un approccio rivoluzionario, in un momento desolante sia per le vicende di portata epocale sia per alcune circostanze private, l’autore, novello rapsodo, aveva cucito tra loro versi provenienti da culture e secoli lontani, dando vita a un canto nuovo eppure ancestrale, un respiro all’unisono in cui la Filomela di Ovidio avrebbe potuto condividere con l’Ofelia shakespeariana il suo destino di vittima, un prodigio letterario per il quale Tiresia, l’indovino della classicità, avrebbe saputo parlare al Novecento in virtù di quella forza che accomuna il mito alla poesia, la capacità di trascendere i confini spazio-temporali.
Questa universalità, documentata empiricamente ne La terra desolata proprio attraverso l’applicazione del metodo mitico – in base al quale il mŷthos diviene cioè paradigma per il presente –, nei Four Quartets viene indagata attraverso una meditazione altissima e rarefatta. Le passeggiate nella campagna inglese, lontana dalla polvere sotto la quale giace la capitale in guerra, forniscono l’occasione al poeta per riflettere sul senso della memoria, della ciclicità, del concetto di principio che finisce per compenetrarsi con quello di fine. Non è raro che in questo cammino gli elementi del paesaggio siano figura dei moti dell’animo, segnato nel profondo e reso consapevole dallo scorrere del tempo: si tratta di versi frutto di un’età matura, per di più limati nel corso di sette, lunghi anni (1936-1942), durante i quali la strada è riuscita a levigare le asperità di certe visioni. Così, in uno slancio di rinnovata fiducia e riscoperto senso del sacro, gli occhi si posano su un’arcana primavera invernale, un palpito di vita che ancora resiste dentro i ghiacci.
Ecco i Quattro Quartetti, che oggi possiamo rileggere nella collana Scintille di Raffaelli Editore, nella efficace e schietta traduzione di Elio Grasso che senza enfasi va dritta alla verità della Parola: il Principio, la danza e il mare; un amore e un richiamo che invitano al viaggio, alla fine del quale per la prima volta si potrà davvero conoscere il luogo della partenza che è anche ineluttabile ritorno; infine i versi che Cristina Campo volle a epigrafe del suo Passo d’Addio – una voce altra che è già attesa di rinascita in un tempo nuovo: «Le parole dell’ultimo anno appartengono alla lingua dell’ultimo anno / e le parole del prossimo anno aspettano un’altra voce».
Burnt Norton
I
Tempo presente e tempo passato
sono forse presenti nel tempo futuro,
il tempo futuro è contenuto nel tempo passato.
Se tutto il tempo è eternamente presente
tutto il tempo non è riscattabile.
Quanto poteva essere è un’astrazione
che rimane come perpetua possibilità
soltanto in un mondo d’indagini.
Quanto poteva essere e quanto è stato
puntano a un intento, sempre presente.
Eco di passi nella memoria
nei passaggi dove non c’incamminammo
verso la non spalancata porta
sul roseto. L’eco delle mie
parole, nei tuoi pensieri.
Per quale scopo
sollevino polvere da una coppa di foglie di rosa
io non so.
Altri echi
abitano il giardino. Vogliamo seguirli?
Little Gidding
V
[…]
Con la tensione di questo amore e la voce di questo richiamo
non smetteremo di esplorare
e alla fine di ogni nostra esplorazione
arriveremo dove eravamo partiti,
conosceremo il posto per la prima volta.
Attraverso il cancello sconosciuto e ricordato,
quando l’ultima terra da scoprire
è quella del nostro principio;
all’origine del fiume più lungo
il suono della cascata segreta
e i bimbi nel meleto
ignorati, perché inaspettati,
ma uditi o meno, nella quiete
che sta fra due onde del mare.
Ora andiamo, qui, ora, sempre –
un accordo di completa semplicità
(che non costa meno di ogni cosa)
e tutto sarà bene e
ogni specie di cosa sarà bene
se lingue di fiamma s’avvolgeranno
in un nodo coronato di fuoco
e il fuoco e la rosa saranno uniti.
(T.S. Eliot, Quattro Quartetti, traduzione di Elio Grasso, Raffaelli Editore, Rimini 2017)