di Bianca Sorrentino
Alcuni luoghi custodiscono in sé un senso del sacro che li eleva dalla loro natura terrena: non fa eccezione la città di Olimpia, che, per via del nome etimologicamente legato al monte sede degli dèi, non poté mai essere disgiunta dal suo ruolo di centro di culto, tanto che nell’immaginario collettivo essa continua a essere pervasa da un’aura di spiritualità profondissima, nella grazia delle sue rovine. La traccia di questo mistero attraversa le pagine di Olimpia, il poema con il quale Luigia Sorrentino si fa soglia e accoglie verità che arrivano da un tempo altro, dal tempo prima dei giorni.
Così, da una Grecia che incessantemente sprigiona la sua forza antica e nello stupore rivela la sua contemporaneità, questi versi cristallini proiettano il lettore su un sentiero che, da un antro oscuro, conduce al bagliore che inonda chi riesce ad approdare a un nuovo orizzonte: viaggio che è dunque iniziazione e, insieme, serena accettazione dell’insolubilità di certi interrogativi che, tormentando furiosamente l’uomo, finiscono per ancorarlo alla sua dimensione mortale. Una sensibilità viscerale – che è simbolo del Femminile – permette a Luigia Sorrentino di accarezzare le eterne questioni dell’umano; ma è la sua qualità di autrice che le consente di trascendere i temi su un piano più alto, nella ricerca di una lingua raffinata, inattuale, che al contempo risuoni nella sua naturalezza: le parole di Olimpia – donna e città, bianca e altissima – non ammettono repliche, sono figlie della poesia irrevocabile dei tragici greci, che come nessun altro seppero dar voce al mito.
Suggestioni mitiche in effetti costellano questo poema; ad alludere alla classicità non sono solo il titolo, l’accorata menzione di Iperione (il Titano destinato a cadere, come lo siamo tutti quando la nostra tracotanza ci fa osare supporre di poter superare il Sole), la struttura e la visionarietà, ma anche una certa idea di limite che permea di sé queste pagine: il contrasto tra il divino e il tempo, perché ciò che appartiene al cielo è al di là dello scorrere delle ore; il confine, dal momento che permane soltanto ciò che è distante da esso; l’armonia tra gli opposti, poiché è insano tutto ciò che è eccessivo. Un equilibrio apollineo regola lo sguardo di questa contemplativa Cassandra che ha saputo stemperare l’angoscia in una lieve inquietudine e ricondurre l’inevitabile fine a un canto eterno.
lei era lì
non era più la stessa
il volto sbiancato nell’intangibile
nulla più le apparteneva
si rivoltava in un’altra che l’offendeva
nell’involo mostruoso in lontananza
lei era un soffio chiuso
tutto era in sé pieno, attaccata
alle pareti, lei era ormai radice
[…]
Bianca era lei, e io ero insieme a lei l’attesa e il compiersi nello stesso istante. Comprendevo e riconoscevo proprio quanto di più raro era lei per essersi così improvvisamente aperta, impallidita da tanta immotivata bellezza, lei era giovane e vecchia. L’austero profilo batteva l’agile volto in quel gorgo di luce e abbracciava.
(Luigia Sorrentino, Olimpia, Interlinea 2013)