Stefano Dal Bianco, “Ritorno a Planaval”

Stefano Dal Bianco

In questo libro, scritto in un ampio arco di tempo, dal 1993 al 2001,  ripubblicato nella Collana Gialla di Pordenonelegge  (LietoColle, 2018) Stefano Del Bianco riflette tra le cose e i luoghi della sua realtà quotidiana. “Ritorno a Planaval” è in un certo senso il diario lirico, la registrazione dei movimenti anche minimi di uomo – il poeta stesso – che si osserva esistere.

Uno dei libri di poesia più amati degli ultimi vent’anni viene qui riproposto con una ricca postfazione di Raffaella Scarpa, un intervento di poetica dell’autore e un saggio di Fernando Marchiori.

IL VETRINO

Una sera, ero in ritardo, con un asciugamano inavvertitamente, ho urtato una preziosa bottiglietta di profumo, che è caduta. I pezzi sono stati raccolti, quasi tutti in un primo momento, altri nel corso del tempo, a mano a mano diminuendo le proporzioni dei reperti. Dopo un mese in un anfratto del pavimento è comparso un vetrino trasparente, ma nessuno l’ha raccolto.

È passato altro tempo, ogni volta che entravo nel bagno
lo vedevo e mi ripromettevo: «Prima di uscire
lo raccolgo e lo butto»,
e nelle mie faccende lo tenevo d’occhio
perché non se ne andasse o scomparisse
tra le frange del tappeto o altro.

Ma il bagno libera i pensieri e al momento
di uscire dalla stanza un’altra
memoria ne prendeva il posto,
e il vetrino è rimasto e negli ultimi giorni
è diventato un’ossessione, un’ossessione
all’ultimo secondo regolarmente rimossa.

E oggi mi sono impuntato,
mi sono concentrato più di ieri
e più dell’altro ieri e ce l’ho fatta:
è stata una vittoria graduale
di una memoria su altre memorie.

Ho allungato la mano e con sorpresa
il vetro non ha opposto resistenza:
è stato docile, si è fatto raccogliere
come se per tutto questo tempo
avesse atteso me, il mio intervento.

Adesso non so se per pietà, per un senso del dovere
per rispetto o per amore l’ho posato
sul nero della scrivania, davanti a me,
e scrivendo lo contemplo e raccolgo
la sua storia di cosa legata alla mia,
uno stesso appartamento ci contiene.

Sono orgoglioso di averlo salvato
e lui risponde alla luce e manda timidi bagliori.
Ma io ci vedo dentro il firmamento e questa notte
lo metto all’ aperto e me lo guardo
perché c’è la luna, perché ritorni,
nella chiara altezza di cobalto, il cielo.

I SENSI

Il pesco che vedo fiorito tra i cumuli della città di Milano non è l’idea della vita che vince il cemento ma solo un’aria di cemento, una vita di cemento nel pesco, la mia vita. La nostra vita elusa sopra i tetti.

Allora guardo la forma del pesco,
scavo nella sua chioma piccola di ladro
la parola pianta, la parola parola
che lo possa salvare
che mi possa salvare e provo a dire: sì,
per la forza di una parete, sì,
perché il tempo ripeta
tante volte la stessa stagione
e mai nella mia casa.

Sono sul muro sette sensi
legati l’uno all’altro a due a due, consolidandosi
l’uno, l’altro sparendo senza paura di sognare…

Sono disposti in forma di poesia, che dice:

«Il primo senso
è il senso della gioia, senza scopo, come quando
si rivela una cosa.

Il secondo è quella cosa, resa vicina,
di cui non devi mai parlare.

Il terzo senso è notturno,
dove nessuno vede niente
dove la mente resta uguale.
Il quarto senso è con l’amico fiore,
e tu e lui siete una cosa
abbandonata sotto un cielo chiaro.

Il quinto senso è lontano dall’amore.

Il sesto senso è non di te.

L’ultimo senso è tutti quanti,
settimo senso inespiabile,
indurisce
la parola in parola, il muro in
muro».

Umanità minuta,
della stessa sostanza del mio cuore,
fammi dei morti e io sarò salvato.

Stefano Dal Bianco è nato a Padova nel 1961 e vive in provincia di Siena, dove è ricercatore all’università. Dal 1986 al 1989, con M. Benedetti e F. Marchiori, ha diret­to la rivista Scarto minimo. Dal 1992 al 1994 è stato nella redazione di Poesia.

Libri di poesia: La bella mano (Crocetti 1991), Stanze del gusto cattivo (in Primo quaderno italiano, Guerini e associati 1991), Ritorno a Planaval (Mondadori 2001), Prove di libertà (Mondadori 2012). Sue poesie sono state tradotte in neerlandese, tedesco, francese, inglese, spagnolo, russo, serbo, sloveno, cinese.

Come studioso si è occupato della metrica di Petrarca, Ariosto, Andrea Zanzotto, e di poesia del Novecento. Di Zanzotto ha curato il Meridiano Mondadori nel 1999 (con G.M. Villalta) e l’Oscar Tutte le poesie (2011).

 

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