Come giocare
Come giocare il nostro destino sulla faccia
sorridente rubiconda di maiali che grufolando
ci succhiano la pelle e l’anima mentre spacciano
tonnellate d’armi e milioni di giochi, pastiglie, fumi
tra fiumi di parole puttane che trionfe danno
del cretino a chi azzarda ancora un’obiezione
un’ipotesi di pensiero folle di un mondo umano
irridendo dal loro mondo-lardo: ma dove vivi?
(22 settembre 2014)
***
Tu fiore d’autunno
che non smette di parlare
della primavera, lo sai
che sei un fiore d’autunno
che non smette non smette
di parlare della primavera?
Facendo girare scaldare
il sangue che dal cuore
scioglie la parete di ghiaccio
che veste le vene dell’autunno
(30 aprile 2017)
***
Lina e la musica
Lina era la voce che di canto
colmava la strada bianca che
separava e univa le case col
suo fiume di latte e luce che
continuava a dire siamo qui
e cantava Lina a squarciagola
tutte le canzoni di Sanremo
finestre aperte era la voce
che dava voce alla vita
di tutte le case intorno
come attonite e piegate a farsi
inondare da quel fiume acceso
che s’imponeva all’ascolto
come segno ardente di tutta
la musica che genera il mondo
Quel nastro si annodava in giugno
intorno al grande fuoco offerto a
Sant’Antonio sulla strada-santuario
tra fiamme e scintille e canzoni antiche
e nuove per noi i più piccoli del coro
barchette ignare che quei bagliori erano
succo di vita da custo-dire per la vita
nettare ora rappreso nella nostra anima
in perle d’ambra biglie d’un tam tam che
non smette di dire continua a stare qui
(4 marzo 2013)
Qualche punto e/o nota a margine del fare poesia oggi
di Adam Vaccaro
Il primo riguarda l’indefinibilità e l’interminabilità della poesia, come diceva Giuliano Gramigna. O, in versi memorabili, Roberto Sanesi: “Perché portare a termine/ quando nessuno, in giardino,/ ha mai visto il mio glicine concluso”. La bellezza, anche in poesia, oscilla dunque per me su una tensione di apertura e di interminabilità, che comporta la sospensione del senso, tanto da titolare un mio libro “La casa sospesa”. Conclusione che però rimane aperta a serie di domande, oltre che sui sensi e significati specifici di un testo, sul perché e per cosa fare poesia oggi.
Domanda quest’ultima necessaria, ancor più davanti alle mille forme, più che dell’albero, della foresta della poesia contemporanea. Domanda, alla quale chi pretende di farla, credo debba dare qualche risposta.
Un glicine e ogni albero, come ogni altro singolo essere vivente, ha inscritto in sé il destino della propria morte, necessaria co-autrice della vita più ampia della specie o della foresta di cui fa parte.
E la foresta, come ogni altro universo, è anche intreccio di lotte tra e dentro le specie, in cui le più forti e vincenti non è detto siano le migliori o le più auspicabili. Come insegna Darwin, il risultato migliore non è sempre garantito.
Anche nella foresta della poesia, si affermano oggi malanni deleteri di supponenze, interessi familistici e di gruppi con contrapposizioni inappellabili e logiche monoteistiche di una deità che nulla deve dire o giustificare del proprio fare. La molteplicità si articola in somma di chiusure di un mondo a parte, i cui sensi e significati tendono a rimanere sospesi indefinitamente nell’alto dei cieli. Che pare rozzo e patetico interrogare da parte del Resto.
L’insieme tende a enucleare due rive, una che estremizza la sua inutilità mercantile, fino a declinarla in termini assoluti e antropologici. È la riva che chiamo dell’iperdeterminazione del significante, appagata di sé o, se vogliamo, autoreferenziale e deresponsabilizzata nei confronti del lettore/fruitore. Il quale non stia a porsi domande o a porre quella domanda all’Autore. Legga, ascolti i suoni inanellati e ne tragga, se è capace, piacere e sensi. È la riva che pone l’accento sui giochi di parole o del mito moderno dell’Altro della lingua che parla e crea il mondo, e non del contrario, della fascinazione o dell’effetto di meraviglia sonora. Il senso e i significati siano diafani e impalpabili, se non indecifrabili. Non meraviglia se poi non pochi possibili fruitori non vengano attratti dai libri e dalle letture pubbliche di poesia.
All’opposto, sull’altra riva, si apparecchia l’iperdeterminazione del significato, ornando al più di divertissements verbali la banalità o l’illusione di dire tutto, offrendo una pietanza cui nulla si può aggiungere. E che non può soddisfare la fame più acuta di cui oggi soffriamo. Della mancanza di speranza e della perdita del senso, di cui cercheremo di toccare qui qualche chiodo.
Tra le due rive, non saprei dire oggi quale prevalga. Da parte mia ricerco quella che ho chiamato terza riva, che tenda a coniugare complessità e transitività, adiacente alla totalità del Soggetto Scrivente e del mondo, ricca di sensi e domande sospese ma anche di risposte e aperture rispetto al contesto chiuso e senza speranza che i poteri in atto ci offrono.
È un contesto dominato dall’ideologia neoliberista e infarcito di giochi di parole nel mare di menzogne ammannite con parole-mantra – riforme, cambiamento, crescita, civiltà, democrazia – col fine della conservazione dell’esistente. Una costante azione lobotomica e di inebetimento politico e tecnologico, di cui sono immagine adeguata i felici imbecilli esposti della pubblicità.
Non meraviglia se poi i più fuggono da ogni ritualità democratica, nauseati dal suo livello di falsità e corruzione. Si è parlato di catastrofe antropologica e basta vedere l’immonda tragicommedia cui stiamo assistendo rispetto agli immigrati, tra critiche xenofobe e cialtronismi buonisti che spesso (in Italia) si intrecciano con organizzazioni criminali.
Credo che la poesia non debba fuggire in un suo alveo neoparnassiano, ma ricercare energie per fare un ben altro verso, innervato in una visione libera e critica, arduo ossimoro capace di riaprire orizzonti diversi di un’utopia umana che pare irrimediabilmente uccisa dalla realtà attuale. Per questo credo in vitali segni di canto incisi tra le rughe della barbarie in atto.
E per farlo, ho auspicato anni fa l’immagine di una sua oscillazione tra stanza e strada, modalità che trovo sia nei poeti italiani che più mi interessano, sia in alcuni poeti residenti in America, che da decenni svolgono anche una funzione di promozione della poesia italiana contemporanea (vedi De Palchi, Fontanella, Valesio).
Concludendo queste brevi note, concordo con chi – come Antonio Porta – afferma(va) che la poesia è, come ogni altra attività umana, parte del mondo, e che quindi è solo qui che può cercare modi e forme per essere presente, riuscendo a transitare e a muovere (come dice Alfredo De Palchi) i sensi del fruitore. Che non scappa se trova parole che, a partire dall’esperienza di chi scrive, sappiano dire e misurarsi con gli abissi comuni, con il bisogno di condivisione e di amore, di bellezza e canto, corpi (come diceva Gramigna) della fame acuta che oggi sentiamo di parole capaci di fare speranza.
Adam Vaccaro, poeta e critico nato in Molise nel 1940, vive a Milano da più di 50 anni. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, tra le ultime: La casa sospesa, Novi Ligure 2003, e la raccolta antologica La piuma e l’artiglio, Editoria&Spettacolo, Roma 2006. Infine, Seeds, New York 2014, è la raccolta scelta da Alfredo De Palchi per Chelsea Editions, con traduzione e introduzione di Sean Mark. Ha realizzato inoltre varie pubblicazioni d’arte:, Spazi e tempi del fare, con acrilici di Romolo Calciati e prefazioni di Eleonora Fiorani e Gio Ferri, Studio Karon, Novara 2002; Sontuosi accessi – superbo sole, con disegni di Ibrahim Kodra, Signum edizioni d’arte, Milano 2003; Labirinti e capricci della passione, con acrilici e tecniche miste di Romolo Calciati e prefazione di Mario Lunetta, Milanocosa, Milano 2005; I tempi dell’orsa (2000) e Questo vento (2009) con opere di Salvatore Carbone, Edizioni PulcinoElefante. Con Giuliano Zosi e altri musicisti, ha realizzato concerti di musica e poesia. Collabora a riviste e giornali, siti e blog, con testi poetici e saggi critici. Per quest’ultimo versante, ha pubblicato Ricerche e forme di Adiacenza, Asefi Terziaria, Milano 2001e altri libri collettanei. Ha avuto diversi premi e riconoscimenti, tra i quali il Premio speciale Astrolabio del 2007, ed è stato tradotto in spagnolo e in inglese.
Ha fondato e presiede Milanocosa (www.milanocosa.it), Associazione con cui ha curato molte iniziative e pubblicazioni, tra le quali: Poesia in azione, raccolta dal Bunker Poetico, alla 49a Biennale d’Arte di Venezia 2001, Milanocosa, Milano 2002; “Scritture/Realtà – Linguaggi e discipline a confronto”, Atti, Milanocosa 2003; 7 parole del mondo contemporaneo, Milanocosa, Milano 2005; Milano: Storia e Immaginazione, Milanocosa, Milano 2011; Il giardiniere contro il becchino, Atti del convegno 2009 su Antonio Porta, Milanocosa, 2012. Cura la Rivista telematica Adiacenze, materiali di ricerca e informazione culturale del Sito di Milanocosa.
Con Adam Vaccaro mi sembra di essere tornato ai grandi tempi della poesia italiana quando Anceschi, Sanguineti, Porta, Giuliani, Guglielmi, Leonetti, Pasolini, Fortini, Gramigna, Zanzotto, Manganelli, Ferroni ed altri si scontravano ad altezze superne sui temi della ricerca critica poetica, disegnando una tensione e un’attenzione alla letteratura spasmodche, conformando il dibattito su tesi antropologiche e sociali che rivelavano una somma sensibilità politica, una partecipazione attiva alle innovazioni e alla modernità. Che cosa sia accaduto dopo, non è dato saperlo, il dibattito si è spento, non so se per il venir meno delle forti personalità che ho citato o se per la creazione di posizioni scontate su individualità che hanno riversato l’attenzione solo su loro stessi, dimenticando che la letteratura è una vicenda in continua trasformazione, che non si basa sul narcisismo dei pochi, ma sul dialogo dei molti. Fatto sta, che la stella di Adam Vaccaro si è accesa per riportarci a quei tempi dorati, riscuotendo le nostre coscienze critiche ormai sopite, annacquate. Grazie ad un poeta che combatte con armi affilate e che non ha paura di confrontarsi con la poesia del mondo, con le ricerche più avanzate in atto, un poeta che ha un valore internazionale e che riporta la poesia italiana, speriamo, a un improvviso risveglio dopo un sonno che è durato fin troppo.