Nota di Fabio Izzo
Nemo profeta in patrie.
Molto amato in Italia ma decisamente dimenticato nelle sue due patrie… stiamo infatti parlando di uno dei poeti più universali della letteratura mondiale, cioè Hazim Hikmet. Poeta turco con cittadinanza polacca, a suo tempo comunista e con diversi anni di vita trascorsi in prigione, ma quel che a noi più interessa è la sua assoluta fede nell’uomo, mai venuta meno.
Non perdete tempo a cercarlo nei media polacchi, nella sua patria di adozione, vi troverete ben poco o quasi nulla, eppure lì sono nate le sue radici, non solo la cittadinanza. Hikmet paga tuttora la sua fede politica (visione portata fino all’estremo, quasi all’utopia), il suo essere un immigrato delle lettere, un rifugiato del verso. C’era quindi un tempo quando l’Europa accoglieva….
Nazim Hikmet Ran nacque il 2 gennaio 1902 a Salonicco, città che all’epoca era un vero e proprio crogiolo multiculturale – popolata com’era da turchi, greci, ebrei, russi e da tutte le altre possibili nazionalità balcaniche. Suo nonno, Mehmed Nazim Pasha, fu l’ultimo governatore turco della città, ma fu anche un poeta associato all’ordine dei Mevlevi, la famosa fratellanza dei dervisci danzanti. Fu lui a iniziare Nazim nel mondo della poesia mistica, scritta in un’alternanza danzante di lingue arabe e persiane per l’élite del vecchio impero ottomano. Ma accanto a questa poesia d’élite, fortemente radicata in Turchia, pulsava anche la poesia popolare – viva tra poeti erranti, narratori e poveri dervisci. Questo mondo colorato, all’epoca, era ben presente con tutto il suo folklore presso la corte del governatore, tanto che Nazim, anni dopo, dichiarò: “Se sono diventato un poeta lo devo alla nostra poesia popolare”. Non deve sorprenderci troppo quindi, se vivendo in un tale ambiente, il nostro cominciò precocemente a produrre i suoi primi tentativi poetici all’età di 13 anni.
Il padre di Nazim, Hikmet Nazim Bey fu un diplomatico e trascorse molto tempo all’estero per diventare direttore generale della stampa a Istanbul. Sua madre, Ajsze Dżelile Hanym – una pittrice che aveva studiato a Parigi – era la nipote del polacco Konstanty Borzecki (1826-1876) che, dopo la rivolta ungherese, insieme al generale Bem, emigrò in Turchia, abbracciando l’Islam e prendendo il nome di Mustafa Jeldaleddin prestò servizio nell’esercito turco (morì in battaglia in Montenegro), ma fu anche autore di lavori storici e non solo, si è preoccupato di sviluppare la grammatica della lingua turca. Tutta la famiglia quindi era immersa nelle idee dell’intellighenzia progressista, sognava la modernizzazione della Turchia, la cui crisi sotto il dominio dei successivi sultani era sempre più visibile.
Nelle prime opere di Nazim cominciò a comparire un nuovo filo conduttore: la lotta per la difesa della patria. Dopo il coinvolgimento catastrofico nella Prima Guerra Mondiale, la Turchia fu sotto occupazione di truppe inglesi, francesi, italiane e greche. Alla fine del 1919, Nazim fu rimosso da scuola perché voleva unirsi all’esercito di liberazione formato da Kemal Ataturk in Anatolia. Durante la guerra d’indipendenza, si schierò con Atatürk e lavorò come insegnante a Bolu.
Hikmet, dopo aver scoperto Marx e Hegel, decise di andare a studiare a Mosca. Vi arrivò attraverso Batumi alla fine del 1921 e lì iniziò a studiare sociologia all’Università. Mosca era un vero centro culturale, lontano dal dogmatismo successivo: qui Nazim Hikmet vi incontrò là Włodzimierz Majowski e si interessò agli esperimenti teatrali di Vsevolod Meyerhold. Si oppose alla poesia che rientrava esclusivamente nella cerchia degli interessi personali, per lui poesia doveva essere capace di plasmare il futuro e di tenere l’uomo al centro di tutto.
Tornato in Turchia si gettò nel vortice del lavoro e cominciò di nuovo a scrivere. Nel 1932, la riga del titolo del volume “Telegramma notturno”, scritta per la morte di un amico, divenne la causa per un nuovo arresto, Hikmet fu accusato di propaganda comunista. Il pubblico ministero chiese la pena di morte ma alla fine Hikment fu condannato a 5 anni di prigione e grazie all’amnistia fu rilasciato nell’agosto del 1933. Paradossalmente, le prigioni divennero il luogo in cui ebbe più tempo per scrivere. La metà delle poesie di Hikmet sono state composte nelle carceri. Quando le autorità della prigione gli impedirono di scrivere, i suoi compagni di prigionia impararono a memoria i suoi versi per trasmetterle ai visitatori. Purtroppo, come di facile comprensione, diversi testi di questo periodo, mancando di una forma scritta, finirono con l’andare perduti.
I suoi volumi di poesia, trovati alla scuola cadetti, nel 1938 gli costarono 28 anni di prigioni, l’accusa era quella di voler diffondere la ribellione nell’esercito. I suoi volumi, quattro, già pubblicati, furono tutti confiscati. Fu liberato il 14 giugno 1950 grazie alla campagna internazionale del comitato di liberazione, operativa dal 1949 a Parigi che coinvolse artisti e scrittori del calibro di Pablo Picasso e Jean-Paul Sartre, ma le sue condizioni cardiache erano gravi e la sua forza andava ormai esaurendosi. Per evitare un nuovo arresto chiese la cittadinanza polacca, che gli fu facilmente concessa per le sue origini e per la sua fama di poeta mondiale, al cognome di Ran aggiunse quindi anche quello di Borzęckie e si stabilì definitivamente a Mosca. Si era giunti al culmine della Guerra Fredda. La guerra di Corea era appena iniziata e tutto questo clima di tensione finì con il suscitare il terrore in Hikmet, che dedicò alcune poesie alla tragedia di Hiroshima. Nel 1951 entra a far parte del Consiglio Mondiale della Pace e durante il Secondo Congresso Mondiale della Pace, che si è tenne a Varsavia, a Hikmet venne assegnato il premio alla carriera della pace internazionale.
Ha viaggiato per il mondo, ovunque ha potuto, non negli Usa perché gli rifiutarono il visto così andò in Asia, Africa e America Latina, ma amava comunque andare in Polonia. È stato uno dei primi poeti turchi ad usare i versi liberi. Hikmet è diventato, mentre era ancora vivo, uno dei poeti turchi più conosciuti in Occidente e i suoi scritti sono stati rapidamente tradotti in diverse lingue.
Hikmet considerava tutte le conquiste del pensiero umano e dell’attività artistica come un nostro bene comune. Ha assorbito tutto ciò che è bello, intelligente, utile, indipendentemente dal luogo di nascita. Fu uno dei pochi scrittori a ricordare i massacri ai danni degli armeni del 1915 e 1922.
Morì il 3 giugno 1963 in seguito ad una crisi cardiaca, uscendo dalla porta della sua casa al numero 6 della via Pesciànaya a Mosca.
Jaroslaw Iwaszkiewicz, scrittore polacco lo ha così ricordato: “Per le persone che non lo conoscevano, le poesie di Nazim possono sembrare un po’ diverse, ricordano infatti la straordinaria responsabilità di questo grande uomo. La sua poesia risuonerà sempre come di straordinaria onestà e semplicità. ”
Margaret Łabęcka-Koecherowa: “Era un poeta che ha dato molto di sé, cercò di rispondere alle preoccupazioni, cercando sempre di comprendere l’uomo, l’unico valore costante della sua poesia”.
Negli ultimi anni della sua vita Hikmet ha lavorato ad un romanzo terminato nell’agosto del 1962. Nelle sue ultime frasi, scrisse:
Izmail mi ha fumato la sigaretta.
– Vita – è una cosa grandiosa, fratello